Francesco da Bussone detto il Carmagnola, condottiero, traditore della Repubblica

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Luogo sul Canal Grande a San Stae dove si ergeva il Palazzo Contarini

Francesco da Bussone detto il Carmagnola, condottiero, traditore della Repubblica

Troppo è noto il fatto di Francesco Carmagnola perché sia mestieri di ridirlo distesamente. Tuttavia, in faccia a questo monumento che in una guisa si sensibile il ricorda, noi vogliamo affatto trascurare. Nato egli di basso lignaggio, nella carriera delle armi tenne in credito prima presso Facino Cane, generale di Filippo Visconti duca di Milano, indi presso Filippo medesimo, al quale, in qualità di generale, riacquistò tutto il ducato, scacciandone gli usurpatori. Ma nel mentre che imprendeva ad estendere il dominio del duca, l’invidia e la malignità dei cortigiani ruppero i disegni suoi. Obbligato a dover desistere dal comando delle armate ed assumere il governo di Genova, invano tentò egli in più guise di voler un’udienza da Filippo a fine di purgarsi da ogni imputazione. Non potendo far altro gridò altamente nella reggia di Filippo, dichiarò traditori e ribaldi i ministri di lui, e protestando di far pentire il duca per non averlo ascoltalo fuggì dalle terre del Visconti e si rifugiò in quelle dei Veneziani già esacerbati contro Filippo per l’oppressione in che teneva gli sventurati Fiorentini. Il Carmagnola risiedeva d’ordinario a Treviso, né veniva a Venezia se non ricercato per consiglio; il che accadeva dì frequente. Ora in Treviso stando, avvenne che certo Giovanni Liprando fuoruscito Milanese, facesse proporre al duca l’uccisione del Carmagnola purché gli venisse concesso il ritorno alla patria. Il duca ne fu contento; ma nel punto di mandar la trama ad effetto, fu scoperta, ed il reo fu decapitato. Il Carmagnola sentì infiammarsi di vendetta, ed introdotto in collegio esagerò siffattamente la perfidia di Filippo, cosi si vantò di conoscere i segreti piani di lui tendenti al danno di Venezia, che gli animi dei patrizi concitati si decisero per la guerra. Divulgatasi l’alleanza dei Veneziani coi Fiorentini contro il Visconte, tutti gli altri principi d’Italia si strinsero ad essi, ed il Carmagnola, dichiarato generale della Repubblica col mensile assegno di mille ducati d’oro, ricevette lo stendardo di San Marco il 15 febbraio 1426.

Il giorno 18 marzo Carmagnola, coi provveditori veneziani che secondo il solito seguivano il generale in campo, raggiunse il corpo dell’armata nel trevigiano, e menatala sopra Brescia strinse quella città d’assedio e finalmente la prese. Il Visconte chiese allora la pace che ebbe però corta durata, negando quel duca la consegna delle piazze pattuite. Un nuovo esercito di 36.000 uomini fu quindi allestito; ma le negligenti mosse del Carmagnola contro il nemico, fecero palese la sua connivenza per il duca di Milano. Nondimeno il trattato di pace, conchiuso tra Filippo ed i Veneziani per cui Brescia, Bergamo ed una parte del Cremonese accrebbero il dominio terrestre della Repubblica, fece sopire ogni disgusto e Carmagnola trionfante fece il suo ingresso nella basilica di San Marco dove in mezzo a gran calca di popolo rimise lo stendardo nelle mani del doge, e ricevette in premio maggiori stipendi, nuove rendite territoriali, e presentata venne la moglie di lui di stoffe d’oro pel valsente di 2000 ducati.

La pace non era ben consolidata che tornarono a ripullulare nuovi semi di guerra. Nel 1431 la Repubblica fu per la terza in volta in armi che dal Carmagnola di nuovo furono guidate. Ma anche questa volta fu accagionato di lentezza nel cogliere gli opportuni momenti; il perché gravi sospetti entrarono nel senato sulla fede di quel generale. L’imperatore Sigismondo, giunto di passaggio a Milano, volle farsi mediatore di una stabile pace. A tal fine invitò le potenze belligeranti a spedire a Piacenza i deputati loro. La repubblica mandò i suoi; ma durante i trattati venne chiamato a Venezia il Carmagnola sotto pretesto di voler conferire sugli articoli da proporsi al congresso. L’accoglimento fattogli per via dai pubblici rappresentanti, e l’incontro pomposo ricevuto all’arrivo in Venezia, non gli permisero di sospettare quanto si macchinava contro di lui. Condotto nel pubblico palazzo, quasi entrar dovesse nelle stanze ducali, passò invece nelle contigue carceri; del che, appena si accorse gridò: son morto. Venne formalmente processato, e negando tutti i fatti, dei quali fu accusato si pose alla tortura, dopo la quale confessò ogni suo disegno. Non gli rimase quindi più luogo a salvezza e fu decollato in mezzo alle colonne della piazzetta collo sbadiglio in bocca onde prevenire i disordini nel popolo, caso che nell’esecuzione della sentenza avesse parlato.

Di grandi controversie fu motivo cosiffatta sentenza ai nostri giorni; altri volendo sostenere la giustizia di essa, tutta basata su documenti manifestati allo stesso Carmagnola nel processo e tuttora esistenti nei pubblici archivi, ed altri accusando di soverchia severità il senato e di pusillanimità anche per il timore della grande potenza a cui para ascendere quel generale. Un po’ di tutto ci sarà stato forse in quell’alto; ma chi calcolerà i tempi-diversi, la condizione della repubblica, il falso principio di lasciar guidate dai forestieri le proprie armate, troverà legali somiglianti estremi mezzi a cui talvolta ebbe ricorso per la salute dello stato. (1)

(1) ERMOLAO PAOLETTI. Il fiore di Venezia ossia i quadri, i monumenti, le vedute ed i costumi. (Tommaso Fontana editore. Venezia 1839).

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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