Parrocchia di San Geremia

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Chiesa di San Geremia

Parrocchia di San Geremia

Chiesa

Fondazione. Accreditati scrittori attribuiscono il merito dell’innalzamento di questo tempio aMauro Tosello (o Marco Torcello) e Bartolommeo figlio di lui, abitanti in Venezia sul principio del secolo XI, o forse ai loro progenitori nel secolo IX. Certo è però, che al tempo del Doge Sebastiano Ziani era cadente per vetustà, avendo quel Principe provveduto a riedificarlo intorno al 1174. Simeone Mauro, vescovo di Olivolo, ossia Castello, ne celebrò la consacrazione, assistito dai Vescovi di Parenzo e di Caorle, nel giorno primo giugno 1292.

Dopo ben cinque secoli, minacciando rovina, fu rialzato dai fondamenti sopra modello dell’Abate Carlo Corbellini di Brescia, ed a merito particolarmente del Pievano d’allora D. Giovanni Battista Sperafigo, e di molti pii sovventori. Si dide mano all’opera nel 1755, ma la gran mole richiese lo spazio di molti anni, e copioso sussidio di offerte, alle quali generosamente concorse anche l’attuale religioso Governo.

Compiuta la Basilica in questi ultimi tempi, ottenne di essere consecrata nel 15 settembre 1839 da Sua Eminenza il Cardinale Jacopo Monico, piissimo e dottissimo patriarca e metropolitano attuale della veneta chiesa.

L’edificio, vasto e maestoso, ha tre facciate, l’una sull’adiacente Campo, l’altra guarda il Canal Grande, ambedue con eleganti decorazioni: la terza s’innalza sulla sponda del Rio di Cannaregio, ma non è ancora compiuta. L’interno è circolare; alta cupola corona il suo centro. Oltre il Maggiore, è adorno di dieci minori Altari, otto dei quali di fini marmi. È cosa meravigliosa che gli altri due Altari, benchè soltanto dipinti sulla parete, illudano a segno di sembrare essi pure di marmo: Girolamo Mingozzi-Colonna imitò la natura con tanta maestria, che guardandoli a conveniente distanza, appaiono rilevati, e di marmo al paro degli altri.

Persino Canova non s’avvide della pittorica finzione, che quando vi si accostò assai da vicino. Fra le molte sacre Reliquie in questa Chiesa serbate, si venera il corpo di S. Magno, quel desso che, Vescovo in Oderzo, fu costretto dalle invasioni barbariche a trasferirsi, nel VII secolo, in Eraclea.

Il pio Pastore, peregrinante, visitò le isole venete, ove esortò gli abitanti, come abbiamo veduto a suo luogo, ad erigere varie Chiese, le quali figurano fra le primitive in Venezia innalzate: tali appunto sono le seguenti:

1 = San Pietro di Castello.
2 = San Raffaele Arcangelo.
3 = Santissimo Salvatore.
4 = Santa Maria Formosa.
5 = San Giovanni Battista in Bragora.
6 = San Zaccaria.
7 = San Giustina.
8 = Santi Apostoli.

Il merito della fondazione di queste otto Chiese viene attribuito al summentovato San Magno da un Decreto del 20 dicembre 1454, col quale il Veneto Senato annoverando quei sacri edifici, commise, che la festa di lui, ricorrente nel 6 ottobre, dovesse ogni anno solennemente essere celebrata.

Nella introduzione di questa opera, non ho compresa fra le Chiese fondate da San Magno, quella di San Pietro, e in sua vece, ho additata quella di San Martino, deviando alcun poco dal contesto del suaccennato Decreto. Così mi parve di dover fare perché alcune antiche memorie stabiliscono eretta la prima (San Pietro) anteriormente alla venuta del Santo Vescovo, il quale peraltro potrebbe aver fatto ricostruire la primitiva Chiesa, e anche averla intitolata a San Pictro, sapendosi che in origine era dedicata ai Santi Sergio e Bacco.

La riedificazione, o il cambiamento del titolo, possono aver meritato i riguardi del governo per contare anche questo tempio fra quelli attribuiti a San Magno. Quel decreto non fa cenno di San Martino, perché le opinioni sull’epoca della sua fondazione sono diverse: però l’erudito Tentori, al quale mi sono attenuto, colloca anche questa chiesa fra quelle di San Magno.

L’oscurità de tempi ai quali la cosa si riferisce, potrebbe aver condotto in errore tanto chi ha tracciato il Senatorio Decreto, quanto gli autori che agitarono l’argomento; su di che non oserei pronunziare giudizio: d’altronde si tratta di piccola differenza, procedente dalla incertezza di ogni sorta di avvenimenti che si riferiscono al VII secolo. il mentovato San Magno, dopo quanto operò in Venezia pel divin culto, si stabilì ad Eraclea, ove già trasferita aveva cattedra e clero sino da quando fuggito era da Oderzo: ivi appunto cessò di vivere, ed ebbe onorevole sepoltura; ma col processo del tempo fatta deserta, e poi affatto distrutta quella città, residenza una volta anche del primi Dogi, la salma di lui venne trasportata in Venezia, e nella Chiesa di San Geremia si depose, attesochè, all’epoca della sua peregrinazione, il Santo Vescovo aveva abitato nel circondario di questa parrocchia. Anzi, sino a primordi dello scorso ultimo secolo, si mostrava la stanza ove ebbe soggiorno, in piccola casa presso il Palazzo detto di Spagna, sulla via che mette agli Scalzi.

Benchè il sacro Corpo fosse affidato alla Chiesa di San Geremia, pure la devozione del Senato dispose, nel 1563, che un braccio se ne staccasse, per collocarlo fra le preziose Reliquie del Tesoro della Basilica di San Marco.

Parrocchia

Della sua istituzione s’ignora l’epoca: però al momento della riedificazione di questa Chiesa nel secolo XII, figurava essa fra le Parrocchiali. La serie tuttora serbata dei suoi pastori, comincia da Marco Valente nel 1191. Il marmo della consecrazione fa fede, che nel 1292 Marco Lisi n’era il quinto pievano. La concentrazione del 1810 non tolse alcuna contrada a questo parrocchial circondario; anzi fu ampliato coll’aggiunta di quello di Santa Lucia, e di porzione dell’altro di San Leonardo, parrocchie ambedue allora soppresse: vi si unirono pure alcune case della conservata Parrocchia di San Marcuola.

Chiese nel circondario di questa parrocchia attualmente ufficiate.

Adiacenti alla parrocchiale, sorgono due spaziosi Oratori, l’uno sovrapposto all’altro. L’inferiore è intitolato a Santa Veronica, il superiore al Suffragio dei Morti. Sono ambedue decorati copiosamente di fini marmi, e vengono ufficiati a cura di devoti, a beneficio delle anime dei defunti.

San Giobbe. Sussidiaria. Quel sacerdote Giovanni Contarini P. V. che fondato aveva il Convento di San Girolamo, eresse nel 1378 un ospitale pei poveri infermi, con annesso oratorio dedicato al Profeta San Giobbe.

Il pio fondatore, venuto a morte, lasciò a quello stabilimento la sua eredità, e la salma di lui fu sepolta nell’oratorio che aveva fatto innalzare, il quale forma ora quella Cappella che si trova collocata fra la chiesa attuale, e la sacrestia.

Lucia, vedova Dolfin, figlia del Contarini, divenuta Patrona del chiostro, lo consegnò al Beato Pietro da Pisa, che vi stabili gli Eremiti di San Girolamo. Dopo alcun tempo, abbandonato da essi, vi entrarono nel 1428 i Padri Minori Osservanti, ai quali la suddetta Lucia rimise altresì il patronato: quella religiosa famiglia innalzò presso il primitivo oratorio nuova ampia chiesa. Nel 1443 giunto a Venezia San Bernardino da Siena, e presa stanza in questo convento, vi attrasse grande concorso di devoti per udire la divina parola, e per fare omaggio alla sua santità. Col venerabile apostolo strinse amicizia anche Cristoforo Moro, allora Senatore, poi Doge, il quale, alla morte di quel sacro oratore, gli fece erigere in San Giobbe maestosa cappella, e diede al chiostro maggiore estensione. Passato il Doge nel 1470 agli eterni riposi, legò a quel convento 10.000 ducati, e volle in quella chiesa aver sepoltura. Con queste ed altre consimili liberalità dei benefattori, il tempio venne fregiato di fini marmi, ed ebbe consacrazione nel 14 aprile del 1493. Nuovi ornamenti, e radicali restauri ed aggiunte si fecero poi a questa chiesa, per cui un’altra volta fu consacrata nel 14 aprile 1597 dal vescovo di Caorle Girolamo Righetti.

Soppresse le religiose corporazioni, la chiesa divenne sussidiaria di San Geremia.

Orto Botanico La vasta ortaglia adiacente, e gran parte del chiostro si convertirono nel 1812 in Giardino botanico per gli alunni del R. Liceo, verso quell’epoca eretto in Santa Catterina. La munificenza del governo protesse di continuo, e protegge tuttora questo stabilimento per lo studio della storia naturale. Il R. Erario generosamente provvede onde renderlo sempre più florido; ed a merito della zelante direzione che ne sostiene il Sig. Ruchinger, è divenuto ricco di circa 10.000 piante in gran parte esotiche. Nell’attuale vacanza del professore di botanica, supplisce lodevolmente anche a questo ramo d’insegnamento il benemerito Abate Zantedeschi, professore di fisica nel summentovato R. Liceo, e membro effettivo pensionato dell’I. R. Istituto.

Santa Maria delle Penitenti. Oratorio Sacramentale. Ne primordi del secolo XVIII, il pio Sacerdote Rinaldo Bellini, della congregazione dell’Oratorio di Venezia, eresse sulla fondamenta di Cannaregio, rimpetto a quella di San Giobbe, un ospizio a ricovero di quelle femmine traviate, che, pentite degli errori commessi, bramassero dedicarsi ad onesta vita, e ai religiosi esercizi. All’Ospizio si aggiunse elegante Oratorio per il divino culto. Lo stabilimento si trova provveduto abbondantemente di redditi propri, donati da piissimi benefattori: le ricoverate ascendono in via media a 70 od 80 di presenza.

Ospitaletto di San Giobbe. Oratorio. Questo piccolo edificio fu eretto nel 1512, e dedicato alla Madre di Dio. Vi è annesso un ospizio istituito dal Contarini di cui si è parlato disopra, nel quale dimorano povere femmine graziate di abitazione gratuita, e di una piccola sovvenzione annuale in danaro.

Oratorio della Dottrina Cristiana. Eretto intorno alla metà del p. p. secolo dal benemerito Ab. Zanuti per la istruzione religiosa degli abitanti del vicinato. Fu poi chiuso; ma da qualche tempo riaperto, venne restituito agli oggetti per i quali era stato fondato.

Santa Maria di Nazareth (Chiesa degli Scalzi). Oratorio Sacramentale. Alcuni religiosi della Riforma Carmelitana di Santa Teresa, giunti a Venezia l’anno 1633, vagarono sul principio in diverse contrade: alla fine, eressero nel 1649 il loro chiostro sulla sponda del Canal Grande, nel circondario della Parrocchia di Santa Lucia allor sussistente.

Ivi alzarono anche piccola chiesa, intitolata Santa Maria in Nazareth, a causa di una immagine di Maria Vergine che vi esposero all’adorazione dei devoti. Immagine custodita in antecedenza nella chiesa dell’isola di codesto nome, dappoi convertita in ospitale per le malattie contagiose, ora chiamata Lazzaretto Vecchio. Demolito in appresso quel piccolo sacro edificio, venne eretto nel 1680 il magnifico tempio che tuttora sussiste, con disegno di Baldassare Longhena. La facciata è opera di Giuseppe Sardi, interamente decorata di fino marmo carrarese, alla cui cospicua spesa provvide la generosità del V. P. Girolamo Cavazza.

La esterna come la interna ricchezza di questa chiesa attrae l’ammirazione degli osservatori, i quali ben a ragione lamentano, che tanto edificio abbia la goffa impronta del secolo XVII in cui fu condotto, epoca di grave decadimento delle Arti. Lasciato da Carmelitani Scalzi quel chiostro al momento della general soppressione, ne fu però conservata la chiesa come oratorio. Ristabilito da poco tempo quell’ordine regolare, alcuni padri si stabilirono nelle vicine abitazioni, e ricuperarono la ufficiatura dell’antica lor chiesa. Si trova in questa l’arca della patrizia famiglia Manin, nella quale fu deposta la salma dell’ultimo Doge della cessata veneziana Repubblica Lodovico Manin, mancato a vivi nel 23 ottobre 1802.

Santa Lucia. Oratorio Sacramentale. Sembra potersi da qualche documento arguire fondata questa chiesa nel IX secolo. Certo è però, che essa esisteva col carattere di parrocchiale nel 1280, quando, per ordine del governo, vi fu trasferito il sacro corpo della Vergine Martire San Lucia, il quale tradotto da Costantinopoli a Venezia sino dal 1204, era stato deposto nel tempio de Benedettini a San Giorgio Maggiore. Nel 1444 questa parrocchia venne aggregata al poco lontano convento del Corpus Domini, e sotto la giurisdizione di quelle Monache si ufficiava dal pievano. Intorno a quel tempo, alcune pie donne, preso l’abito del Terzo Ordine dei Servi di Maria sotto la regola di Santì Agostino, si collocarono in una casa a codesta chiesa vicina, nella speranza di erigervi un monastero, con un sacro edificio sotto la invocazione di Maria Vergine Annunziata.

Mancando però di mezzi onde realizzare il progetto, quelle religiose ottennero, non però senza gravi contestazioni, che la chiesa e parrocchia di Santa Lucia si staccassero dal convento del Corpus Domini, e fossero lor consse, lo che ebbe effetto nel 15 maggio 1476. Sorsero allora fra i due monasteri altri gravi dissidi per il possedimento del corpo della santa titolare, che le suore del Corpus Domini fecero in tempo di notte rapire, e nascosero nel loro chiostro. Rifiutandosi queste alla restituzione della sacra reliquia, decretò il governo, che si murassero tutti gli accessi di quel convento per modo che niuna cosa vi si potesse introdurre. La minaccia di sì rigoroso blocco persuase le monache alla restituzione del sacro corpo, il quale riposto nella Chiesa di Santa Lucia cui apparteneva, vi è tuttora venerato.

Con il girare degli anni divenuto cadente quel tempio, il Cav. Bernardo Mocenigo P. V. vi fece erigere, sul declinare del secolo XVI, con generoso dispendio, in magnifica forma, la cappella maggiore, nella quale fu eretto il busto di lui, scolpito da Alessandro Vittoria. Si diede poi mano alla riedificazione anche del rimanente di quel sacro edificio con modello ben degno di A. Palladio che lo architettò: e benché l’opera si sia compiuta nel 1617, venne con tanta diligenza seguito il progetto, da non deplorare, per questo, che ne fosse premorto l’autore. Difatti il tempio si annovera fra i meglio architettati della città.

Soppresso dappoi il convento, e concentrata la parrocchia in quella di San Geremia, si conservò la ufficiatura di questa chiesa come Oratorio Sacramentale. Il chiostro fu concesso alla pia Marchesa Canossa di Verona, che venne a fondarvi un istituto di educazione per le fanciulle di povera condizione: vi entrarono quindi le Figlie della Carità, che l’occupano tuttora, prestandosi con ottimo risultamento ai pietosi loro esercizi. Passata la fondatrice a ricevere in cielo la corona alle sue benemerenze dovuta, fu prescelta chi fosse degna di Lei onde succederle, al qual uopo venne affidato il pio stabilimento a donna Angela Bragato direttrice generale delle figlie della Carità, il cui segnalato zelo e religiosa sollecitudine lo rendono sempre più florido ed utile al sociale costume, per cui ha potuto meritare l’altissimo onore di essere accolto sotto l’augusto manto di S. M. l’imperatrice e regina felicemente e gloriosamente imperante.

Destinato testé quel locale agli usi della vicina Stazione della strada ferrata Ferdinandea, fu provveduto al passaggio di quelle suore nel già chiostro di Sant’Alvise, il quale per tale oggetto venne ora dalla sovrana munificenza cospicuamente restaurato e adattato.

Chiese secolarizzate

Chiesa e Convento del Corpus Domini. Si prolunga la città verso occidente con un capo chiamato una volta Cao di Zirada, sul quale anticamente era stabilito un cantiere. Ivi appunto Lucia Tiepolo, Abbadessa del Monastero dei Santi Filippo e Giacomo in Ammiano, isoletta di queste Lagune, per divina ispirazione si trasferì nel 1375 onde fondare un convento della regola di San Benedetto, ed eresse umile chiesa sotto la invocazione del Corpo di Cristo. Dopo alcun tempo, vivente ancora la pia fondatrice, demolita la prima chiesa, altra ne fu costrutta di maggior dimensione, con alquanto spazioso chiostro, nel quale entrarono molte vergini.

Deposto da esse per bolla del 1393 di Papa Bonifazio IX, l’abito di San Benedetto, vestirono quello di San Domenico. Prosperava il cenobio, quando, nel 1410, un turbine lo percosse, e lo danneggiò gravemente. Fantino Dandolo P. V. poi Vescovo di Padova, commosso dalla sventura di quelle suore, fece erigere a proprie spese nel 1440 nuovo magnifico tempio, dappoi consacrato nel 12 luglio 1444 da San Lorenzo Giustiniani, allora vescovo di Castello, innalzato più tardi alla dignità patriarcale. Poco appresso si aggregò a quel convento la vicina parrocchia di Santa Lucia, la quale poi ne venne staccata per unirla nel 1476 a quello delle monache della Santissima Annunziata, come abbiamo veduto di sopra versando intorno alla chiesa di Santa Lucia.

Le largizioni del benefattori, e il copioso concorso delle sacre vergini fecero sommamente fiorire le Domenicane del Corpus Domini, sino a che dovettero esse pure subire il destino delle altre, al momento della generale soppressione di tutte le religiose corporazioni. Secolarizzata la chiesa, e reso libero il chiostro, furono l’una e l’altro atterrati nel 1810, e su quell’area si stabilì una fabbrica di candele di cera tuttora sussistente, con casa di abitazione privata.

Scuola de Nobili. Questo piccolo edificio, di cui si era cominciato decorare in marmo il prospetto, esiste tuttavia, benché convertito ad usi privati. In quest’oratorio ebbe sede la prima Confraternita del Santissimo Sacramento che si sia eretta, alla quale venivano ascritti soltanto individui delle alte classi, perciò detta Scuola de Nobili.

Scuola del Santissimo Sacramento di Santa Lucia. Altro oratorio sorgeva presso la Chiesa di Santa Lucia, parimenti ufficiato da una Confraternita del SS. Sacramento, il quale pur venne ridotto ad usi diversi.

Intorno al Campo di S. Giobbe si annoveravano per lo addietro quattro Cappelle dedicate a Maria Vergine della Pietà, alla devozione de Barcajuoli di Mestre, all’ufficiatura de Pellizzai, a S. Bernardino, tutte quattro o demolite, o ad usi secolari ridotte.

Località meritevoli di particolare menzione

Dalla fondamenta di San Geremia procedendo verso San Giobbe, si trovano i seguenti Palazzi:

Labia Ora proprietà di S. A. il Principe Lobkowitz. Maestoso e ricco Edificio, disegnato da Andrea Cominelli, architetto che fioriva nella prima metà del secolo scorso. La sala è decorata di preziose pitture a fresco. Giovanni Battista Tiepolo vi rappresentò le nozze di Marc’Antonio e Cleopatra, e la loro partenza per il mare, con altre storie e allegorie, Girolamo Mingozzi-Colonna esegui la parte architettonica e la ornamentale.

Manfrin Ora di ragione della Nob. Marchesa Platis di Mantova, nata Cont. Manfrin. Lo fece erigere, sul declinare dell’ultimo spirato secolo, il fu Conte Girolamo Manfrin, che vi impresse orme non dubbie del suo genio per le Arti belle. Egli lo decorò di preziosa collezione di pitture, particolarmente della scuola veneziana, che ne manifestano le varie fasi pel corso di ben tre secoli. Essa è disposta con bell’ordine in dieci ali dell’edificio, e contiene molti pezzi degni di ammirazione. Estinta quella famiglia, il palazzo passò col rimanente della eredità alla dama summentovata, la quale ha il merito di conservarlo nella primiera sua condizione, lasciando aperta la galleria e quadri al concorso degli ammiratori.

Savorgnan. Ora proprietà del barone Galvagna. Eretto nel secolo XVII con modello di Giuseppe Sardi. Questo maestoso edificio venne decorato nel suo interno con nobiltà ed ottimo gusto dal proprietario attuale, che lo fregiò di preziose pitture, e fece anche convertire in ameno giardino l’adiacente terreno.

Palazzo Surian Sorge questo palazzo sulla opposta fondamenta, poco lungi dall’Ospizio delle Penitenti. In esso teneva residenza il ministro britanno accreditato presso la cessata Repubblica.

Ponti

Il Canale che scorre fra le suaccennate due Fondamente, è attraversato presso le sue estremità da due ponti, i quali, dopo quello di Rialto, si annoverano tra i più ragguardevoli della città. L’uno, chiamato di San Giobbe, è magnifico: i tre archi che lo sostengono lo rendono solidissimo. Andrea Tirali ne fu l’architetto. L’altro, detto Ponte di Cannaregio, (vulgo delle Guglie), erasi edificato la prima volta nel 1285: più tardi fu costrutto di nuovo d’un solo arco elittico molto ardito, che grandemente onora il suo architetto.

Prendendo da quest’ultimo Ponte la via conducente a Santa Lucia, s’incontrano i seguenti palazzi.

Flangini. Alta mole con bel prospetto architettonico in marmo, respiciente sul Canal Grande. Sarebbe ancor più magnifico se non mancasse dell’ala destra. Apparteneva a questa illustre famiglia, ora estinta, Lodovico Flangini, quel desso che nel 1717 attaccò ai Dardanelli tutta la flotta turca, e dopo due giorni di sanguinosissima pugna, ferito mortalmente, si fece portare sul cassero della sua nave, per meglio ordinar la battaglia, e compiere la vittoria, che gloriosamente coronò l’ultimo suo respiro.

Di Spagna Vasto edificio, così chiamato per la residenza che vi teneva l’ambasciatore di sua maestà cattolica presso la Veneta Repubblica.

Crotta Fabbrica colossale che si specchia nel Canal Grande, appartiene al Co. Calbo P. V. erede della famiglia Crotta di cui assunse anche il nome in aggiunta al proprio.

Lion-Cavazza. Poco lunge dalla Chiesa di Santa Lucia, la patrizia famiglia Lion-Cavazza fece innalzare questo palazzo nel secolo XVII, di cui appalesa il cattivo gusto. Il prospetto, lasciato privo dell’ala sinistra, è ricco di marmoree, ma goffe, decorazioni. Era una volta assai rinomato per le sue amene adiacenze nello spazio vicino, le quali furono distrutte: tutto l’edificio giace ora in grave deperimento.

Strada Ferrata Ferdinandea e Gran Ponte sulla Laguna

Negli edifici che sorgono in riva del Canal Grande fra le Chiese degli Scalzi e di Santa Lucia, si eresse la prima Stazione della strada ferrata ferdinandea, destinata a congiungere con rapidissima comunicazione le due capitali di questo regno, Venezia e Milano. A tergo di quel caseggiato, esisteva un informe interrimento chiamato Sacca di Santa Lucia, il quale rialzato, livellato e prolungato regolarmente, forma ora l’area su cui si eressero le tettoie e gli altri locali a servizio ed a comodo della stazione.

L’estremità dell’interrimento di cui si parla, confina colla laguna; ivi appunto comincia il ponte meraviglioso su quell’ampio catino gettato, opera degna dei più bei tempi dell’Egitto e di Roma, ben superiore a molti di quel monumenti dell’antichità, dei quali tanto si ammirano i pochi ruderi tuttora conservati.

Il Gran Ponte è costituito da 222 arcate, fra le quali sono disposte, a convenienti distanze, cinque piazzette di forma rettangolare: la maggiore di esse tiene il mezzo, sorgono le altre quattro, tutte eguali di dimensione, due al di quà, due al di là della maggiore.

Questo colossale manufatto percorre nel suo complesso una linea di metri 3,601:43, che tale appunto in quel sito è l’ampiezza della Laguna. l’arciduca d’Austria Ranieri vice-re del regno Lombardo Veneto ha degnato stendere nel giorno 25 aprile 1841 l’augusta sua mano per collocare, di tanta opera insigne, la prima pietra, benedetta dall’eminentissimo cardinale Jacopo Monico Patriarca di Venezia, con solenne intervento delle primarie autorità, e festoso concorso di tutte le classi della popolazione. Incominciato il lavoro dopo la metà di quell’anno 1841, si condusse con tanta sollecitudine a compimento, che nel giorno 11 Gennaio 1846 fu inaugurata l’apertura del ponte gigante: la di cui costruzione richiese il dispendio di circa cinque milioni e sei centomila Lire Austriache.

L’ingegnere in capo Sig. Giovanni Milani profondamente edotto nei lunghi suoi viaggi de sistemi delle strade ferrate, fu scelto sin dal principio per comporre il progetto di tutta la linea della nuova strada da Milano a Venezia. Egli comprese nel suo lavoro anche il ponte che attraversar doveva la laguna, del quale il piano era digià tracciato dall’ingegnere sig. Tommaso Meduna. Ritiratosi poi temporariamente il sig. Milani da quel servigio, ne assunse le veci il sig. Ingegnere in Capo Luigi Duodo, che modificò alcun poco il progetto del ponte, e approvata dal governo la sua riforma, fu commessa in base della medesima la esecuzione. Venne questa diretta dall’ingegnere sig. Andrea Noale, e tutta l’opera fu condotta colla massima diligenza dal veneziano sig. Antonio Busetto soprannominato Petich, esperto maestro che in moltissime altre pubbliche costruzioni difficili e di alta importanza, aveva dato saggi di onestà e di sapere.

La testa di Ponte alla Stazione di Venezia congiunta, si divide in due sezioni, fra le quali scorre il Canale Colombola, escavato nel letto stesso della laguna, e attraversato da un ponte militare di legno che conserva il livello medesimo degli archi murati. La testa della estremità opposta, sorge sulla così detta Barena di San Giuliano ove s’innesta alla strada ferrata che scorre per il continente. Lateralmente ai parapetti del gran Ponte, e all’altezza del piano stradale, si costruirono due canaletti, apparecchiati per servire al progetto dell’acquedotto che si ha in mira di erigere, per introdurre a Venezia le acque limpidissime del fiume Sile, e abbandonare il laborioso e dispendioso antico sistema tuttora seguito, d’importare, a mezzo di barche, l’acqua dolce, frequenti volte men pura, del Brenta.

La costruzione del Ponte richiese, come si è veduto disopra, la spesa di circa 5.600.000 Lire Austriachez Per quattro anni e mezzo vi furono impiegati, in via media, mille lavoratori ogni giorno si adoperarono 80 mille pali di larice per le fondazioni, 10 mille metri quadrati di grigliato, 110 mille chilogrammi di ferramenta, 21 milioni di mattoni cotti, 5 mille metri cubi di pietra d’Istria: se si fecero 30 mille metri cubi di escavazione di terra, 7 mille metri cubi di muratura a pietra perduta, 30 mille metri cubi di terrapienamenti, 8 mille metri lineari di ture.

Ghetto

Ho già esposto qual sia la generale opinione sulla etimologia della voce Ghetto attribuita al quartiere degli Ebrei, senza proponimento peraltro di contrastare la sentenza di quelli che fanno procedere questa parola dal Caldeo o dal Siriaco, idiomi nei quali significa chiesa o congregazione, ove appunto i seguaci della religione d’Israello si raccoglievano. Antichi documenti fan fede, che sino dal 1152 gli Ebrei avevano stanza in Venezia, e nel secolo XIII costituivano un corpo sociale chiamato università, composto di tre nazioni denominate Levantina, Ponentina, e Tedesca. Alcuni abusi da quegli individui commessi, determinarono il governo ad allontanare la società, la quale nel 1394 fu confinata in Mestre. Col processo del tempo tornarono gli Ebrei a spargersi in varie contrade della città; tollerò il governo l’arbitrio loro, ma impose l’obbligo di portare sul capo un segnale che dai cristiani li distinguesse.

Nel 1516 ottennero il privilegio di accasarsi stabilmente in Venezia, sotto condizione di fissare tutte le loro abitazioni nel quartiere loro assegnato sotto il titolo di Ghetto. Giaceva questo, nel primi tempi, presso la sponda del Rio di Cannaregio, ove tuttora esiste un’apertura chiamata Sottoportico del Ghetto d’onde si internava sino al Rio del Battello. Tal caseggiato è compreso nella Parrocchia di San Geremia di cui ora si parla.

Divenuto angusto il quartiere per l’aumento dei suoi abitanti, fu prolungato oltre il Rio del Battello; e questa parte assunse il nome di Ghetto Nuovo, il quale si trova nella periferia della Parrocchia di San Marciliano; per tale ampliazione il Ghetto primitivo si chiamò Ghetto Vecchio. Cresciuti ulteriormente di numero e di ricchezza gli Ebrei, ottennero nuova aggiunta di abitazioni, la quale si distinse dalle altre col titolo Ghetto Nuovissimo, che occupa uno spazio nell’attuale Parrocchia dei Santi Ermagora e Fortunato (San Marcuola).

In codeste tre conterminanti frazioni tenne dimora quella Nazione sino alla caduta della veneta aristocrazia, dopo la quale fu libera di abitare dovunque. Nondimeno le sue sinagoghe rimasero ne rispettivi circondari del Ghetto ove erano già stabilite, ed ove anche al di d’oggi sussistono. Innestati per questo modo gli Ebrei alla general società, altri abbracciarono il cristianesimo, altri molti si diedero con ammirabile solerzia agli studi delle scienze, lettere ed arti, e si applicarono all’esercizio di nobili ed utili professioni, talchè divennero operosissimi, benefici, ed ottimi sudditi di pubblica utilità e di decoro.

Feste Veneziane

Festa del Corpus Domini, corsa di barche chiamata Fresco

Decretata da Papa Adriano IV la Festa del Corpus Domini, il Veneto religioso governo l’adottò per i suoi stati con risoluzione 31 maggio 1295. Si celebrava in quel giorno solennemente il divino ufficio nella Ducale Basilica di San Marco, con intervento del Doge, delle primarie autorità, e delle corporazioni regolari e secolari. Dopo la messa, usciva dal tempio la processione, che girava intorno alla piazza decorata pomposamente; nella quale compariva anche il capo della Repubblica con maestoso corteggio, e numeroso accompagnamento de magistrati.

In quella devota marcia, ciascun patrizio camminava appaiato ad un pellegrino che gli stava alla destra; e quando più tardi le peregrinazioni per Terra Santa cessarono, vennero sostituiti i poveri della città, che il posto stesso dei pellegrini occupavano. La pia cerimonia esercitava potente influenza sullo spirito pubblico, manifestando essa i riguardi e la imparzialità del governo verso tutte le classi, anche infime, della nazione, come altresì l’accessibilità e la modestia del patriziato; consolidando il principio, essere la nobiltà un distintivo che impone l’obbligo di esser migliore, come la ricchezza stabilisce quello di esser benefico.

Nelle ore pomeridiane di quel santo giorno, la Confraternita del Sacramento detta Scuola de Nobili, già eretta, presso la Chiesa del Corpus Domini, vi trasferiva con festoso apparato alla Parrocchiale di San Geremia onde ricevervi l’ostia consacrata, la quale con devotissimo raccoglimento si recava e si esponeva all’adorazione nel suaccennato tempio delle monache del Corpus Domini, con che si dava principio ad un solenne ottavario. Grande era il concorso di tutte le classi degli abitanti a quella sacra funzione, cui le persone più agiate, per la distanza del sito dal centro della città, con le gondole si tragittavano.

Visitato religiosamente il tempio, profittavasi della sua posizione sulla sponda del Canal Grande per mettere a prova in atletica gara il valore dei gondolieri, i quali tessendo con rapidità e con particolare destrezza le onde, procuravano ai lor padroni il sollievo di godere dell’aria fresca, solita nella estiva stagione spirare sull’imbrunire della sera. Da ciò quel corso di barche venne chiamato Fresco, e sino d’allora se ne conserva l’uso ed il nome. (1)

(1) ANTONIO QUADRI. Descrizione topografica di Venezia e delle adiacenti lagune. Tipografia Giovanni Cecchini (Venezia, 1844)

Parrocchia di San Geremia dall’Iconografia delle trenta Parrocchie – Pubblicata da Giovanni Battista Paganuzzi. Venezia 1821

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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