Prete Vittore da Malamocco e la Campana di Sant’Alipio

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Piazza Maggiore. Malamocco

Prete Vittore da Malamocco e la Campana di Sant’Alipio

Viveva verso la metà del Quattrocento a Malamocco un tale prete Vittore che officiava nella Chiesa di Santa Maria dell’Assunzione ed era tenuto dai parrocchiani per uomo misterioso, avido di denaro e di pochissima religione. Si mormorava che un suo grosso cane nero “qual sempre con lui menava” avesse istinti diabolici, gli si rimproverava le sue passeggiate notturne e sospette verso la casa di una tale Aloisia donna di facili costumi e le frequenti gite che egli faceva a Venezia dove si diceva andasse per far vita allegra.

Alla fine di febbraio 1456 il prete scomparve da Malamocco e per parecchi giorni di lui non si seppe più nulla, quando improvvisamente il 18 marzo giunse la notizia che il giorno dopo prete Vittore sarebbe stato impiccato fra le colonne della Piazzetta di San Marco “perché laro (ladro) et sassin“. Nella notte molte barche da Malamocco cariche di gente spiegarono le vele verso Venezia per assistere all’esecuzione e in tutti era una viva curiosità di conoscere i fatti che avevano causato una così terribile condanna.

Il prete nelle sue ripetute visite a Venezia aveva conosciuto un certo Osvaldo venditore di cere nella calle San Basso dietro la chiesa di San Marco e discorrendo venne a sapere che il più ricco mansionario della Basilica era Mauro d’Otranto, il quale con la tenacità dell’avaro teneva le sue ricchezze infruttuose, gioielle, ducati, ungheri, in una cassa nella cameretta che l’ospitava in canonica. Quella notizia non gli dette più pace, s’informò delle abitudini del mansionario e seppe che ogni notte, poco prima dell’alba, il Mauro si recava in chiesa a cantar mattutino, e soltanto al suono della campana di Sant’Alipio che annunciava la fine delle preghiere ritornava al suo alloggio.

La notte del 12 marzo era tempestosa, infuriava il vento e scrosciava la pioggia; una vera notte da ladri, pensò prete Vittore, e dette esecuzione al suo progetto, studiato con fine accorgimento. Quando vide uscire il Mauro si arrampicò con l’aiuto di una pertica sul tetto della canonica, allora bassa e costruita di legname, sforzò un piccolo abbaino e per quello giunse nella camera del mansionario tendendo bene le orecchie e alla campana di Sant’Alipio.

Cercò dappertutto, frugò in ogni angolo e alla fine scoperse, nascosta sotto un cumulo di stracci e di vecchi indumenti, la famosa cassa; con un grosso coltello l’aprì e vide il tesoro, ma nello stesso tempo sentì un passo pesante avvicinarsi su per le scala di legno. Era Mauro d’Otranto: la campana di Sant’Alipio non aveva suonato per la tempesta che imperversava ed egli giungeva improvviso. I due preti si trovarono di fronte l’un l’altro, tutti e due armati: prete Vittore più giovane e più forte assalì per primo, la lotta fu aspra e terribile, ma il coltello del Vittore scannò il mansionario.

Scoperto l’assassinio, Osvaldo il venditore di cere narrò ai Dieci il suo sospetto su prete Vittore che troppo s’interessava delle ricchezze del Mauro; nello stesso giorno Vittore venne arrestato mentre banchettava all’osteria del “Selvatico“, gli si trovò indosso i denari rubati e sotto la tortura confessò il suo delitto.

Il 18 marzo dinanzi al patriarca Maffio Contarini, gli venne tolto l’abito ecclesiastico e dopo la ignominiosa cerimonia fu chiuso nella prigione dei condannati a morte in attesa della esecuzione. La mattina seguente prete Vittore pendeva dalla forca tra le due colonne della Piazzetta, ma prima di morire ebbe un ultimo rimorso e confessò di avere ammazzato tempo prima una vecchia danarosa di Malamocco per derubarla e di averla sepolta poco lungi dal convento di San Cipriano. Difatti trovato il cadavere, gli fu data sepoltura nell’atrio del convento.

Giovanni Malgarotto. Il Gazzettino. 18 aprile 1928

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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