Il Palazzo dei Gonella a San Giobbe, nel Sestiere di Cannaregio

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Area dove sorgeva il Palazzo Gonella. Fondamenta San Giobbe Sestiere di Cannaregio

Il Palazzo dei Gonella a San Giobbe, nel Sestiere di Cannaregio

Nell’ultimo tratto della fondamenta di San Giobbe dopo il ponte Saponello, tra la casa Amadi e l’attuale Macello Pubblico, sorgeva nel Cinquecento uno dei più bei palazzi veneziani: il palazzo dei Gonella, da cui prese il nome la calle e l’adiacente corte (ora privatizzate).

Gonella, narra una cronaca anonima del Codice 839 della nostra Marciana, “veneno da Cremona in un Piero Gonella, cerusico famoso, et da lui è discesa la chà Gonella“, famiglia cittadinesca originaria e ricchissima calata nelle lagune verso il trecento. A Venezia i discendenti di Piero si dettero alla mercatura, possessori di navigli propri commerciavano con l’Oriente in pelli, droghe, sete e lane; nella contrada di San Geremia dove abitavano possedevano parecchie case, una gran tintoria vicino alle “chioverette“, e una villa e alcuni campi sulle rive del Brenta.

Alvise Gonella, capo della casa, pensò nei primi anni del Cinquecento di far costruire un proprio palazzo e, scelto il sito sulla Fondamenta di San Giobbe, sorse così per opera forse del Coducci o di uno dei suoi allievi una delle più eleganti costruzioni della Rinascenza, di perfetto stile lombardesco, dalla bella facciata armonicamente proporzionata, adorna di decorazioni pittoriche, con un grande arco d’ingresso, cortile e atrio sontuosi, scalone ampio e magnifico. L’arredo interno non era meno splendido della bellezza esterna: le stanze dai soffitti a cassettoni dorati avevano tutte il loro “camino de marmoro de Carrara lavorato de figure et de fogliame“; la mobilia che nel Cinquecento aveva acquistata leggiadria senza perdere la sua nobiltà, era ricca, intagliata, intarsiata, dipinta; le tappezzerie erano di panno d’oro, d’argento, di stoffe preziose; dai soffitti pendevano lampadari di Murano, e sulle pareti sporgevano, sorrette da braccia, lampade di foggia orientali di rame e di bronzo, incise e smaltate. La cronaca Barbo descrivendo un turbine spaventoso che imperversò su Venezia il primo luglio 1541 racconta che “rovinò tutti li camini della somptuosa, magnifica et nobilissima chà de li Gonella a santo Job in la contrada di Cannaregio” indicando così lo sfarzo e lo splendore di quel palazzo.

In questa dimora di arte e di ricchezza si svolsero parecchie feste e famosa fu quella data del 1546 dalla Compagnia della Calza, sezione degli eterni, per l’amissione di un Gonella nella compagnia, festa che durò tre giorni e in cui si spesero in banchetti, rappresentazioni, concerti e balli più di settemila zecchini d’oro, somma enorme per quei tempi.

Nel 1650 se il palazzo era sempre proverbiale per le sue feste aveva pure acquistata allora una triste rinomanza per le sue frequenti baraonde, alterchi baruffe; era capo della famiglia un Giovanni, uomo prepotente e violento, marito di Agnese Vignoni, il quale in una delle solite zuffe bastonò talmente il suocero Giulio da fargli guardare il letto per quasi due mesi. La Quarantia criminale lo condannò al bando per anni cinque con sentenza 4 gennaio 1656, bando che venne revocato dopo circa un anno avendo Giovanni ottenuto il perdono dal parente offeso. Ma la pace non ritornò nel palazzo e il 30 0ttobre 1665 Giovanni Gonella fu di nuovo condannato al bando, e questa volta in perpetuo, per aver in un impeto d’ira dato un violento pugno sul viso alla propria sorella Marcolina, tanto violento da schiantarle un occhio. Poi con barbara ferocia, raccolto quel povero bulbo insanguinato, lo gettava nel fuoco.

Già molti e molti anni il commercio si era arrenato, la tintoria vicina alle “chioverette” si era dovuta chiudere per mancanza di lavoro, le campagne sul Brenta erano tutte ipotecate, e Pietro l’ultimo rampollo del prepotente Giovanni se volle vivere dovette nel 1722 vendere il palazzo alla famiglia patrizia Valier di Santa Maria Formosa. Pietro Gonella fu l’ultimo della famiglia, morì nel 1729 e fu sepolto nell’atrio del convento di San Giobbe per gratitudine di quei frati che ricordavano le tante cospicue elemosine dei Gonella in favore del loro monastero.

Nel 1756 abitava nel già palazzo dei Gonella il senatore Stefano Valier con la moglie Teodora Giubencovich quando nella notte del 15 ottobre scoppiò nel palazzo un terribile incendio. a stento si salvarono i proprietari, accorsero gli Arsenalotti e i popolani della contrada ma il palazzo fu completamente distrutto. La famiglia Valier si rifugiò nelle sue case a Santa Maria Formosa e il palazzo di San Giobbe non fu più rifabbricato.

Così spariva uno dei palazzi veneziani più belli ed oggi rimane solo ricordo “una grande stella” sopra un muro diroccato di corte Gonella l’antico stemma di quella famiglia cittadinesca. (1)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 23 ottobre 1929

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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