I tre fratelli Memmo da San Marcuola
Erano tre fratelli nati tra il 1729 e il 1733, figli di Piero Memmo e di Lucia Pisani, del ramo dei Memmo della contrada dei Santi Ermagora e Fortunato il cui palazzo stava accanto al traghetto di San Marcuola, palazzo passato per eredità alla famiglia patrizia dei Martinengo “dalle Palle“.
Il più vecchio si chiamava Andrea, gli altri due per ordine di età Bernardo e Lorenzo, ma uniti tutti e tre in uno strano miscuglio di serietà e di leggerezza, di dignità e di dissolutezza, di prudenza e di avventaggine. Da giovani furono tra i primi della Massoneria e a quelli dell’amore i tre giovani patrizi furono iniziati da Giacomo Casanova. Anzi fu questa la prima ragione della disgrazia dell’avventuriere, poiché accusato agli inquisitori dalla madre dei Memmo, come pervertitore dei figli, venne imprigionato nei Piombi. Ma la severità materna non valse a correggere la loro natura, giacché se abbandonarono le loggie massoniche, si dettero con più lena agli amori, e in breve il nome dei Memmo di San Marcuola divenne quasi sinonimo di avventurosi don Giovanni.
Però la giovinezza dei Memmo non fu come quella dei molti loro eguali, vuota di ogni volere e di ogni opera, poiché anche tra le consuetudini spensierate e gioconde, i tre patrizi trovarono il tempo di dedicarsi agli studi e di servire la patria in diversi uffici. Difatti nel 1785 Andrea veniva eletto in Maggior Consiglio Procuratore di San Marco, la più alta dignità della Repubblica dopo quella del Doge, e nello stesso anno i fratelli Bernardo e Lorenzo erano nominati Senatori.
Ma anche tra le cariche eminenti non tralasciavano le avventure d’amore: Andrea fornicava con la bella Contarina Barbarigo Lippomano, celebre nei fasti della galanteria veneziana del Settecento; Bernardo con Teresa Zerbin, figlia di un capo operaio dell’arsenale, formosa e spledida bellezza; e Lorenzo “con una sua bionda Cavaliera” che pare fosse una Adriana Michiel maritata con il cavaliere Antonio Diedo della contrada di Santa Fosca.
Il solo Andrea abitava il palazzo domenicale di San Marcuola cedutogli dai fratelli, mentre costoro stavano in Procuratia con le loro amanti la Teresa e la Adriana, quella sposata con un avvocato Zuane Ferro che accettava ben volentieri la protezione del Memmo, questa dividendo la sue grazie tra Santa Fosca e la Procuratia di San Marco.
Tra l’impudenza gioconda della vita privata, tanto più ricercata quanto più avanzavano con l’età, i tre fratelli facilmente si infiammavano per patrizie e ballerine “vortici d’attrazione e cui nulla si può negare” e Andrea Memmo capo della famiglia, ad un amico che gli consigliava di prepararsi alla candidatura dogale, rispondeva: “Come potete mai consigliarmi ad aspirare alla miserabile inetta vita d’un Doge veneziano. Per carità non mi togliete il piacer delle Donne, che anche a cent’anni allegerirà il pesante spirito o moriente dalla vecchiessa, se non il mio corpo, sicuro che sedurrò sempre in libertà una o sei delle cento che mi converrà tentare. I Dogi non possono godere di si divini trattenimenti“. Questo era anche il credo su cui giuravano gli altri due fratelli che nella loro vita privata non si mostravano migliori del loro tempo; tempo di consuetudini licenziose e di facili dissolutezze.
Andrea morì di sessatatre anni, di cancrena, fu sepolto in chiesa di Santa Maria dei Servi e quando questa chiesa, nel 1813 venne demolita, le ossa del Memmo furono portate nella chiesa di San Marcuola. Bernardo e Lorenzo morirono dopo la caduta della Repubblica e con loro si estinse l’illustre ramo. (1)
(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 14 febbraio 1930
FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.