Palazzi Zen ai Gesuiti

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Palazzi Zen ai Gesuiti. In "Venezia Monumentale e Pittoresca", Giuseppe Kier editore e Marco Moro (1817-1885) disegnatore, Venezia 1866. Da internetculturale.it

Palazzi Zen ai Gesuiti

Lo stesso patrizio, che ordinava la fondazione di questo palazzo, ne era anche l’architetto. Ciò asseriva il Sansovino nella Venezia con le precise parole: essere notando questo edifizio
sul campo dei Crocicchieri, ordinato sul modello di Francesco Zeno, che al tempo suo fu gentiluomo intendente dell’architettura
. E gli autografi dell’archivio di famiglia dichiarano, che morto questo Francesco il 13 agosto 1538 veniva sepolto, per sua volontà, nel chiostro degli Agostiniani a San Cristoforo della Pace, condottovi da muratori, falegnami e scalpellini, e dai due, che firmarono il testamento, come testimoni, Nocente Lombardo, e l’architetto Sebastiano Serlio.

Pare quindi o che il defunto desiderasse questo strano cortèo, per l’amore dell’arte da lui coltivata, o che accadesse la sua morte, mentre si dava mano alla fabbrica. Forse questa ultima supposizione è meno gratuita, poiché il figlio, defunto nel 25 Giugno 1539, lasciava scritto, quando stava per recarsi come Bailo in Costantinopoli, che voleva fosse compita la sua casa che fabbricava ai Crocicchieri, col disegno del fu Francesco, sopra la fazza della partizione dentro, ed ornamenti, lasciatone l’arbitrio ai figli, che loda per l’opinione di M. Bastianello, che è appunto l’architetto Serlio. Infatti addi 11 marzo 1553 si eseguiva la divisione di questi tre palazzi, che compongono un solo corpo di fabbrica, e allora il terzo, cioè quello verso ponente, non era per anco compiuto.

Avremmo poi molti argomenti, per ammettere dell’area stessa la preesistenza di una mole, di antico stile gotico, nel fatto principalmente dell’incendio di un palazzo dei Zeni ai Santi Apostoli, accennato dal Cappellari nel 1106. Si noti che nell’Oratorio dell’Ospedaletto in campo dei Gesuiti, unico avanzo di fabbrica dell’estinto Ordine dei Crocicchieri o Crociferi, esiste l’effigie di mano del Palma, del Doge Rainiero Zeno, di questa Casa, che fondava e dotava di beni l’Ospizio. Inoltre figura negli alberi genealogici, che abitasse ai Crocicchieri Dragone Zeno, il quale viaggiò in gran parte dell’Asia, e che corsa la Baisera, la Mecca e la Persia, moriva in Damasco. Questi era figlio di Antonio, che col fratello Nicolò viaggiava a spese proprie, nelle regioni del polo artico, e coi nomi di Estotilanda Drogio ed Icaria rivelò l’America cento anni prima di Giovanni Cabotto, che un anno avanti del Colombo sbarcava sul continente. Finalmente nel muro della facciata sta ancora inserito lo stemma in marmo della famiglia, di stile gotico, come gotica è la cisterna, in un interno cortile.

L’aspetto dell’odierna fabbrica è vario, e a cosi dire fantastico, perché di un misto di architettura, parte in analogia allo stile gotico, e parte in relazione alle riforme posteriori, di stile lombardesco, introdotte circa il 1530. Ne sono prova i due poggioli maggiori laterali, con modiglioni a ricurva, largamente fogliati alle due estremità, e i pilastrini delle balaustrate, con rosoni nel mezzo, e fogliami rilevati, in sembianza di decorazione. Molto lodate sono alcune mensole, sorreggenti i poggioli, e gli intagli delle porte; e sì gli uni che gli altri si prendono di continuo a modello da chi studia l’ornato. Si ignora quale porzione disegnasse il Serlio, da cui si vuole fosse assistito lo Zeno; certo è bensì, che questi si scostava dalle norme della buona scuola, avendo accomunato i due stili, onde il prospetto risulta alquanto irregolare, come risulta dall’ordine dei balconi, che si avvicendano ad arcate curve, e da quel terzo acuto difettoso. Veramente il prospetto architettonico si limita al primo piano, con ventiquattro finestre, quattro delle quali sono murate; i due poggioli di mezzo, che differenziano poi dai laterali, hanno modiglioni fogliati, di bel disegno, al pari dei pilastrini; nobili sono i frontoni alle due porte di mezzo, tra i quattro a sostegno della facciata, modonati con foglie a ricurva di eccellente scalpello.

Lo spettatore era però indulgente allora sui qualunque difetti, per rispetto all’appariscenza degli affreschi, che, secondo il Boschini, si ammiravano lungo la grandiosa facciata, dei quali restano ancora vestigi di Andrea Schiavone, del Tintoretto e del Licini, detto il Pordenone. L’interno dell’edificio è ricco di marmi; ha porte con bronzi di bellissimo intaglio. Vi era uno studio di anticaglie e l’armeria di Catterino Zeno, che fu ambasciator nella Persia, ed era congiunto in parentela con gli Imperatori di Oriente; egli lasciò memorie dei suoi viaggi. Della galleria antica varie opere si dispersero, per esempio, il ritratto di Maometto II, fatto da Gentil Bellino all’aula stessa del barbaro Trace, quando, per convincerlo di uno sconcio, nel aver dipinto la testa di San Giovanni Battista, troncava il capo dibotto a lui dinanzi ad uno schiavo, e il quadro rarissimo del Cordella, che fu discepolo e buon imitatore del Giambellino, e il quale si crede sia il Giannetto Cordegliaghi, lodato dal Vasari nella vita del Carpaccio, e di cui secondo il Zanetti e il Vasari stesso, non si hanno dipinti in nessuna galleria. Le sale sono abbellite dal pennello del Tiepolo e dell’Amigoni nei soppalchi, e da opere del Carpioni, del Varotari, del prete Genovese, da paesaggi del Zuccheri e da pitture a pastelli di Rosalba Carriera.

Si conservano in questi recinti le immagini di più illustri della Casa, e fra gli altri di Marino Zeno, senatore cospicuo, e capitano generale, primo veneto podestà in Costantinopoli, da dove inviava i quattro memorandi cavalli, che stanno sul pronao della Basilica di San Marco; interminabile soggetto di controversie erudite. È del Tintoretto il ritratto del Doge Rainiero Zeno, vincitore dei Zaratini e dei Genovesi. Ogni effigie richiama a lunga serie di fatti, poiché furono sommi i Zeni nelle peregrinazioni per l’orbe, nei stratagemmi di guerra, nella palestra letteraria, ed ora ne risplende a cosi dire il nome tra la gloria delle arti.

In questo palazzo esisteva in antico uno studio di musica, e primeggiava in esso un famoso organo, singolare per la ricchezza e l’artificio della struttura, e per la squisitezza dei suoni, a quattro ordini di canne, formato di certa pasta cartacea, che, ad onta dei secoli corsi fin ora, non ebbe segno alcuno di tarlo. Celebrarono quel manufatto i contemporanei, e lo ricordava nella Venezia il Sansovino. È prezioso anche per le memorie dell’antichità, a cui risale. Poiché Mattias Corvino re di Ungheria, principe di senno, di cultura e di valore, regalava lo strumento a Catterino Zen figlio di Dragone, che dimorò a lungo nella di lui Corte, quando fu ambasciatore per la Repubblica, all’occasione della guerra, che minacciava di romperle Maometto II. Quindi Francesco Zen, figlio di Pietro, con testamento 8 agosto 1838 obbligava i discendenti a conservarlo, per una specie di fideicommisso, onde pervenne fino ai dì nostri, non nella sua interezza, ma ancora come pregevole avanzo di arte. Ora lo possiede il sig. Zenone Zen, Direttore di questo Uffizio Anagrafico, che, essendo cultore della musica e amantissimo della patria, a doppio titolo lo custodisce con amore, come reliquia della vecchia arte musicale, e come anello a storiche ricordanze. Sarebbe però desiderabile, che tale curiosità archeologica musicale figurasse nel Museo Civico Correr, e fosse ivi ammirato un oggetto, di sommo pregio per l’arte, la meccanica e la storia. (1)

(1) GIANJACOPO FONTANA. Cento palazzi fra i più celebri di Venezia (Premiato Stabilimento Tipografico di P.Naratovich. 1865).

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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