Un discorso di Marco Foscarini in Maggior Consiglio

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Marco Foscarini. Doge 117° (1762-1763)

Un discorso di Marco Foscarini in Maggior Consiglio

Il 16 marzo 1762 c’era solenne adunanza del Maggior Consiglio. In quel giorno si doveva discutere una proposta ben grave: molti nobile fra i quali i Zeno, i Renier, i Contarini, riluttanti al freno con cui il Tribunale Supremo degli Inquisitori di Stato puniva ogni loro soperchieria contro le leggi, volevano scuotere il giogo ed avevano proposto alcune restrizioni all’Autorità degli Inquisitori e dei Dieci. Altri nobili, che sopra ogni cosa amavano la Patria, erano pienamente contrari e volevano l’assoluta integrità dei due famosi Tribunali che vigilavano sulla disciplima, sulla moderazione e sul rispetto dell’ordine patrizio nella piena osservanza delle leggi statali.

La seduta doveva essere una vera battaglia d’idee e di principi, ed il popolo stesso vi prendeva parte, poiché nella Piazzetta e nella corte del Palazzo Ducale una grande folla era accorsa, ansiosa di conoscere l’esito della ballottazione.

Verso la mezza nona, le due dopo mezzogiorno, nella magnifica Sala del Consiglio cominciò la seduta: in favore dei tribunali parlarono Marcello Andrea e Pietro Grimani, contro Daniele Renier e Francesco Zeno; l’ambiente era irrequieto, correva già qualche bisbiglio, qualche mormorio più vivace, qualche manifestazione più ardita, ma d’improvviso il silenzio si fece solenne. Dal suo scanno si era alzato Marco Foscarini (a), che tutti amavano ed ammiravano e che fra due mesi doveva essere doge, egli con voce robusta, dopo un breve preambolo, così parlava:

Viene a Venezia un signor spagnolo de alta sfera, che andava, se no m’ingano Vicerè a Napoli: el gera intervenudo, molti ani avanti, nela bataglia delle Curzolari, servendo sulla flotta ausiliaria de Spagna, e però l’aveva conossudo assae da vicin quel grand’omo de Sebastian Venier che gera el teror de la Grecia (b), e che soleva, oltre mar, ussir in pubblico col cortegio de cento e più nobili dipendenti dal so comando. Richiesto al Vicerè, al so arivo a Napoli (Napoli di Romània o Nauplia), cossa l’avesse osservà nela cità nostra che a lu paresse più degna de amirazion, se la ciesa o la piazza de San Marco, gnente de questo, sogiunse al spagnolo, m’ha ferio la fantasia; l’unica maravegia per mi xe stada quale de osservar Sebastion Venier soto le Procuratie nove in ato supplicante (c), e come un grego, che al tempo de la quera avea servio ne l’armada, ghe sia passà devanti senza nepur cavarse el capelo: e l’ha terminà esclamando: oh beata cità! oh divine legi valevoli a conseguir che l’abito d’una quasi sovraumana autorità gustada nei governi ultramarini, e le signorili rapresentanze sostenude in mezzo al lusso de le corti, no guasti per gnente, al ritorno, la moderazion de la vita civil“.

Così parlò il patrizio Marco Foscarini e la vittoria fu della legge: il Tribunale dei tre Inquisitori e quello dei Dieci rimasero nella loro integrità e per ricordare il lieto avvenimento si diede incarico a Pietro Franceschi, notaio della Cancelleria Ducale, di dettare una narrazione storica di quanto era avvenuto. (1)

(a) Marco Foscarini del ramo di San Stae, nacque nel palazzo di famiglia vicino alla chiesa omonima, trasferendosi, quando lo ereditò, nel palazzo dei Foscarini ai Carmini. Era gande amico di  Gaspare Gozzi, che in segreto lo designava col nomignolo di Gran Cagnesco, essendo il Foscarini molto serio e mal tollerante le critiche verso la Repubblica.

(b) S’intendono i turchi che occupavano allora la Grecia.

(c) L’atto supplichevole consisteva precisamente in ciò: il Venier pregava il patrizio Contarini, uno dei Dieci, per la revoca di un lieve bando dato al zovene Priuli per futili motivi.

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 9 ottobre 1930

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