Il palazzo Morolin, il palazzo dei pittori

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Palazzo Morolin. Sestiere di San Marco

Il palazzo Morolin, il palazzo dei pittori

A destra del Canal Grande, venendo dal bacino di San Marco, e rimpetto al Palazzo dei Giustiniani sorge il Palazzo Morolin a San Samuele.

Esso fu fatto costruire dal celebre pittore Pietro Liberi su disegno di Sebastiano Mazzoni, pittore fiorentino, ed esso fu abitato in varie epoche dai pittori Carlo Ridolfi, Gregorio Lazzarini che l’adornò di alcuni dipinti a fresco, Jacopo Amigoni gran colorista ed allievo del Lazzarini, Francesco Hayez nella sua giovinezza ed ultimamente da Lodovico Lipparini che ne comperò una parte.

Morto il Liberi, suo primo proprietario, il palazzo fu acquistato dalla famiglia Lin venuta da Bergamo e quindi lo ereditarono i Moro, in virtù del matrimonio successo nel 1748 fra Gasparo Moro ed Isabella Lin, i quali vollero unire a lieto connubio anche i loro casati facendone uno solo.

Ai tempi del Liberi abitava una parte del palazzo il nobiluomo misier Antonio Dandolo del fu Zuane, il quale era grande amico del figlio del pittore chiamato Marco e pittore egli stesso, ma di mediocre attitudine, e solo copista accurata delle opere paterne. Fra i due correva tale amicizia che Marco era sempre nell’appartamento del Dandolo e questi riceveva da Marco denari ed abbuoni di affitto; e così il tempo passava lieto per ambedue poiché per il patrizio l’unico divertimento era il gioco del faraone e per il pittore la moglie del patrizio: Altadonna Foscarini figlia di sier Giacomo.

Ma lasciamo il diritto di parola al codice 183 della Marciana che ne racconta la storia accaduta nell’anno di grazia 1687: “Il giorno di Santo Stefano sier Antonio Dandolo andò in ca’ e lo trovò (Marco Liberi) chiuso in camera della moglie ove più volte l’havea trovato, et, fatto strepito, fece fuggir il Liberi, vestì la moglie in boccassin et la condusse in barca ai suoi fratelli e zio Foscarini, et gli la consegnò dicendo che gli restituiva la busarona di sua sorella per non volersi imbrattar le mani nel sangue“.

La storia fece rumore e si diceva che nel palazzo dei pittori se ne vedevano di tutti i colori, e fu per qualche sera il tema prediletto delle conversazioni, chi compiangeva il povero Dandolo, e chi, ed erano i più, avevano invece parole di commiserazione per la Foscarini.

Però la storia non era finita ed il bello venne più tardi, il codice infatti prosegue: “Dopo qualche anno sier Dandolo la riprese appo di se, dicendo che fu uno sfogo perché il Liberi non gli dava più denari, et voleva il padre i suoi affitti, onde la povera donna svergognata et infamata, dovette ritonare et vivono in pace“. (1)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 1 settembre 1923.

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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