La difesa di Bari dei Veneziani contro i Saraceni

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Antica pianta di Bari

La difesa di Bari dei Veneziani di Bari contro i Saraceni

Verso l’anno 1000 il doge Orseolo estese l’influenza di Venezia sulla costa dalmata, che, abbandonata dall’impero lasciata in balìa di se stessa, era esposta alle invasioni ed agli assalti dei Narentini di cui era divenuta tributaria, e preferiva la protezione di Venezia ad un’indipendenza, che era assai pericolosa. Invocato da alcuni di quei popoli, Pietro Orseolo II partì da Venezia con una forte armata navale, si presentò dinanzi a Parenzo e a Pola, dove le popolazioni, precedute dal clero, gli fecero atto di omaggio; poi si avanzò verso l’isola di Cherso, dove convennero gli abitanti delle isole vicine e giurarono di riconoscerlo come loro capo e protettore; lo stesso accadde a Zara, a Spalato, a Ragusa.

L’imperatore d’Oriente, troppo debole per contrastare questo progresso dell’influenza veneziana, diede forse la sua sanzione all’atto di riconoscimento, stipulando però, a quel che sembra, che l’alta sovranità del paese restasse a lui, e che il Doge avesse le funzioni ed il titolo di governatore o Duca della Dalmazia. Non si tratta dunque di un vero possesso, di una padronanza assoluta, ma di una forma larvata di dominio, quale sempre sogliono ottenere gli stati forti e militarmente ordinati di fronte a stati deboli e discordi.

Naturalmente gli Slavi procurarono di opporsi con tutti i mezzi; ma l’armata veneziana era forte ed agguerrita e presso Traù catturò molte navi dei Narentini; poi occupò Spalato, prese d’assalto Curzola e Lesina, che rifiutavano di riconoscere il Doge, e rase al suolo Lagosta, che era il principale nido dei corsari slavi.

Questa gloriosa campagna dell’anno 1000 segna per Venezia uno dei punti più gloriosi e più importanti della sua storia marinaresca. Liberata dal pericolo delle invasioni slave, assicurata la sua navigazione, fatta riconoscere formalmente la sua autorità in quel lungo tratto di costa che dal Quarnaro si stende fin quasi alle bocche di Cattaro, essa può dirsi ormai padrona dell’alto Adriatico. L’autorità imperiale le ha ceduto il titolo, non il possesso, di quel territorio; ma la sua politica costante si volgerà adesso ad ottenere il dominio assoluto, a trasformare la protezione in dominazione, ed assicurare, alle sue armate il contributo di navi, di uomini, di denari da quelle popolazioni, che ritraggono da lei protezione ed aiuto.

La campagna del doge Pietro Orseolo lasciò una memoranda traccia nelle cerimonie e nelle leggende veneziane: poichè in memoria dei trionfi riportati in quell’anno venne stabilito che il giorno dell’Ascensione, in cui l’armata era partita, il Doge, accompagnato dal clero e dal popolo, si recasse in barca al Lido e quivi assistesse alla benedizione del mare. Più tardi, in epoca non bene determinata, questa cerimonia si trasformò nello sposalizio del mare, e la leggenda, impadronitasi del fatto storico, lo trasformò, lo modificò, attribuendone l’istituzione ad Alessandro III e fabbricando poi di sana pianta una battaglia navale, vinta dai Veneziani sul Barbarossa.

Venezia era divenuta una potenza navale, il cui aiuto era ricercato ed ambito. Infatti nell’anno 1003, o nell’anno successivo, il catapano greco Gregorio Tarcaniota, che governava a Bari, vedendosi assediato in quella città da un’armata araba, venuta da Palermo, mandò a chiedere soccorso a Venezia; e il Doge accogliendo l’invito, tanto più che quei predoni avrebbero potuto assalire la Dalmazia ed infestare l’alto Adriatico, si affrettò a mettere insieme un’armata assai numerosa. (1)

Uscì dal porto di Venezia il giorno di San Lorenzo, e dopo una felice navigazione pervenne l’8 di settembre in vista dell’assediata città. Accorsero i Saraceni sulle sponde per impedire lo sbarco, ma, ad onta dei loro sforzi, i Veneziani occuparono il lido, e si spinsero fin sotto le mura di Bari, ove accolti con somma festa dal governatore e dalla popolazione, fu il doge portato trionfalmente al palazzo.

Si diede tosto mano ad introdurre nella città copia di viveri di cui grandemente difettava. Le truppe dei veneziani uscirono poi incontro al nemico, e dopo alcuni scontri parziali, il doge ordinò s’inalberasse il suo vessillo sulla nave ammiraglia, e dispose le genti in due corpi, l’uno sulla flotta per investire i Saraceni dal lato del mare, l’altro nei sobborghi, perchè unitamente ai Greci movesse contro i loro approcci e le linee dalla parte di terra.

Nè erano meno formidabili gli apparecchi dei Saraceni, tanto che ben tre giorni durò il combattimento con  le spade, con le freccie infocate, or in distanza assalendo, ora misurandosi i due eserciti a corpo a corpo. Al fine, nella terza notte i Saraceni, levato tacitamente il campo, si allontanarono. Le lodi del doge Orseolo si levavano al cielo; in lui celebravano il liberatore. (2)

Ancora oggi una festa popolare barese chiamata “vidua vidue” (da “la vì, la vì”, “la vedi, la vedi”, dalle urla di gioia degli assediati quando videro le navi dei veneziani), ricorda la liberazione della città. La festa detta anche “sposalizio del mar” come quella a Venezia,  si celebra nello stesso giorno di quella veneziana, il giorno dell’Ascensione o della “Sensa“.  

(1) Camillo Manfroni. Storia della Marina Italiana.

(2) S. Romanin Storia Documentata di Venezia Volume I. Venezia 1853

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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