Famiglia Veniero

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Fondamenta Lizza Fusina, 1845 (Dorsoduro) - Stemma Venier

Famiglia Veniero

Veniero. Vogliono i genealogisti discesa la famiglia Veniero dalla gente romana Aurelia, e annoverano tra i suoi ascendenti Valeriano e Gallieno, imperatori; affermando che, passata da Roma a Bisanzio, con Costantino, e quindi ritornata in Italia, ebbe dominio della città di Pavia, e ciò per concessione del prefato imperatore Valeriano suo consanguineo. Pervennero poi i Veniero a Vicenza, all’epoca dell’irruzione di Attila, o, come dice il Zabarella, allorquando vennero cacciati da Pavia dai Longobardi, e da Vicenza poi si tradussero nelle venete isole; variando però alcuni dei detti genealogisti in varie particolarità di poco rilievo. Quivi giunti, per la nobiltà dell’origine, e per le dimostrate virtù, conseguirono il tribunato, e quindi molti uomini illustri uscirono da loro, fra quali tre dogi. Ebbe, questa famiglia, dominio, per alcun tempo, sopra Cerigo e Paros, isole dell’Arcipelago, e sopra il castello di Zemonico, nella Dalmazia, e possedette il castello di Sanguinetto, nel Veronese. Si diramò poi, con le colonie, in Candia, ove fu assai potente, nonché in Corfù, e perfino nel regno di Napoli, giusta quanto affermano il Mormora e l’Adimari, quello nella Istoria di Corfù, e questi nelle sue Famiglie nobili . Fondò in Venezia le chiese di San Giovanni Decollato, di San Lodovico (Alvise), del San Sepolcro, e riedificò quella di San Moisé.

Nove arme diverse, della casa in parola, offre il Coronelli nel suo Blasone; in una sola ne usò più tardi; ed è uno scudo fasciato d’argento e vermiglio in sei pezzi, che è quello sottoposto al ritratto del nostro doge. Sennonché, nella tavola relativa, sbagliò l’artista, scambiandolo con quello superiore del Cornaro. Alcuni però della famiglia aggiunsero, per distinzione, un leone di San Marco nel capo dello scudo.

Del doge Antonio Veniero, detto Antoniazzo, poco si sa prima che ei fosse stato eletto doge. Nacque nel 1317 da Nicolò, uno degli elettori del doge Andrea Dandolo e consigliere; abitava a Santa Marina. Nell’occasione della guerra di Chioggia, il di lui fratello Almorò si trova allibrato nell’estimo per d. 3000. Antonio fu capitano eccellente e senatore prudentissimo, e venne adoperato dalla Repubblica in vari importanti negozi, fino al 1380, nel quale anno passò duca e capitano dell’armi in Candia, dove essendo, fu, come dicemmo, eletto doge.

Il magnifico monumento funebre, di questo doge, è collocato nella chiesa dei Santi Giovanni e Paolo, sopra la porta che mette nella cappella del Rosario. É costituito da un’ornatissima cassa, sorretta da cinque archi a sesto acuto di fronte e due per fianco, entro ai quali sono le statue delle virtù principali, e sulla cassa è disteso il simulacro del principe estinto. Superiormente sono tre mensole reggenti le immagini della Vergine e degli apostoli Pietro e Paolo, ed ai fianchi della cassa, sopra gli stipiti della porta sottoposta, vi sono quelle dei santi Domenico ed Antonio Abate. Ottimo ne è lo stile di tutte queste sculture, e tale da testimoniare il meritò grande a cui salì l’arte della scultura in quel secolo fra i Veneziani.

Il doge Francesco Veniero, nacque nel 1490, da Giovanni, detto Mosson, e da una figlia del doge Loredano, e fu in giovane età destinato savio in Terraferma, carica che la Repubblica concedeva per prima appunto a quei giovani che davano indizio di saviezza e di zelo. Infatti corrispondeva Francesco pienamente alle speranze della patria, che questa poco appresso lo destinava a podestà di Brescia, e nel 1534 a luogotenente in Udine. Contava poco più di nove lustri d’età, e la molta sua prudenza gli valse ud innalzarlo alla magistratura più gelosa, cioé al consiglio dei X, e quindi passava, nel 1537, a podestà di Padova. Spedito a Roma quale ambasciatore a Paolo III, per le cose d’Italia, vi fu accolto con ogni dimostrazione d’onore da quel pontefice amico dei Veneziani, e si narra che gli predicesse il principato, come avvenne. Tanta era la interezza e giustizia sua, che ripatriatasi, i canonici regolari di San Giorgio in Alga lo elessero conservatore della loro congregazione, ed il Senato lo destinava savio del consiglio e poscia consigliere. Da queste cariche d’onore partiva podestà per Verona nel 1554; e morto il doge Trevisano, veniva assunto al principato, siccome dicemmo. Il Veniero fu cultore degli ottimi studi, per cui vari scrittori gli dedicarono le loro opere, come fra gli altri può vedersi nella vita di lui scritta da Giorgio Renzone. Oltre il ritratto che di Francesco si vede nel fregio della sala del Consiglio Maggiore, e che è l’ultimo (procedendo quelli degli altri dogi, in ordine, nella sala dello Scrutinio) si vede la sua immagine, nella sala dei Pregadi, espressa da Jacopo Palma Juniore, in otto di presentare alla personificata Venezia le città, pur fatte persone, di Brescia, Udine, Padova e Verona da lui rette pria di salire al ducato.

Il nobilissimo monumento, eretto nella chiesa del Santissimo Salvatore ad onore del Veniero per volere di Pietro suo fratello, è opera di Jacopo Sansovino. Si solleva esso monumento sopra maestoso stilobate, che eguaglia in altezza il piedestallo dell’ordine ricorrente per tutto il tempio, e serve di sostegno alla mole, che si erge gigante fino a toccare colla sua cima la cornice del sopraornato della chiesa. E’ scompartita l’opera in tre intercolunni, risultando più largo il di mezzo mercé un’arcata, di cui è ricevuto il sarcofago colla statua distesa del duce estinto, il cui piedestallo reca la inscrizione che più sotto riportiamo. Nella mezzaluna dell’arco è collocato un bassorilievo, esprimente Cristo morto in seno della Madre Vergine, a cui si prostrano quinci il nostro doge, e quindi il Serafico di lui protettore; ne gli intercolunni di fianco sono inscritte due nicchie, che accolgono le statue della Carità e della Pietà. Tutta l’opera è di pietra istriana, tranne i fusti delle colonne e gli specchi dei piedistalli, che sono di greco, e le intarsiature dei campi che rilucono dei marmi più peregrini.

FRANCISCVS VENERIVS PRINCEPS
PRISCAE MAIORVM VIRTVTIS AC DISCIPLINAE VERE PRIVATAE,
NVLLO NEC ADVMBRATAE LAVDIS STIMVLO, NEC PRIVATAE
VTILITATIS ERRORE VNQVAM PERMOTVS, IN REGEN. POPVLIS SVMMAE
CONTINENTIAE, IN DICVNDA SENTENTIA SENATORIAE
GRAVITATIS PACIS ET CONCORDIAE AMANTISS. IN OMNI
SERMONE SAPIENTISS. SEMPER IN PRINCIPATV NIHIL PRAETER
ORNAMENTVM PRINCIPIS QVOD EST IVSTVM IMPERIVM
PVLCHERRIMVM LIBERIS CIVIBVS EXEMPLVM
VIX . AN . LXVI . DIES III . IN PRINCIPATV AN . I . MEN . XI . DIES XXII.
OBIIT . IIII . NON . IVNII M.D.LVI.

Il doge Sebastiano Veniero, nacque da Mosè, e fino dalla sua giovinezza si dimostrò eloquentissimo a petto dei migliori dell’età sua, sicché, sostenute da prima alquante cariche, passò a Brescia, nel 1562, siccome capitano, e con la sua prudenza e facondia, compose alcune differenze insorte a cagione dei confini coi Cremonesi. Due anni appresso, fu uno dei senatori deputati ad appianare altre differenze nate per la cagione stessa dei confini nella Carnia, ove per tale effetto tornava, nel 1507. Nel 1568 fu spedito, con molte milizie, provveditore a Corfù onde munire quell’isola per sospetto dell’armi ottomane. Fu quindi, al dire del Cappellari, avvogadore di comun, savio grande, consigliere e provveditore generale sopra le fortezze; conseguendo poi la stola procuratoria de ultra, il dì 15 maggio 1570, in luogo di Luigi I Mocenigo, eletto doge. Passò indi di nuovo provveditore generale a Corfù, ove instituì la cavalleria leggera, ed espugnò il castello di Sopotò. L’anno appresso si recò nella stessa qualità in Candia, e colà essendo, fu eletto capitan generale di mare, ed a merito suo principalmente si conseguì la famosa vittoria alle Curzolari, in cui rimase ferito di freccia in un ginocchio. Ritornato in patria nel 1573, fu il suo ritorno un vero trionfo. Imperocché, incontrato da cinquanta senatori, e smontato al molo, veniva accolto dai patrizi fra le acclamazioni giulive del popolo, nel mentre lo precedevano le turche spoglie e le conquistate bandiere e le armi ed i prigioni. Egli, vestito colle assise proprie dei generali supremi, procedeva maestoso, tramezzo alla moltitudine occorrente, e giunto alla porta della basilica di San Marco, gli si fece incontro il doge Luigi Mocenigo, col Senato, rallegrandosi seco lui del felice suo arrivo e della conseguita vittoria. Assistette dappoi ai sacri misteri, celebrati con la più splendida pompa, portandosi poscia alla sua dimora. Nella venuta a Venezia del re Enrico III di Francia, fu il Veniero uno fra i quattro destinati a portargli l’ombrello ; e nel 1575 era savio del consiglio, infinché, dopo la morte di Luigi Mocenigo, fu elevato alla suprema dignità della patria, come dicemmo. Ebbe a moglie Cecilia Contarini q. Natale, la quale non poté coronarsi dogaressa, atteso l’incendio accaduto nel Palazzo ducale.

La di lui fama guerriera fu si diffusa, che l’arciduca Ferdinando, co. del Tirolo, amando raccogliere nel suo castello d’Inspruch le armature dei grandi re e dei capitani famosi, chiese alla Repubblica, nel 1577, col mezzo degli ambasciatori straordinari inviati all’imperatore Rodolfo II, Giovanni Michiel e Leonardo Donato, l’armatura del nostro Sebastiano, che, secondo nota il Sansovino, gli fu spedita. Il ritratto del Veniero si vede anche espresso da Paolo Veronese, nel dipinto figurante il Salvatore in gloria, collocato sul trono ducale, nella sala del Collegio, inciso ed illustrato nella Tavola LXXXIII; e si vede pur anco il suo busto in fino marmo, scolpito da Alessandro Vittoria, sull’interna porta che metteva nelle sale d’Armi, ora Istituto di scienze, lettere ed arti, anche questo inciso ed illustrato nella Tavola CXVIII.

Il sepolcro del nostro doge, è in piano terra, nella citata chiesa di Santa Maria degli Angeli a Murano. L’inscrizione, che però noi non potemmo leggere ora (1862), essendo quella chiesa in attualità di restauro, dice, secondo la riporta il Moschini, che la trasse forse dal Cornaro:

HIC MAGNI PRINCIPIS ATQVE INVICTI SEBASTIANI VENERII OSSA,
DVM ILLI DIGNA ERIGANTVR MAVSOLEA. (1)

(1) Il Palazzo Ducale di Venezia Volume IV. Francesco Zanotto. Venezia MDCCCLXI

Dall’alto in basso, da sinistra a destra: Calle del Calice, 5216 (San Marco) – Fondamenta Lizza Fusina, 1845 (Dorsoduro) – Calle Lunga San Lorenzo, 5126 (Castello) – Calle de la Racheta, 3790 (Cannaregio).

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FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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