Pugnale a orecchie, meglio conosciuto come “Sfondagiaco alla Stradiotta o alla levantina”

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Pugnale a orecchie, o Sfondagiaco alla Stradiotta o alla levantina. Foto dalla rete

Pugnale a orecchie, meglio conosciuto come “Sfondagiaco alla Stradiotta o alla levantina”

Il pugnale definito nell’ottocento a “orecchie” (a), molto utile nel combattimento corpo a corpo durante furibonde battaglie, ebbe il suo massimo utilizzo tra la seconda metà del XV e l’inizio del secondo quarto del XVI secolo. È noto per essere una delle armi preferite dai mercenari veneziani, gli Stradiotti, che verso la fine del XV secolo vennero assoldati anche dall’ultimo sovrano del regno di Granada che combatteva contro gli spagnoli. Il loro valore impressionò talmente tanto il sultano Boabdil della dinastia dei Nasridi che dotò anche i suoi soldati di un pugnale molto simile, conosciuto poi come variante spagnola o ispano moresca (b).

Il pugnale “classico” era provvisto di un rincasso quadrato lungo e dentellato, intarsiato in oro, poi ribaltato in una lama a doppio taglio con creste su entrambi i lati (c). L’impugnatura (d) adornata con scaglie di avorio e cuspidata ai piatti, chiusa da due orecchie (e) aggettanti e divaricate al sommo, con una piccola elsa ad anellatura sgusciata tutt’intorno, è montata su una lama rombica robusta (spesso decorata con raffinati motivi floreali riempiti d’oro) (f), con tallone asimmetrico, più calato ad una mezzeria, in corno (g). La lama, in ferro forgiato, tagliato, acidato e parzialmente dorato, aveva una lunghezza che variava dai 35 fino ai 38 centimetri, con una larghezza che poteva raggiungere anche i 4 centimetri.

Le orecchie formavano il pomo, il quale così concepito fungeva da limitatore, garantendo una presa affidabile; lo spazio tra le “orecchie” diventava il punto di appoggio del pollice, con la presa inversa (detta “sopramano“), che in questo modo permette di colpire più forte. Però con tanti vantaggi quest’arma presentava anche alcuni svantaggi: quello principale era l’assenza di un tappo anteriore. Il suo design aveva lo scopo di pugnalare brandendo l’arma come se fosse un rompighiaccio, e pochi esemplari di questo tipo di arma sono conservati nei musei e nelle collezioni di tutto il mondo.

Il cordolo venne progettato in modo che il filo affilatissimo della lama non tagliasse il fodero o peggio, la mano di chi riponeva l’arma. Per appenderlo alla cintura si indossava un semplice passante di cuoio, perché pochi erano coloro che potevano permettersi un fodero. I foderi degli ufficiali erano in pelle, con una finitura più o meno elaborata a seconda della qualità dell’arma, e potevano essere rivestiti anche con tessuti costosi, quali il velluto o la seta. (1)

(a) Questa tipica definizione inglese deriva dalla forma dei pomelli. Dischi ovoidali gonfi, posti divaricati al sommo dell’impugnatura di tipici pugnali. Sono fermati da un perno che li trapassa ed è ribattuto su una bottonatura a monte. Questa forma è mantenuta anche quando l’arma intera è ricavata da un sol pezzo di metallo.

(b) Negli ultimi tempi del regno, la variante venne forgiata tutta in un solo pezzo.

(c) Una rara variante veneziana del pugnale dalle orecchie moresche. Un pugnale quasi identico fu realizzato dal famoso armaiolo Diego deÇais, quando lavorava per il re Francesco I. Leguina sottolinea nel suo “Glossary of armory voices” (Madrid, 1912), de la façon d’Espaigne“, cioè ” alla moda della Spagna“, che rende abbondantemente chiara la sua origine ispano-moresca.

(d) Un tipo di impugnatura di derivazione orientale che risale nei tempi almeno fino alle culture Luristan, anteriori sino al 1100 a.C. (un pugnale dell’età del bronzo della dinastia Shan fa parte della collezione dell’Università di Princeton nel New Jersey (Stati Uniti).

(e) Entrambi le due grandi “orecchie“, che formano i pomelli, sono decorate in argento e corno.

(f) Anche se mercenari ci tenevano molto a decorare quel tipo di pugnale.

(g) Con bronzo, fuso, cesellato e dorato a fuoco.​

(1) Alessandro Zanotto e Debora Gusson

FOTO: Foto dalla rete. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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