Giovanni II Partecipazio. Doge XV. Anni 881-887
Rimasto, dopo la morte del padre, solo Giovanni a regger lo Stato, pensò di assicurare alla propria famiglia grandezza e potenza. Pertanto, essendo di quei giorni Comacchio governata dal conte Marino, il quale aveva dato motivo di noia al pontefice Giovanni VIII, spediva a lui in Roma, coll’assenso della nazione, il fratello Badoario, affinché ottenesse per sé l’investitura di quella contea, quantunque posseduta dal prefato Marino. Ma questi, penetrato lo scopo di quel viaggio, tese agguato, ed assalì Badoario nei dintorni di Ravenna, sicché, ferito gravemente in una coscia, cadde prigioniero e fu tradotto a Comacchio, ove venne, per timore della mala opera commessa, umanamente accolto e curato, e quindi rimandato a Rialto, non senza però la promessa, con sacramento, che non avrebbe mai sollecitato il risarcimento dello insulto patito. Non è a dire quale e quanto fosse il dolore del doge per la toccata sciagura di suo fratello, e più allorché lo vide soccombere poco poi; quale e quanto lo sdegno del popolo, che ad una voce si levò chiedendo se ne ritraesse pronta e severa vendetta. Allestitasi pertanto una flotta, piombò il doge sopra Comacchio, la prese, e postala a ferro ed a fuoco, corse quindi fin sotto le mura di Ravenna, saccheggiando le terre circostanti e devastandole. Indi, lasciati giudici e consoli nella domata città a tutela del proprio commercio, ritornava in patria soddisfo.
Venuto intanto per la seconda volta in Italia Carlo il Grosso, e, giunto in Mantova inviava colà il doge tre ambasciatori affine di ottenere un’altra fiata la rinnovazione e conferma degli antichi trattati. E largamente ciò conseguiva, siccome risulta dal diploma imperiale datato appunto da Mantova il dì 10 maggio dell’anno 883.
Intorno a questo tempo, e ne’ susseguenti anni accaddero vari fenomeni atmosferici. Narra il Sagornino di un insolito scroscio udito nell’ aere come di usci che si aprissero e chiudessero, ed una grande stella luminosa a guisa di fiaccola aver percorso il cielo dall’oriente all’occidente, e ciò nel mese di luglio dell’883; il che, come noia Filiasi, accenna ad un bolide accompagnato da elettrica esplosione. Poi succedettero dirottissime piogge, uragani, procelle, aurore boreali e caduta di polvere ocracea, onde fu detto piovesse sangue; e l’apparizione da ultimo di una cometa. In una di quelle procelle, e fu nell’885, le acque, sormontando i lidi, allagò le isole tutte fino all’altezza di otto a nove piedi; e mentre il mare grossissimo infuriava, il turbine sradicava gli alberi ed abbatteva le case. Tanta desolazione incolse del pari I’Italia universa e la Germania.
Caduto gravemente malato doge Giovanni, né potendo continuare a reggere lo Stato, si elesse, col consenso della nazione, a collega e successore il fratello Pietro; il quale, morto poco appresso, ebbe decoroso sepolcro in santo Zaccaria vicino al fratello Badoario.
Riavutosi nel frattempo Giovanni, riprese il governo, associandosi l’altro fratello Orso. Sennonché, ricaduto nuovamente infermo, né più sperando risanare, volle, con atto magnanimo, più unico che raro, deporre le insegne ducali. E perché il popolo fosse libero nella scelta del nuovo doge, indusse il fratello, che scorto aveva poco alto a reggere la pubblica cosa, a rinunziare pur esso alla dignità, ritirandosi a vivere gli ultimi suoi giorni fra le mura della casa paterna. Ciò avvenne dopo sei anni che aveva governato in pace e giustizia il suo popolo, vale a dire nell’887.
Si legge nel cartellino tenuto nella destra mano della immagine prima di questo doge, la seguente leggenda:
COMACLENSEM VRBEM SENATVI VENETO INFENSAM
VICTRICIBVS ARMIS NOSTIS SVBEGIMUS. (1)
(1) Il Palazzo Ducale di Venezia Volume IV. Francesco Zanotto. Venezia MDCCCLXI
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