La festa della Purificazione della Vergine, e l’andata del doge alla Chiesa di Santa Maria Formosa

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Santa Maria Formosa. Giovanni Antonio Canal detto Canaletto (Venezia 1697 - 1768) foto dalla rete

La festa della Purificazione della Vergine, e l’andata del doge alla Chiesa di Santa Maria Formosa

Il 2 febbraio giorno della Purificazione di Maria Vergine, era festa solenne nella veneziana Repubblica, una di quelle che rievocavano tradizioni storiche, memorie religiose, costumi antichi lagunari.

Soppressa nel 1379, nei giorni luttuosi della guerra di Chioggia, la famosa festa delle Marie, a ricordo della vittoria sui pirati istriani che avevano rapito le fidanzate veneziane raccolte nella cattedrale di Castello, non era rimasta che la visita del doge in grande pompa alla chiesa di Santa Maria Formosa il giorno della Purificazione di Maria, la parrocchia dei “casselleri“, fabbricatori di casse, che ebbero la parte maggiore nella pugna vittoriosa.

La visita durò fino alla caduta della Serenissima, e la tradizione racconta che avendo i “casselleri“, quale compenso al loro valore, chiesta quelle visita annuale, il doge, scherzando con il candore di quei di quei tempi primitivi, obietasse: “E se fosse per piovere? E se avessimo sete?“, e i casselleri di rimando: “Noi vi offriremo cappelli per coprirvi e vi daremo da bere“. E il patto fu d’ambo le parti da mantenuto, né mai il doge si estenne dal recarsi a Santa Maria Formosa dove era incontrato dal parroco che gli presentava due cappelli di paglia dorati, due fiaschi di malvasia e alcune arance.

Nella seconda metà dei Seicento e nel secolo successivo, quando purtroppo la vita veneziana era tutta una festa, le “sagre” popolari si succedevano frequentissime prendendo occasione anche dalle molte “andate” del doge in questa o in quella chiesa in memoria di qualche ricordo religioso, di una particolare avvenimento storico, o di una tradizione tramandata dai vecchi tempi.

Così la visita del doge a Santa Maria Formosa aveva per il popolo una speciale attrattiva poiché il pomposo corteo uscendo dal palazzo ducale andava a piedi preceduto dalle trombe d’argento e dai gonfaloni, e per le vie dove passava, Spadaria, Campo de la Guerra, Calle Longa e Ponte de le Bande, era uno sventolio di arazzi e di bandiere, una gran teoria di banchetti pieni di dolci, di frutta, di cibarie, un accorrere festoso di popolo che riempiva le osterie e applaudiva alla processione.

Sul ripiano del Ponte delle Bande il parroco aveva fatto stendere un gran tappeto bianco, i trombettieri e i gonfaloni si disponevano ai lati del ponte, e si avanzava soltanto il doge il quale consegnava al pievano, che lo incontrava con tutto il clero della contrada , una piccola moneta d’argento, “battuta apposta per quella funzione e che si chiamava Bianca“, quale tradizionale pedaggio per il passaggio del bianco tappeto.

Nessuna cronaca dà ragione di questa antica cerimonia; forse il candido tappeto indicava l’innocenza delle vergini rapite dai pirati, forse era simbolo del disinteresse del valore dei casselleri, fatto è che il drappo durò sempre, e sempre venne pagata la piccola moneta per il suo passaggio.

Dopo le funzioni ecclesiastiche nella chiesa di Santa Maria Formosa era costume che il parroco “tratasse in sua casa il doge a rinfresco“, ed era rinfresco principesco alle spese del quale concorrevano tutti i patrizi della parrocchia specialmente i Querini Stampalia, i Malipiero e i Vitturi ché, al dir delle crocanche, tenevano molto a quella festa “per l’onore della contrada“.

Il 2 febbraio 1797 fu l’ultima volta che il doge Lodovico Manin passasse il Ponte delle Bande con il suo corteo alquanto ridotto, senza le trombe d’argento e senza i gonfaloni. Era tradizione secolare e si andava, ma in tutti c’era uno sconforto, una grande paura dei nuovi avvenimenti che incalzavano rapidie decisi; il doge dette la sua moneta al pievano senza pronunciare parola, il rinfresco nella casa parrocchiale non era stato preparato, solo il popolo, che come il solito sempre capiva poco, faceva la sua solita spensierata “sagra“.

Unico ricordo di questa cerimonia, compiuta circa tre mesi prima della caduta del Governo di San Marco, abbiamo il cappello di paglia che il pievano dette al Manin, custodito oggi nel nostro Civico Museo, cimelio pietoso di questa ultima visita che chiuse per sempre il ciclo delle fsete tradizionali della gloriosa Repubblica. 

Nella festa della Purificazione, comunemente chiamata anche della “Madonna candelora” perché in quel giorno avveniva la benedizione delle candele, si esponeva in chiesa di San Marco l’Immagine miracolosa di Maria Vergine detta la “Nicopeia“, che la leggenda vuole dipinta da San Lucca e sembra appartenesse al monastero di San Giovannni Teologo in Costantinopoli.

Ma la “Nicopeia“, operatrice di vttoria, da alcuni chiamata “Odegetria“, conduttrice, perché guidava l’esercito contro il nemico, non fece il miracolo e la Serenissima, “ornamento d’Italia e del mondo“, finiva tra la pavoda viltà di una aristocrazia imbelle e corrotta, e le illusioni di una democrazia fanatica e dissennata.(1)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 2 febbraio 1932

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