Parrocchia di San Marco Evangelista

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Basilica di San Marco,

Parrocchia di San Marco Evangelista

Località In origine, questa isoletta chiamavasi Morso, forse a causa della tenacità del suolo; poi la detta Broglio o Bruolo per la erbosa sua superficie.

Chiesa

Fondazione La prima Chiesa eretta in questa situazione fu sacra a San Teodoro; si reputa innalzata intorno all’anno 552 per ordine di Narsete, vincitore dei Goti, onde mostrarsi riconoscente per l’aiuto prestatogli dai Veneziani nelle operazioni di quella guerra. Bono da Malamocco e Rustico da Torcello avendo nell’898 trasferito coi lor navigli da Alessandria a queste isole la salma dell’Evangelista San Marco, la nazione, esaltante per il preziosissimo acquisto, intenta al dignitoso collocamento di quelle sacre reliquie, costruì all’uopo altra chiesa o cappella vicino alla preesistente di  San Teodoro.

Questo santo, fino allora patrono, cedette la primazia al testé giunto Evangelista, sotto gli auspici del quale inalberarono i Veneziani le loro insegne con l’alato Leone che presenta il Vangelo. La popolare sommossa scoppiata al tempo di Pietro IV Candiano, gettate le fiamme nel Ducale Palazzo, fece rovinare per quell’incendio anche gran parte dell’adiacente chiesa e cappella. Il pio doge Pietro I Orseolo, succeduto all’estinto Candiano, si diede nel 976 al restauro del Palazzo, ed a rialzare novello maestoso tempio in onore di San Marco. la piccola cappella, presso la sacrestia, si serbò a San Teodoro, convertita più tardi a residenza del Sant’Ufficio, destinata ora ad usi diversi per il servigio della basilica.

Tanto era il religioso fervore del doge, e della nazione, che fu decretato di costruire la più bella e più ricca chiesa che fosse al mondo. Senonchè, dopo la caduta della Grecia, e di Roma, gli antichi esemplari architettonici essendo per la massima parte o distrutti, o in grave deperimento, la decadenza delle arti non permetteva che si restaurassero, e meno ancora che si imitassero; perciò nacque allora quello stile che sente della orientale magnificenza, e della imperizia degli uomini, e prese il nome di Bizantino, perché negli edifici della Metropoli del greco Impero erasi sviluppato.

Da quelle contrade adunque si chiamarono artisti per fondare la nuova basilica, sul modello di quella di Santa Sofia di Costantinopoli, che tanto aveva segnalato il nome di Giustiniano per i tesori in essa versati. La costruzione dovette però subire le modificazioni richieste dai materiali che dai ruderi della Grecia solevano i Veneziani qui trasportare nelle loro navigazioni e conquiste, e si ponevano in opera senza scrupolosa osservanza delle regole architettoniche. Il lavoro non poté non sentire l’influenza altresì del gusto arabo che in quella età dominava, e quella pure del sistema di edificare introdotto anche in Italia quando signoreggiavano i Goti, per cui fu chiamato Gotico. Seguendo la varietà dei principi architettonici, degli eterogenei elementi, e di più generazioni di artisti, procedette l’erezione del sommo edificio per il corso di un secolo, a compimento giungendo regnante il doge Domenico Silvio o Selvo, eletto nel 1074.

E allora, e nei secoli successivi, fu decorato di ricchi fregi in marmo, in bronzo, e in mosaico: pochi però dei primitivi musaici giunsero sino a noi, poiché il tarlo del tempo richiese che si rinnovassero. Eccettuata la sostituzione agli antichi di alcuni nuovi musaici, e l’aumento degli ornamenti, il Tempio presenta tuttora la originaria sua integrità; e la serie delle decorazioni, altre primitive, altre rinnovate od aggiunte, offre la storia delle arti in Venezia dal secolo X sino ai di nostri.

Parrocchia

Abbiamo veduto nel discorso preliminare, che Angelo o Agnello Partecipazio, primo doge eletto in Rialto, isola che stendeva il suo nome anche sullo spazio adiacente alla nostra Basilica, e che fu il nucleo intorno al quale si è formata Venezia, istituì questa chiesa in Cappella Ducale.

Destinò alla sua ufficiatura un sacerdote col titolo di Primicerio, cioè primo notato nella tavola di cera degli ufficianti; dignità che alla vescovile si avvicinava. Infatti quel Primicerio, oltre la cura d’anime del suo circondario, esercitava i diocesani diritti sopra altre chiese parrocchiali a lui sottoposte; e più tardi, cioè nel 1252, delle insegne episcopali fu rivestito. I Cappellani che lo assistevano ottennero poi da papa Martino V il titolo di Canonici, non però confondibili con quelli che formavano il capitolo della veneta Cattedrale, anteriormente stabilita nella chiesa di San Pietro a Castello. Il primo fra i Primiceri fu quel Demetrio Tribuno che nell’819 contrassegnò di sua mano la donazione fatta dal doge Partecipazio all’abate di San Servilio, della vasta tenuta di Sant’Illario. Il secondo Primicerio si chiamava Staurazio, da Alessandria venuto accompagnando il corpo di San Marco.

Il Patronato di questa chiesa spettava al doge, che perciò intitolawsi “Nos solus Dominus Patronus, et unicus Gubernator Ecclesiae divi Marci”. Egli appunto istituiva il Primicerio, il quale era indipendente da qualunque ecclesiastica superiorità dello Stato. Due fra i cappellani canonici sostenevano le incombenze di sacrestani, e questi, per turno settimanale, disimpegnavano le funzioni di parroco. Tali prerogative, e tale sistema gelosamente si conservarono dalla Repubblica sino alla sua caduta, anzi le sopravvissero per qualche anno. Ho già fatto conoscere, come la cattedra eretta sino dai primi tempi della veneta società nella chiesa di San Pietro, si sia trasferita di fatto sino dall’anno 1807 nella Basilica di San Marco; quindi soppressa la giurisdizione del Primicerio, il Patriarca divenne capo di tutta la diocesi.

Nel 1808 ebbe luogo la concentrazione delle parrocchie, la quale modificata nel 1810 ne fissò i circondari tuttora sussistenti. In quel movimento si assegnarono alla Parrocchia di San Marco quelle di San Basso, e di San Giminiano; come ancora varie frazioni di tre altre, cioè San Paterniano, San Giuliano, e San Moisé. Soppresse queste cinque parrocchie, le chiese di San Basso, San Giminiano, e San Paterniano furono secolarizzate; ma quelle di San Moisè e San Giuliano si tennero aperte al culto divino, benché spogliate dei parrocchiali diritti. A maggiore ampliazione della Parrocchia di San Marco, le si unirono in quella circostanza alcune contrade altresì delle due conservate Parrocchie di San Salvatore e San Luca. Nessuna sottrazione ebbe l’antico circondario di San Marco, fuorché il distacco delle prigioni, che si unirono a quello di San Zaccaria.

Chiese nel circondario di questa parrocchia attualmente ufficiale

San Moisè. Sussidiaria. Assicurano i cronologi, questa chiesa essere stata eretta al tempo di Giovanni Galbajo Doge nel 787, a spese della famiglia Scoparia, con la quale concorse anche l’Artigera. Sembra s’intitolasse originariamente a San Vittore, e più tardi, ricostruita a cura di Moisè Venier, a San Moisè profeta si dedicasse. Era una delle antiche parrocchie di Venezia, e tal si mantenne sino alla riforma di cui si è detto. Sofferto l’incendio del 1105, venne rialzata; finalmente nel 1652 fu di nuovo costrutta; poi nel 1688 con generoso dispendio della Famiglia Fini, Alessandro Tremignan ne innalzò il marmoreo prospetto che segna la decadenza delle arti di quella età.

San Giuliano. Oratorio Sacramentale. Giovanni Marturio verso l’anno 832 fece erigere questa chiesa, sin dall’origine parrocchiale. Distrutta dall’estesissimo incendio del 1105, la famiglia Balbi accorse a riedificarla; divenuta cadente per vetustà, fu nuovamente alzata nel secolo XVI con modello di Jacopo Sansovino, che la decorò di elegante facciata in marmo, di cui sostenne in gran parte la spesa Tommaso Rangone da Ravenna, medico e filologo insigne, la statua in bronzo del quale si ammira sopra la maggior porta.

San Gallo. Oratorio Sacramentale. Questo piccolo sacro edificio apparteneva all’Ospitale ivi eretto quando, nel 1581, si distrusse l”altro fondato dal Doge Orseolo che sorgeva in Piazza San Marco. Era una volta Abazia, e dipendeva dal Primicerio di San Marco.

Santa Croce. Oratorio Armeno. Protetti dal veneto governo, si stabilirono in questa città, sino dal secolo XII, molti negozianti venuti d’Armenia. Più tardi, un loro connazionale lasciò pingue legato per la erezione a favore di essi di un’abitazione più ampia di quella che possedevano, con chiesa annessa; quindi nell’anno 1496 s’innalzò, nel circondario di San Giuliano, quest’oratorio, alla cui ufficiatura veniva un cappellano autorizzato dal patriarca cattolico dell’Armenia, e riceveva il temporale possesso dai Procuratori di San Marco. Nel 1694 occorse riedificarlo, alla quale epoca nuove discipline si stabilirono riguardo alla elezione del cappellano, al possesso e alla ufficiatura.

Chiese secolarizzate

San Basso Soppressa questa parrocchia, e secolarizzata la chiesa al momento della suddetta concentrazione, fu però conservato il suo marmoreo prospetto, opera del 1661, e che serve a mostrare la condizione delle arti sul declinar di quel secolo.

L’Ascensione. Nel sito indicato nella tavola, sorgeva una chiesa la quale, con l’adiacente abitazione, apparteneva all’Ordine dei Cavalieri Templari, istituito sino dall’anno 1118. Soppresso l’ordine nel 1311, passò questo stabilimento ai Cavalieri Gerosolimitani, i quali nel 1324 ne fecero vendita ai Procuratori di San Marco. Locate per qualche tempo ad una famiglia di religiosi, ne fu poi nel 1400 convertita la casa ad uso di albergo (era detto della Luna), ma conservata la chiesa, vi fu stabilito un rettore. In origine, l’oratorio s’intitolava Santa Maria in capite brolii, probabilmente perché ivi faceva capo lo spazio verdeggiante, ossia bruolo, costituente la Piazza San Marco, coperta di erba prima che fosse data mano ad ammattonarla. La confraternita dello Spirito Santo, chiamata dell’Ascensione, in questa chiesa introdotta, le comunicò il proprio nome. Ricostruita nel 1597, continuò ad ufficiarsi sino alla secolarizzazione del 1810.

San Giminiano Gli scrittori convengono, che quando Narsete edificò intorno all’anno 552 sulla nostra piazza la Chiesa di San Teodoro, di cui si è parlato, altra rimpetto a quella ne dedicasse ai Santi Menno e Giminiano. Era però a quel tempo la piazza di breve estensione, e circoscritta dal Canale Batario fluente sulla linea di quel marmo rosso che ancora sussiste innestato nel pavimento verso la metà della Piazza attuale, cui di recente fu aggiunta iscrizione che ne conserva memoria.

Sulla sponda di codesto canale sorgeva la Chiesa di San Giminiano, ma nel 1156, o secondo altri nel 1173, volendo il governo prolungare la piazza, fu interrato il canale, e demolita la chiesa, che si rifece più addietro, là dove ha poi sussistito sino al 1807. Gravi contestazioni si agitarono fra la Repubblica, e la Santa Sede per quella demolizione; la controversia venne composta con l’obbligo del doge di visitare ogni anno la nuova Chiesa di San Giminiano nella Domenica della ottava di Pasqua, ossia degli Apostoli.

S’ignora il nome dell’architetto della chiesa edificata nel 1173, però sappiamo che, minacciando rovina, si prese a rialzarla nel 1507, per opera di Cristoforo dal Legname: rimasto incompleto il lavoro, se ne commise, nel 1532, la prosecuzione a Jacopo Sansovino, il quale poi, nel 1557, ne innalzò la facciata, con cui ebbe cura di mettere in armonia le differenti forme architettoniche delle Vecchie, e delle Nuove Procuratie, le quali ripiegandosi entrambe all’estremità della Piazza, verso i fianchi del Tempio si prolungavano.

Nel 1807, il governo italiano, convertite le Procuratie Nuove in Palazzo Reale, innestò a questo tutta la linea che abbracciava la chiesa e i conterminanti due tronchi delle Procuratie Vecchie e Nuove: quindi atterrata allora essa chiesa, come ancora il braccio vicino delle Procuratie Vecchie, fu adoperata quell’area per il magnifico ingresso che ora vediamo, nel quale sorge la Scala maggiore della Imperial Residenza.

Cappella di Sansovino. Sulla destra di chi entrava nella Chiesa di San Giminiano, sorgeva una piccola cappella, che occupava la prima arcata del braccio delle adiacenti Procuratie Vecchie, come si può osservare anche in una tavola della mia opera sulla Piazza San Marco. Il capitolo della parrocchia aveva concessa quella cappella a Jacopo Sansovino onde erigervi il proprio sepolcro; quindi, venuto a morte, nel 1570, fu nella medesima tumulato, però in semplice tomba contrassegnata da epigrafe; su di che parla diffusamente il Cicogna nel IV volume delle Veneziane Iscrizioni. Per la demolizione del 1807, le ceneri del sommo artista si trasportarono nella Chiesa di San Maurizio, d’onde poi nel 1820 trasferite nell’oratorio annesso al Seminario Patriarcale presso la Chiesa della Salute, vi ebbero decoroso collocamento, con epigrafe ed urna, cui fu sovrapposto il suo busto, digià lavorato da Alessandro Vittoria.

Località meritevoli di particolare menzione.

Piazza San Marco Dalla facciata della basilica si stende la piazza per la lunghezza di piedi veneti 505 1/12 ossia metri 475 70/100. Varia ne è la larghezza: la maggiore si trova sulla linea del Campanile, ove, compresa l’area di questo, si contano piedi veneti 235 9/12, ossia metri 82. La minore costeggia la Nuova Fabbrica, ove era San Giminiano, e ascende a piedi veneti 162 5/12 ossia metri 56. 50/100.

Piazzetta. Presso l’angolo delle Procuratie Nuove, si apre altro spazio quadrilatero, che si chiama Piazzetta. Questa procede verso il Molo, e, compresa la parte di detto Molo che ne forma continuazione, è lunga piedi veneti 278 10/12, ovvero metri 97. La sua larghezza dall’angolo delle Procuratie Nuove sino al punto opposto del Palazzo Ducale, è di piedi veneti 140 1/12, ovvero metri 48 70/100. Verso l’estremità, cioè dove sbocca sul Molo, è larga piedi veneti 117 10/12, ovvero metri 41.

Piazzetta dei Leoni Una sezione della Piazza Maggiore si prolunga fra un lato della Basilica, e la secolarizzata Chiesa di San Basso, formando ivi una figura quadrilatera in capo alla quale figurano due Leoni di marmo rosso, perciò chiamata Piazzetta dei Leoni. E lunga Piedi Veneti 130, larga in via media Piedi Veneti 60. La Piazza e ricinta da tre lati da una linea di gallerie, che continua anche lungo il conterminante braccio della Piazzetta, e forma la serie di 428 arcate, componenti la lunghezza di piedi veneti 1.280, ovvero metri 445 60/100.

Gli individui soliti raccogliersi in folla su queste piazze alla evenienza degli spettacoli, possono occupare tutto al più tra piedi quadrati di area per ciascheduno; quindi la superficie suesposta offre la misura del numero degli spettatori, i quali, in tale supposizione, monterebbero a 48.313: a questi sono da aggiungersi molti altri che occupano le Gallerie, le adiacenti botteghe, e i grandi edifici alle piazze medesime circostanti; per la qual cosa, senza taccia di esagerazione, si può stabilire, che questo recinto, quando è ricolmo di gente, presenta il convegno di circa 60 mila individui.

Ecco la planimetria della Piazza San Marco e sue adiacenze; ciò sia in relazione con la topografia di Venezia che mi accinsi ad esporre. Ho dimostrata superiormente la impossibilità d’inserire in questa opera la descrizione storico-artistica dei monumenti che le fanno corona: d’altronde, la topografia non contempla nè storia, né arti. Nondimeno, volendo porgere qualche cenno dell’una e delle altre, mi limiterò ad indicare di quei monumenti la posizione, cominciando dall’angolo della Piazzetta ove al Molo si unisce, e proseguendo con l’ordine a seconda del quale gli uni agli altri materialmente succedono.

Palazzo Ducale Nell’anno 809, per l’invasione di Pipino, di cui si è detto nel discorso preliminare, trasferita la residenza del governo da Malamocco a Rialto, il Palazzo del Doge fu eretto nel sito ove tuttora sussiste. Rovinato in gran parte dell’incendio che vi appiccarono gli insorgenti contro Pietro II Candiano, si restaurò da Pietro I Orseolo successore di lui, nel 976. Più tardi, Sebastiano Ziani, Doge nel 1171, lo fece più vasto e più adorno. Verso la metà del XIV secolo, si diede mano a nuova ampliazione, ed a più ricca decorazione, per opera di quel Filippo Calendario che fini sul patibolo, per avere offerta l’assistenza dei suoi artefici al Doge Marino Falier propostosi di rovesciare la costituzione della Repubblica, il quale pure pagò colla sua testa la trama.

Calendario innalzò la maggior sala colla facciata sul Molo, continuandone la euritmia anche sulla Piazzetta, ma solo per il tratto compreso dalle sei prime arcate che sorgono in questa, ove ora la gran guardia trovasi stabilita. Il rimanente dell’ala lunghesso la Piazzetta medesima, apparteneva bensì allo stesso edificio, ma sotto altre forme, e venne continuato, seguendo il disegno del Calendario, nell’anno 1494, doge Francesco Foscari.

Poco appresso, cioè nel 1439, si eresse alla estremità di quest’ala, il principale ingresso del Palazzo, cioè la Porta della Carta, così detta perché ivi solevano affliggersi i pubblici editti: mastro Bartalommeo in l’architetto che la innalzò, lasciandovi scolpito il suo nome. La figura dell’edificio è quadrangolare: il lato sul Molo viene sostenuto da 47 arcate componenti una linea di piedi veneti 905 6/12, ovvero metri 74,50: quello sulla Piazzetta presenta 48 arcate sopra una linea di piedi veneti 215 7/12, ovvero metri 75. Il lato opposto a quello sporgente sul Molo, non ha esterna facciata, essendo addossato alla Basilica di San Marco, nè forma una linea retta, ma bensì tortuosa, di oltre piedi veneti 300, perchè si ripiega seguendo il perimetro della stessa Basilica, e internandosi in qualche parte al suo tergo. Il quarto lato, cioè quello che scorre lungo il canale chiamato Rio di Palazzo, e che dal Ponte della Paglia giunge a quello di Canonica, è lungo piedi veneti 344. Il ricco marmoreo prospetto che lo riveste, fu costrutto nei secoli XV e XVI. Queste dimensioni stabiliscono la circonferenza del palazzo, che uscendo a circa 1.100 piedi veneti.

Si apre nel suo interno spazioso cortile, che presenta quasi la stessa figura dell’esterno perimetro. Magnifici sono gli interni prospetti di questo cortile; distinguesi, per la copia, e finezza degli ornamenti, quello che è in linea con la Scala dei Giganti. Questa scala, quella chiamata d’oro, ed altre ancora, gli apparlamenti, le aule, tutto è maestoso, ricco, e adattato alla cospicuità della residenza del corpo sovrano.

L’incendio sviluppatosi l’anno 1574 nell’abitazione del Doge, cioè verso l’estremità settentrionale del palazzo, pose il guasto alla Sala del Senato e a quella dell’adiacente Collegio, stendendo le fiamme anche ai tetti della Cancelleria, e della Sala della scrutinio. Molti celebri artisti ripararono quelle rovine, fra i quali si è segnalato Palladio, dando elegante novella forma all’anticamera del Senato, chiamata Sala delle quattro Porte. Altro più grave incendio, nel 20 dicembre 1577, divorò il tetto della Sala dello Scrutinio, e quello, ancora più vasto, della vicina Sala del Maggior Consiglio; le fiamme distrussero la preziosa suppellettile di quelle aule, dell’ingegno dei più famosi pittori di già decorate. Dopo esami e discussioni le più mature, fu commesso il ristauro dell’edificio ad Antonio Da Ponte, che seppe ristabilirlo nella primitiva sua condizione; e quei maestri che ancora erano in vita, come gli allievi di alcuni dei trapassati, spiegarono la maggior valentia per decorarlo di nuove pitture.

L’abitazione del Doge, e famiglia sua, era stabilita sino dai primi tempi nelle stanze respicienti sopra il cortile, ed altre conterminanti, che formano continuazione alla sala chiamata dello Scudo: nell’anno 1620 si diede a quegli appartamenti qualche estensione, prolungandolì verso il Ponte di Canonica, e verso la Piazzetta dei Leoni, costruendo allora la Sala dei Banchetti, ed il quarto che fu testé convertito in Palazzo Patriarcale. Verso il tempo medesimo, cioè fra il 1645 e il 1620 si riformò anche quel lato del cortile ove è l’Orologio, togliendone la Scala Foscara, cosi chiamata perché eretta in quel sito al tempo del Doge Foscari, sostituita forse ad altra più antica sulla quale Marino Falier fu decollato; e decorando quel prospetto nella maniera tuttor sussistente. In quella circostanza, venne anche eseguita l’altra difficilissima operazione di levare le vecchie arcate di sesto acuto che giravano intorno al cortile nel lato conterminante con la facciata dell‘Orologio, e nell’altro che gli succede, e di sostituire alle medesime nuove arcate di tutto centro, quali si vedono al giorno d’oggi.

Dopo tali riforme, il palazzo non ha subito alcun’altra variazione, fuorché qualche interno adattamento in questi ultimi anni eseguito nelle stanze adiacenti alla Biblioteca, onde renderle atte agli usi della medesima, e la conversione ad uso del Patriarca degli appartamenti del Doge respicienti sulla Piazzetta dei Leoni.

Il corpo del grande edificio ha un carattere arabo, e mostra l’ardimento come la perizia di chi lo ha concepito e condotto. Le svariate e preziose decorazioni che copiosamente lo fregiano, mostrano la condizione delle arti, la maestria degli artisti, la magnificenza e generosità del Governo. Echeggiano quelle aule delle gravissime discussioni che dall’809 al 1797 sostennero la esistenza politica della Repubblica. Seguendo il costume degli antichi Egizi, i quali scolpivano sulla Reggia e sul templi le azioni magnanimo dei loro Eroi, il Governo Veneto lasciò nella sua residenza, come gli Ateniesi nel loro Pecile, la rimembranza dei gloriosi suoi fasti. La Maggior Sala presenta, lungo il sinistro lato, le gesta che condussero alla conquista di Costantinopoli. Nel destro lato, si ammirano quelle che riconciliarono l’Impero e la Chiesa ai tempi del Barbarossa. In capo alla sala, figura il trionfale ritorno del Doge Andrea Contarini dopo ripresa Chioggia e dispersi i Genovesi coi loro alleati, che tanto dappresso minacciato aveano Venezia. All’opposta parte sorgono tuttavia le vestigia del trono ducale, il cui splendore non rimase offuscato che un sul momento per l’abdicazione del 12 Maggio 1797, da pochi deboli consiglieri provocata e ottenuta. Tracciò bensì quell’ultimo consesso la pagina nera della veneta storia, ma non ha scancellato con questa il glorioso volume di 14 secoli.

Basilica di San Marco. Della fondazione di questo tempio abbiamo parlato superiormente: la sua forma è greca; ha tre facciate, la maggiore sulla Gran Piazza; le due laterali sorgono l’una verso il Molo, l’altra sulla Piazzetta dei Leoni. E’ lungo piedi veneti 220 ovvero metri 70,50 compreso il vestibulo, il coro, e la spessezza dei muri. La sua larghezza, sulla linea della porta maggiore, e piedi veneti 448 ovverometri 54.80, ed alla Crociera è piedi veneti 480 ovvero metri 62:00. Il suo perimetro descrive una linea di piedi veneti 950 ovvero metri 330:50,400. Il Prospetto principale è lungo piedi veneti 448: 44,42, ovverometri 54:80,400: alto piedi veneti 73, ovvero metri 25:40,400, non comprese le statue ed altri ornamenti che lo coronano. Il tetto è sormontato da cinque cupole, disposte in forma di croce: la maggiore s’innalza dal pavimento piedi veneti 440, ovvero metri 38,30 non compresa la lanterna e gli ornamenti esteriori. L’euritmia interna è regolare; la facciata presenta uno stravagante miscuglio di greco, di arabo, e di gotico; c’è di tutto, dice il Temanza; nondimeno il complesso sorprende e allatta l’osservatore. 

Campanile di San Marco. Sorge nell’angolo che divide la Piazza dalla Piazzetta: la sua posizione giova ad occultare la irregolarità della prima. Le fondamenta di questa torre si gettarono l’anno 902: nel 1150 era continuata fino alla cella delle campane: nel 1178 fu eretta la guglia, ma in forma diversa della presente: Un fulmine nell’11 Agosto 1187 la fece cadere: indi venne rialzata nell’attuale figura, per opera di mastro Bartolammeo Buono, dal 1510 al 1544. L’altezza totale di questa mole è piedi veneti 284, ovvero metri 98,60 la sua larghezza alla base e piedi veneti 37, ovvero metri 12,80. Ornatissima Loggia è addossata ad un lato della parte inferiore della torre: questo piccolo elegante edificio fa costrutto nel 1540 da Jacopo Sansovino, che lo decoro di marmi, di sculture finissima, e di statue in bronzo. L’interna sala serviva ad uso del Procuratore di San Marco che comandava la guardia montata degli artefici dell’Arsenale, quando sedeva il Maggior Consiglio della Repubblica.

Palazzo Patriarcale. La residenza del veneto Patriarca era stabilita, sin dall’origine, presso la chiesa, già Cattedrale di San Pietro di Castello. Trasferita nel 1807 la cattedra, come abbiamo veduto, nella Basilica di San Marco, si occupò il governo dell’abitazione del metropolitano in prossimità della stessa. Dopo molti progetti s’innalzò a questo uso, il Palazzo, con facciata corintia, che sorge sulla Piazzetta dei Leoni, sopra modello di Lorenzo Santi.

Facciata della Chiesa di San Basso. Soppressa la parrocchia, e secolarizzata la Chiesa di San Basso, ne fu conservato il prospetto, come ho già detto.

Torre dell’Orologio. È sommamente ammirabile il punto di vista che si offre all’osservatore quando dalla Merceria entra in Piazza passando sotto la volta che sostiene questa torre. L’edificio è intonacato di marmi finissimi, e di molto oro. Si divide in 4 ordini corinti: architetto Pietro Lombardo: anno 1496. Magnifico quadrante in esso innestato, indica le ore, le fasi lunari, i segni dello zodiaco ecc.; l’interno macchinismo è opera molto ingegnosa di Giovanni Paolo e Carlo da Reggio anno 1499: il celebre Ferracina di Bassano, nel 1755, vi fece radicale restauro, ed aggiunte. Le due ali di questa torre si riformarono nel 1757 da Andrea Camerata, o secondo alcuni dal Temanza.

Procuratie Vecchie. Questo Edificio, così chiamato perché stanza una volta dei Pracuratori di San Marco, costeggia quasi interamente uno dei lati maggiori della Gran Piazza. E’ composto di 50 arcate, sopra le quali s’innalzano due ordini corinzi affatto consimili, con due finestre arcuate sopra ciascuna arcata del primo ordine. Sopra il terz’ordine, si alza spazioso fregio, da merlatura elegante coronato. La sua lunghezza e piedi veneti 439, ovvero metri 459,60, l’altezza uscendo a piedi veneti 54, ovvero metri 48,85. Se ne reputa autore mastro Bortolammeo Buono, che io condusse dal 1540 al 1544. Opinano alcuni, che il modello fosse tracciato da Pietro Lombardo, che Guglielmo Bergamasco lo abbia eseguito, e mastro Buono sia stato soltanto il direttore dell’opera.  

Palazzo Reale (Procuratie Nuove). In tre grandi sezioni conviene distinguere questo monumento, che abbraccia tre linee l’una all’altra congiunte ad angolo retto e componenti 78 arcate. Il corpo di mezzo è formato dalle Procuratie Nuove che s’alzano rimpetto alle Vecchie. Destinato questo edificio ad abitazione dei Procuratori di San Marco in sostituzione a quello ove prima erano stabiliti, prese il nome di Procuratie Nuove. Queste cominciano lateralmente al Campanile nel sito ove si uniscono al fabbricato dell’antica Biblioteca, e procedono in linea retta sino all’angolo che le attacca alla Nuova Fabbrica di cui parleremo. La loro lunghezza e di piedi veneti 384, divisa in 36 arcate. La facciata ha tre ordini; Dorico, Ionico, Corintio. Le prime dieci arcate, verso il Campanile, si eressero dallo Scamozzi intorno al 1584: lui morto, si continuarono da altri architetti, l’ultimo dei quali fu Baldassare Longhena verso il 1625; i quali seguirono lo stesso disegno, ma non la medesima finezza di esecuzione, perché allora le arti cominciavano a sentire la decadenza. A fianco del Campanile, l’arcata 36.a s’innesta alla prima delle tre che succedono, le quali tre arcate appartengono all’edificio della Biblioteca. Essa Biblioteca alza maestosa fronte sulla Piazzetta, all’estremità della quale gira ad angolo retto sul Molo con tre altre arcate, corrispondenti a quelle che sorgono presso il Campanile. L’euritmia di questo prospetto è magnifica: si divide in due ordini, Dorico e Ionico. Sopra il secondo ordine, si alza ornatissimo fregio con piccole finestre per illuminare l’interno. Sansovino, cui fu commesso d’innalzare un monumento degno di custodire i parti della mente dei dotti, diede mano nel 1536 a quest’opera insigne, dall’Aretino con magistrale sentenza chiamata superiore all’invidia, e alla quale Palladio candidamente tributò l’omaggio della più alta sua ammirazione. Lo Scamozzi, erigendo le Procuratie Nuove che si attaccano a questo edificio, segui lo stesso sistema della Biblioteca nei primi due ordini, ma invece del ricco fregio, vi aggiunse un terzo ordine, che non ottenne il plauso degli intelligenti.

Procuratie Nuove. Quel braccio del Palazzo Reale che si stende con 45 arcate dall’ angolo delle Procuratie Nuove sino alle opposte Procuratie Vecchie, chiamasi Nuova Fabbrica; perché, come ho detto, in gran parte costrutto dal cessato governo italiano, per ivi aprire magnifico ingresso, e innalzare nobile scala corrispondente alla maestà della reggia. L’architetto Antolini nel 1807 si pose all’opera, ma non riuscendo soddisfacente il suo piano, si demolì quanto avea fatto, e il  Soli di Modena, a lui succeduto, diede all’edificio altra forma, continuando sulla piazza la stessa fronte del preesistente tronco delle Nuove Procuratie, ma con l’aggiunta di un fregio gravemente pesante. Eresse nell’interno spaziosa scala e magnifiche sale, e innalzò a tergo un prospetto di sua invenzione che merita encomio.

Stendardo. Dinanzi alla Basilica, sorgono sulla gran piazza tre antenne destinate a sorreggere gli stendardi del governo, piantate sopra tre Pili, o piedestalli di bronzo, lavori finissiml di Alessandro Leopardo: anno 1505.

Colonne Acritane. Verso la Porta della Carta che da ingresso al Palazzo Ducale, stanno due isolati Pilastri, lavoro orientale dei primi secoli del Cristianesimo. Non si saprebbe addir la ragione del collocamento di quei due marmi, se la storia non ci insegnasse, che furon gli stipiti della Porta del Tempio di San Saba in Acri, incendiato dalle venete forze che ne scacciarono le genovesi, i quali stipiti, dalle fiamme serbati, furono qui trasferiti dal valoroso ammiraglio Lorenzo Tiepolo nell’anno 1256, e qual trofeo di vittoria in quel sito cospicuissimo eretti.

Colonne sulla Piazzetta. Più cospicuo trofeo presentano le due Colonne di orientale granito alla estremità della Piazzetta innalzate, qui venute dall’Arcipelago nel 1125 per il valore del Doge Domenico Michiel, quando reduce da Terra Santa, diede severa lezione al greco imperatore Calojanni onde usasse alle venete insegne rispetto. L’una sostiene la statua di San Teodoro, l’altra, il Leone alato, il quale trasferito nel 1797 a Parigi, in qui rialzato nel 1846.

Zecca. Con la testa meridionale dell’antica Biblioteca contermina la Zecca; robusto edificio che manifesta colla sua gravità l’importante destinazione di custodire l’erario. La facciata ha tre ordini, Rustico, Dorico, Corintio. Opera di alto merito del Sansovino, anno 1535. L’ingresso terrestre di questa Zecca si apre sotto le arcate della Biblioteca con ampio vestibolo decorato dallo Scamozzi.

Giardini Reali. Dall’angolo della Zecca procede un ponte di già chiamato della Pescaria, perché sul vicino tronco del Molo si teneva mercato di pesce. Codesto ponte, ora elegantemente adattato. mette al Giardino Reale, che verdeggia a tergo del ex Palazzo Reale. Lo spazio di questo giardino era una volta occupato da cantieri per le galere, ma poi trasferite tutte le costruzioni navali dello stato nel grande Arsenale, divenne serraglio delle fiere che i Dogi per lusso e trastullo vi facevano custodire. Conservò nondimeno per qualche tempo la originaria denominazione di Arsenale. Nel 1340 si eressero in questa località i Pubblici granai, e la si chiamò Terranuova per essersi forse interrita qualche onda della conterminante Laguna. Fra quei fabbricati fu stabilita anche la residenza dell’antico Magistrato di Sanità: tutto fa però demolito nel 1808 per convertire in giardino quella spianata. Il Magistrato di Sanità si trasferì nel vicino palazzo, già Scuola dei Pittori, ove tuttora risiede.

Campo San Gallo o Ruzzolo o Canova. Si apre questa piccola piazza, o campo, dinnanzi l’Oratorio di San Gallo menzionato di sopra. Dicesi Campo Ruzzolo, corruzione di Oracolo, perché ivi fu trasferito l’ospitale dapprima eretto dal Doge Pietro I Orseolo in Piazza San Marco, a canto del Campanile, donde si tolse nel 1584 per far luogo alle Nuove Procuratie. In questi ultimi tempi prese altresì il nome di Campo Canova perché nell’adiacente casa del sig. Francesconi detto Florian, spirò Canova nel 1822, come lo mostra una lapide alla esterna parete di quell’abitazione innestata.

Mercerie. Da San Salvatore si stende con qualche lieve tortuosità sino alla Piazza, un calle fiancheggiato da due linee di botteghe, ove si vendono merci di vario genere, da ciò chiamato Merceria. Bajamonte Tiepolo, nel 15 giugno 1340, trapassato con una torma di ribelli il Ponte di Rialto, venne verso la piazza, e giunto all’estremità della Merceria, una femmina all’affacciarsi alla finestra fece cadere un mortaio ivi collocato a caso, il quale colpì nella testa l’alfiere di quella mano di armati, e lo stese morto nel sito indicato da un marmo bianco, che tuttora si osserva nel pavimento presso quella bocca di piazza. Baiamonte, e i seguaci di lui, sbigottiti dall’avvenimento, azzuffatisi col Doge in armi schierato in Piazza, furono ben presto respinti. Marco Quirini, con altra compagnia dal Calle dei Fabbri venuto, fu ucciso; quindi tutti rivolti in fuga, ripassarono il Ponte di Rialto, allora di legno, lo tagliarono, e presero posizione al di là del Canale, d’onde poi il governo li fece sgombrare, e se ne punirono i capi.

Giustina, o secondo alcuni Lucia Rossi, era la femmina che fece cadere il mortaio: volle il governo rimunerarla, ma essa limitò la sua richiesta ad ottenere soltanto l’utile dominio della casa e bottega ove abitava, col diritto di esporre dalle finestre, nelle pubbliche festività, lo Stendardo di San Marco. Quell’edificio, che porta ora i numeri rossi 486, 487, 488, 489, conserva tuttavia la denominazione di Casa e bottega di ragione della grazia del morter. Nel suo recente restauro, fu addossata alla sua esterna parete una scultura che rappresenta l’azione di quella donna.

Feste veneziane

Straniero a quest’opera, e troppo lungo sarebbe inserire la narrazione di tutte le Feste che nella Basilica di San Marco si celebravano, come di quelle che si diedero nella sua Piazza, la quale e per la centralità, e per l’ampiezza, e per la magnificenza, ad ogni genere di spettacoli nobilmente si presta. Quindi mi limiterò al breve sunto delle più rinomate.

Feste nella Basilica. Su quelle lastre di rosso marmo che fregiano il pavimento del Vestibolo di questo tempio, Papa Alessandro III, e Federico I detto Barbarossa, si diedero bacio di pace nel giorno 23, ovvero nel 24 luglio 1177. Fra i penetrali del tempio stesso, nel giorno primo, o quarto del seguente agosto, con solenne intervento del pontefice, dell’imperatore, del doge, e d’ampio circolo di prelati, principi e ambasciatori, si pubblicarono i Trattati di quel rinomato Congresso.

Nell’anno 1202 si giurarono in questo tempio i Patti della Sacra Lega dei Croce-segnati col Doge Enrico Dandolo, il quale poi, nel giorno 8 di ottobre dell’anno stesso, alla cima di 480 navigli salpò da Venezia, e gloriosamente condusse quella celebre spedizione coronata dalla Conquista di Costantinopoli, e dall’innalzamento di Baldovino Conte di Fiandra sul trono orientale dei Cesari. Molti sacri sinodi nella nostra basilica si raccolsero, e merita particolare menzione quello del 960, che pronunziò la scomunica contro coloro che il traffico esercitavano degli schiavi. Il veneto governo, manutentore delle pratiche religiose, imponeva con l’esempio la loro osservanza, ben conoscendo essere lo spirito religioso il cemento che stabilisce la solidità degli Stati. Benché vigile ad impedire alla potenza spirituale d’invadere i limiti della temporale, spiegava devoto rispetto pel Sacerdozio in quanto al sacro suo ministero si riferiva. Il Doge con la Signoria, e talvolta col Senato, assisteva di frequente ai divini uffici nelle diverse chiese, come abbiamo veduto, e vedremo in progresso, e segnatamente nella Basilica di San Marco.

Le principali festività in questa chiesa erano le seguenti:

  • 1.° Il primo dell’anno.
  • 2.° Il giorno 25 Marzo: anniversario della Fondazione della Città, avvenuta nel 421, da cui l’Era Veneta ebbe principio.
  • 3.° La Domenica delle Palme: Compiuta la distribuzione dell’Olivo, alcuni Sacrestani saliti sul Pronao della Basilica, abbandonavano al volo diversi uccelli, e fra gli altri dei colombi, aggravandoli di qualche piccolo peso, onde, impediti di troppo alzarsi, il popolo se li pigliasse, per cibarsene nella vicina Pasqua. Questa consuetudine introdusse quei colombi che, sfuggiti dall’esser preda, si annidarono fra i tetti della Basilica e del Palazzo, ove propagatisi, vanno anche al di d’oggi svolazzando tranquillamente in Piazza S. Marco.
  • 4.° I quattro ultimi giorni della Settimana Santa; anzi nella sera del Venerdì, il Principe interveniva alla Processione, che pomposamente girava intorno alla Piazza.
  • 5.° Il giorno della Santissima Pasqua.
  • 6.° Il 15 Aprile: giorno sacro a Sant’Isidoro, le cui spoglie mortali, dall’Oriente qui trasferite nel 1125 dal Doge Michiel, furono deposte in ricca Cappella della Basilica. In questa visita gli uscieri (Commandadori) del ducale corteo tenevano le torce rovesciate, rimembranza lugubre del tragico fine di Marino Falier, la cui trama contro lo stato fu scoperta appunto nella ricorrenza di quell’anniversario l’anno 1355: la sentenza che lo condannò, pronunziato nel giorno 16, si esegui nel 17 del mese stesso, col taglio della testa sul ripiano di una Scala del Palazzo, allora esistente poco lungi da quella dei Giganti, dappoi costrutto.
  • 7.° La Vigilia dell’Ascensione: li doge assisteva al vespro onde santamente si apparecchiava all’alta cerimonia dello Sposalizio del Mare che si eseguiva. nei di appresso, qual segno di Dominio sopra il medesimo, del che ho fatto cenno parlando del Bucintoro.
  • 8.° La Festa del Corpus Domini: celebrato il divino ufficio, girava in Piazza la Processione; la seguiva anche il Doge con in mano candela accesa al pare di tutti gli altri.
  • 9.° Il 31 Gennaio: Anniversario dell’approdo a Venezia del Corpo di San Marco, tolto dai sepolcri di Alessandria.
  • 10.° Il 25 Giugno: giorno memorando per l’Invenzione di quel sacro deposito. Nel medio evo, uno spirito ardente di devozione eccitava gli uomini pii ad un genere di furti che ora non si conosce, al trafugamento cioè delle reliquie dei santi. Per allontanare il pericolo di simili rapina, nascosero i Veneziani il corpo del loro patrono in un ripostiglio noto a pochissimi, i quali morirono senza lasciarne traccia. Condotta a compimento sul finire del secolo XI la riedificazione della Basilica, non si trovava il corpo che vi si doveva venerare. Nel fervore delle preci al cielo innalzate, e delle indagini che si praticavano, cadde una pietra del pilastro vicino all’Altare del Santissimo Sacramento, e il vano da questa lasciato, permise che il sacro corpo si rinvenisse. Tale scoperta nel 25 giugno del 1094 avvenuta, destò tanto giubilo, che ne fu istituito l’anniversario. Quelle reliquia rimasero esposte per alcuni mesi alla venerazione dei devoti; poi si deposero con somma cautela nella Sotto-Confessione, cioè nel coro sottoposto al presbiterio. Si chiusero quelle solennità con la cerimonia della consacrazione del tempio, celebrata nel giorno 8 ottobre di detto anno. Col giro dei secoli, la Sotto-Confessione, invasa dalle acque, diventò impraticabile; quindi, per non abbandonare nell’obblio il corpo del santo, ne venne tratto nel giorno 6 maggio 1811, e poi nel 26 agosto 1835 si festeggiò il solenne suo collocamento sotto la sacra Mensa dell’Altare Maggiore.
  • 11.° Il Giorno di San Marco, in onore del santo titolare, celebrava la Repubblica la ricorrenza della sua festa: ed anzi negli ultimi tempi si concentrarono in questa sole anche le due altre del 31 gennaio, e del 25 giugno, delle quali si è detto.
  • 12.° Verso l’estremità settentrionale del Palazzo Ducale, ove costeggia il coro della Basilica, si trovava una Cappella sacra a San Nicolò protettore dei Marinai. Si celebrava in questa nel 6 dicembre di ogni anno la commemorazione della conquista di Costantinopoli: esperti pennelli vi avevano rappresentate sulle pareti le gesta di quella famosa guerra; pitture che furono scancellate alla fine del secolo scorso, quando, per i rivolgimenti politici, quel piccolo sacro Edificio fu secolarizzato.

Feste Principali in Piazza San Marco.

1° Giovedì Grasso. Abbiamo veduto nel discorso preliminare, che Popone patriarca d’Aquileja nel secolo XI riunito aveva alla potestà spirituale anche la temporale sopra il Friuli. Tale dominio riusciva molesto al vicino Patriarca di Grado, isola dipendente dai Veneziani. Ulrico successor di Popone usando della sua forza, nel 1162, assali d’improvviso la Città di Grado, se ne impossessò e la diede a ruba.

Il Doge Vitale II Michiel all’annunzio del fatto raccolte le armi, comparve rapido ove si agitava la guerra. Vinti gli aquilejensi, riprese l’isola e seco addusse prigioniero il principe nemico, in unione a 42 dei suoi seguaci e a molti vassalli. Adoperatosi Ulrico per il ricupero della libertà, questa gli fa concessa con il patto che ad ogni anniversario della vittoria inviar dovesse a Venezia un toro e 42 maiali, i quali nell’ultimo Giovedì di Carnevale, chiamato Giovedì grasso, del governo si consegnavano all’arte dei Fabbri che avea prestato mano forte alla spedizione; quegli artefici, sulla Piazza San Marco, tagliavano la testa al toro, e squartavano i maiali, distribuendo al popolo quelle carni.

Assistevano allo spettacolo il Doge ed i magistrati, i quali poi, con acuminati bastoni, entravano nella Sala del Palazzo detta del Piovego, ove demolivano alcuni castelli di legno preparati a questo uopo, simboleggiando cosi la sconfitta dai vassalli friulani sofferta. Continuò in questo modo la festa sino al secolo XVI alla quale epoca, regnante Andrea Gritti, venne modificata, e perché i costumi erano raddolciti, e perché cessato avea la sovranità dell’Aquileiense, sino da quando il Friuli fa dalla Repubblica conquistato.

Nondimeno, per allettare il popolo, si conservò l’uso della decollazione di un toro, che doveva farsi di un solo colpo; e vi si aggiunse il volo di un marinaio robusto, il quale, munito di ali come se avesse dovuto volare, partiva da un naviglio presso la Piazzetta ancorate, e a mezzo di funi saliva sino alla cella del Campanile di San Marco, d’onde scendeva alla galleria del Palazzo Ducale e presentava un mazzetto di fiori al Doge ivi pomposamente sedente, dopo la qual cerimonia, seguendo la linea donde era venuto, faceva ritorno al Naviglio. A questo spettacolo succedevano le Forze di Ercole, indi un combattimento chiamato Moresca, nei quali esercizi gareggiavano i Castellani, e i Nicolotti, abitanti le due opposte estremità di Venezia, soliti a rivaleggiare fra loro. Una macchina di fuochi d’artificio chiudeva la serie di quei spettacoli, continuati sino alla fine della Repubblica.

2° Fiera dell’Ascensione. Dopo l’antichità, i Veneziani superarono le altre nazioni d’Europa nell’esercizio del traffico, per il cui movimento tenevano, sino dai primi secoli, settimanale mercato in Olivolo, e due fiere annuali e Murano per lo spaccio degli specchi, ed altri oggetti della merce vetraria. Migliorate col processo del tempo la condizione della città, e fatta celebre, alla venuta di Papa Alessandro III, la Festa dell’Ascensione, fu decretato nei 1180, che, alla ricorrenza di quell’anniversario, si tenesse una fiera franca in Piazza San Marco per otto giorni continui, dappoi prolungata a quindici giorni.

Affinché meglio sfoggiare si potessero le produzioni nazionali e straniere, fu costrutto, nel 1307, un ricinto di botteghe di legno, che al momento della fiera si innalzava nella piazza. Quel manufatto di tempo in tempo si rinnovò, e l’ultimo si costruì nel 1776 con disegno di Bernardino Maccaruzzi, e cui dispendio di ducati 57.088. Questo temporario edificio aveva forma di elissi, con quattro maestosi ingressi: tutto il circondario si componeva di botteghe, dinnanzi alle quali ricorreva una galleria sostenuta da eleganti colonne. In quel magnifico emporio comparivano in folla e compratori e curiosi, la mattina il bel sesso girava in nazionale costume, cioè in zendaletto, le nelle ore serali uomini e donne solevano mascherarsi in bauta.

Negli ultimi tempi, gli artisti ponevano in mostra su quella fiera le produzioni del loro ingegno; ed ivi appunto un garzoncello dall’umile villaggio di Possagno venuto, espose la statua dell’Orfeo che avea qui lavorata, per cui dal governo, nel 1779, mandato a Roma, divenne Canova. Nella fiera medesima si erigeva un fantoccio in forma di femmina con elegante costume, che dettava la moda del giorno. L’anno 1796 fu l’ultimo della fiera, perché nel 1797 più non esisteva in quei giorni il Governo creatore di tante utili istituzioni. (1)

(1) ANTONIO QUADRI. Descrizione topografica di Venezia e delle adiacenti lagune. Tipografia Giovanni Cecchini (Venezia, 1844)

Parrocchia di San Marco Evangelista dall’Iconografia delle trenta Parrocchie – Pubblicata da Giovanni Battista Paganuzzi. Venezia 1821

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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2 Commenti

  1. Non esiste la Parrocchia di S. Marco.
    Il Sestiere di S. Marco è suddiviso in 4 Parrocchie:
    – S. Moisè, di cui fa parte la Basilica di S. Marco
    – S. Stefano
    – S. Luca
    – SS. Salvatore (vulgo S. Salvador)

    • Se lei avesse letto più attentamente l’articolo, prima di sdegnarsi, si sarebbe reso conto che qui si parla delle trenta Parrocchie di Venezia dopo il loro riordino nel 1810, allora esisteva anche la parrocchia di San Marco come documentato da Giovanni Battista Paganuzzi e da Antonio Quadri.

      Cordialmente

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