Gli ambasciatori veneziani

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1780
Domenico Tintoretto. Invio degli ambasciatori veneziani a Federico Barbarossa. Palazzo Ducale. Venezia

Gli ambasciatori veneziani

Gli ambasciatori, che la Repubblica Veneta mandava presso i principali governi d’Europa, erano sempre scelti tra il più antico patriziato (i nobili di conio recente venivano di solito esclusi) e solamente fra coloro che avessero dato lunghe e sicure prove di saggezza, carattere, energia, cultura e spirito mondano, capace di affrontare gli intricati maneggi delle Corti.

Alla carica di Ambasciatore non si accedeva che in età abbastanza avanzata, e dopo un lungo tirocinio compiuto presso le residenze straniere;a questa carica poteva inoltre aspirare solo chi godesse di larga rendita, poiché le spese inerenti a tale dignità erano quasi tutte a carico dell’ambasciatore, il quale doveva mantenere, con una vita fastosa, sempre alto il decoro della Repubblica.

L’ambasciatore in paese straniero doveva descrivere (e lo faceva per solito con mirabile lucidità e con accorta eloquenza) gli ordinamenti del governo locale, le questioni politiche e religiose, le armi, l’indole del popolo, i prodotti del luogo, i commerci, le industrie, le entrate, le spese, i particolari più minuti della statistica. Dai messaggi che gli ambasciatori periodicamente mandavano a Venezia, la Repubblica traeva gli insegnamenti necessari al suo retto procedere.

Le relazioni degli ambasciatori veneti, giunte fino a noi, sono monumenti di cronaca sapiente e di abilità diplomatica, ai quali attinsero e attingono tutti gli storici del mondo, per ricostruire esattamente il volto e la coscienza del passato.

Una completa e reale rappresentazione dell’ambasciatore veneziano ci è data dalla figura di Giovanni Sagredo, prototipo del diplomatico, quale sapeva crearlo la Repubblica di Venezia. “Et ab uno disce omnes!” (Da un solo li conoscerai tutti. Eneide).

Giovanni Sagredo nacque il 2 febbraio 1616 more veneto, e fin da piccolo si distinse per vivacità di spirito e prestanza fisica. A Padova, presso lo zio paterno Piero, che era colà capitano, egli fece i suoi primi studi e acquistò una certa notorietà per una lodatissima orazione latina recitata in Santa Giustina. Mandato a Roma per quattro anni nel Collegio Clementino, si perfezionò nelle lettere, dopodiché tornò a Venezia per dedicarsi alla vita pubblica, come avevano fatto i suoi avi.

Il carattere del Sagredo può trovar chiara espressione in questo episodio della sua giovinezza, riportato da Nerina Conigliani in un esauriente e gustosissimo studio sul Nostro.

In una notte oscura e fredda (era il 1643) fra l’imperversar della neve, scoppiò un grave incendio nell’Arsenale, Giovanni, destato nel sonno, balzò dal letto e accorse a prestare il suo aiuto. La gente che si affollava intorno all’Arsenal e faceva ressa per entare, era trattenuta dalle guardie, sospettose che per curiosità o peggio tanti occarrossero cagionando una confusione pericolosa. Più di tutto si temeva che le spie degli Sati esteri, penetrassero i secreti di quell’invilato recinto, dove la Repubblica occultava i suoi prodigiosi sistemi di difesa. Per respingere la folla irruenta, le guardie finirono con sparare alune archibugiate, una delle quali ferì il Sagredo, che continuò tuttavua a prodigare arditamente l’opera sua, né si ritirò se non quando la minaccia dell’incendio fu superata. La malignità della ferita e l’indugio a curarla posero in pericolo Giovanni che giaceva nel suo letto “allagato di sangue“, perché nessun rimedio giovava a chiudere la piaga. Il patrizio, convinto di morire tra breve, dimostrò in quell’occasione tanta serenità e tanta forza d’animo da meravigliare tutta Venezia.

Un fatto che ha del prodigioso, servì ad accrescere la fama del gentiluomo: quando ogni speranza pareva perduta, alla porta di casa Sagredo si presentò una vecchia sconosciuta, che offerse una polvere, asserendola efficace a chiudere le ferite più maligne. E veramente quella polvere stagnò iò sangue e cicatrizzò la piaga. Si cercò poi la vecchia, ma non si potè sapere mai chi fosse, né da dove fosse venuta.

Poco tempo dopo il Sagredo veniva mandato in Francia in qualità di addetto l’ambasciata a compiere meraviglie. Egli aveva tutte le virtù necessarie per accrescere la serie di quei veneti diplomatici che in ogni tempo tennero alti la dignità e il buon nome della Serenissima.

Uomini astuti e fieri, ricchi di risorse e di fegato! Come quando quel nostro residente di Milano, il quale vedendo passare sotto le finestre della sua abitazione un picchetto di micheletti (soldati mercenari baschi, ciò che costituiva violazione di territorio) ordinava alla sua guardia di sparare contro i malcauti, uccidendone e storpiandone parecchi. E il governo di Milano dovette aggiungere le scuse!(1)

(1) ATI’. IL GAZZETTINO, 23 ottobre 1934.

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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