Gentiluomo veneto in abito d’inverno
Come ad indicare l’aristocrazia del governo doveva essere uniforme a quello del doge il vestire dei patrizi, così aveva cura la Repubblica, che ad ogni mutar di stagione, a toglimento di varietà disdicevoli, bandito fosse il cambiamento delle vesti, e massime delle pelli. Quindi il portiere maggiore del Collegio che doveva essere un cittadino originario veneto, e fu l’ultimo il notaio Marcellini, annunziava alle porte del Senato e del Maggior Consiglio, che sua Serenità, deposte le pelli di vaio, avrebbe per la ventura domenica assunti i dossi, acciò tutti i nobili gli assumessero, a completare il decoro della senatoria comparsa. Ed ecco il nobile, in vesta, lunga bensì nell’inverno, da nascondere gli quasi il piè per intero, ma senza coda, e stretta da vaga cintura di nero velluto, orlata di seta, guarnita di dodici quadranti d’ argento, e a foggia di pelliccia foderata tutta di larga lista di pelli, che gli ascendeva al viso, e per vezzo gli urtava la guancia. Le quali pelli si acconciavano in Venezia ove fioriva l’arte fra le più antiche, e di soli veneziani composta, che in numero di 69 si trovavano iscritti ad onta la molta sua decadenza negli ultimi tempi della Repubblica, e aveva la scuola prima a lato della chiesa dei Crociferi, e poi soppresso l’ordine da Alessandro VIl, in campo a Santa Margarita, come da lapide quivi sussistente.
E le dette pelli di martori, di volpi, di lupi cervieri e di zibellini si traevano in gran copia dalla Bosnia e Servia per la via di Ragusi e d’altre scale della Dalmazia e dalla Bulgaria, non meno che dal Mar Nero, dalla Tartaria e dalla Russia, onde abbiamo, in prova dell’eccessivo consumo, conservati i nomi di una Ruga a Rialto, che si diceva Pelizzaria, e altra Ruga ancora dei Vai, e la Calle e il Ponte dei Varoteri.
Teneva poi in mano il patrizio, foderata di pelle, anche la berretta, che avevano tutti i nobili, né si potevano metter sul capo, ad eccezione del solo cancelliere grande, che stava sempre coperto al pari del doge in Senato, che precedeva nelle funzioni il doge stesso a capo coperto, e il quale a chi lo suppliva, ch’era un segretario dei Dieci, mandava la berretta e la stola, e nelle giornate bollenti di estate veniva fuori del Senato, e si levava la berretta, per prender fresco, nella sala delle quattro porte: altro punto di suo diritto. L’ abito poi dei nobili era di panno nero, con ampie maniche, venendo vestito il paonazzo dai Savi grandi, dogli Avogadori e dai copi delle Quarantie, poiché col variare dei tempi modificò la repubblica il costume delle sue magistrature, ma serbò sempre le prime forme, acciò rappresentasse il grave e misterioso carattere del governo, lo cui espressiva magnificenza doveva essere dalle stesse divise indicata, che perciò, in tal senso, si appellavano vesti segnate in Venezia. (1)
(1) Occhiate storiche a Venezia. GianJacopo Fontana. Giuseppe Grimaldo editore, Venezia 1854.
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