Un’eccellenza veneziana: la schiavona

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Spade veneziane in mostra nelle Sale dell'Armamento. Palazzo Ducale.

Un’eccellenza veneziana: la schiavona

La spada detta “schiavona” fu molto diffusa durante il Rinascimento dalle truppe mercenarie degli Schiavoni, nome che indicava i popoli slavi che abitavano le coste dell’Adriatico orientale, nota un tempo, appunto, come Schiavonia.

Benché fosse stata loro affidata, quest’arma a differenza della “schiavonesca” fu una spada quasi totalmente veneziana, sia nell’idealizzazione, sia nella scelta dei migliori fabbri-spadai dell’epoca (i bellunesi) e fu il prototipo per molte spade d’oltralpe come le inglesi “mortuary sword” e “claymore“, le scozzesi “claidheamh cuil” e “basket-hilted” e la svizzera “vallona“.

Inizialmente venne adottata come arma da cavalleria per il suo potente fendente ma ci si accorse fin da subito, specialmente grazie ai suggerimenti dei veterani, che poteva essere utile sia nella corta distanza sulla tolda delle navi ma anche negli scontri della fanteria, avendo l’accortezza di ridurne la lunghezza della lama. Raggiunse la sua massima notorietà nel XVII secolo, venendo adottata da diverse nazioni, ma l’esempio più eclatante fu quello di Sir Edward Massey, governatore di Gloucester e colonnello parlamentare durante la guerra civile inglese, rappresentato con questa arma in diversi disegni dell’epoca.

La schiavona iniziò ad essere studiata e sviluppata verso la fine del XV secolo. Si presentava con una pesante spada con guardia a gabbia metallica atta a proteggere interamente la mano. La gabbia era realizzata con lamine metalliche, assicurate alla crociera ed all’arco paramano invece che al pomello, il quale si presentava per lo più con una forma a “testa di gatto” stilizzata (a) (vista frontalmente).

La scelta per la realizzazione di questo tipo di armi cadde sui fabbri Bellunesi per la loro esperienza come armaioli (b), ma soprattutto per le presenze di miniere di ferro del Fursil (a nord est di Belluno, si estraeva un minerale ferroso con una grossa percentuale di manganese, ottimo per che la fucinatura “a stoffa” (c) ); spesso capitò che i fabbri d’oltralpe ne falsificassero persino il marchio, in quanto non riuscivano a tenere l’alto livello della concorrenza bellunese.

Uno dei primi fabbri bellunesi che rispose “alla chiamata veneziana” fu un certo Andrea Ferara da Fonzaso, le cui lame diventarono celebri in tutta Europa. Altri maestri spadari che ne condivisero la fama, furono: Pietro da Formegan, Giandonato Ferara (fratello del più noto Andrea), e i fratelli Giorgio e Giuseppe Giorgiutti da Agordo.

Per forgiare una spada serviva una manovalanza specializzata: minatori, fabbricanti di carbone e legna, conciatori di pelli per le guaine del fodero, i suoi fornimenti, fonditori per le varie parti a fusione della spada stessa e del fodero.

Oltre che nel Bellunese, la fabbricazione delle spade conobbe illustri artigiani anche nelle zone vicine, tanto che una spada di Marson da Ceneda fu usata da re di Svezia Gustavo Adolfo nella Guerra dei Trent’anni ed ora è conservata al Kungl Livrustkmmaren di Stoccolma.

È doveroso ricordare che la prima fucina da spade di Serravalle fu impiantata da “mastro” Giacomo da Belluno verso la fine del Quattrocento. Spesso venivano utilizzate anche le lame di Passau (d).

Nel 1578 alcuni inglesi firmarono un contratto per la produzione di 7200 spade all’anno per un periodo di 10 anni. In nessuno dei numerosi inventari manoscritti, dal 1548 alla fine del ‘700 è possibile rintracciare la denominazione “schiavona”, sebbene la distinzione formale e funzionale d’uso esistesse da sempre.

Solamente in un documento ufficiale della Repubblica del 1572, nel quale si menziona la difficoltà che avrebbero avuto le fabbriche di Brescia a soddisfare la richiesta relativa ad una partita di seimila spade “… schiavone…” (e). La schiavona del 1560-70 aveva un fornimento diverso, ancora per lo più in evoluzione. Pochi anni dopo tre su cinque tipologie verranno forgiate a Belluno e le altre due a Serravalle. Per tutte Il manico dell’elsa era in legno, oppure in legno ricoperto di cuoio con un filo sottostante attorcigliato, in modo da rendere più sicura la presa della mano, che doveva esser forte trattandosi di uno spadone che superava anche i 1400 grammi. Era dunque presente un gancio a cui, in maniera naturale, si aggrappava il pollice, rendendo la spada di una maneggevolezza straordinaria.

Della gabbia si ammira ancora oggi la complessità dell’intreccio e l’eleganza della lavorazione, che nei secoli ha assunto varie forme, a seconda della moda del momento e del committente. Le più leggiadre furono quelle dell’ultimo periodo, in cui è evidente una influenza barocca, le più belle ed eleganti sono forse quelle disegnate nel 1600 a Serravalle.

Il primo tipo si evolve dalla spada detta “a tre vie”, dai cui rami del massello che forma la traversa, si dipartono i tre rami che, uscenti il primo dal ramo di guardia, il secondo dal braccio di guardia e il terzo dall’archetto inferiore, si congiungono al braccio di parata, imitando il particolare disegno da cui la denominazione a tre vie.

Il secondo tipo viene normalmente datato verso i primi del Seicento ed è caratterizzato da un aumento di rami protettivi. Il terzo tipo, invece, venne forgiato verso la fine del primo quarto del Seicento, con un disegno del tutto nuovo. Dal massello inferiore esce un complesso intreccio di rami intersecati da due rami trasversali uniti da ponticelli e dall’archetto inferiore al superiore si congiungono due ponti.

Il quarto e il quinto tipo, settecenteschi, si differenziano dal terzo per l’aumento dei rami trasversali (da due a tre a quattro), e per la controguardia, anch’essa resa più fitta di rami tutti uscenti a mo’ di raggiera dalla parte inferiore del massello, tanto da formare una vera e propria gabbia. Nelle proprietà della guardia del Doge e nelle guardie del Consiglio dei X figura sempre il marchio del leone in moeca impresso in un secondo tempo, ovvero quando entravano nella loro armeria. Pare che fosse l’unica spada che per maneggevolezza e robustezza riuscisse a resistere e a tener testa alla famosa Katzbalger lanzichenecca (f), la quale a sua volta si ipotizza sia una fusione della schiavonesca come guardia e della schiavona come lama. (1)

Bibliografia

  • B. Pasinelli, L’arte della spaderia a Gromo nei contratti del XV secolo , Cura editoriale Renato Morgandi, 2016.
  • M. Gradowski- Z. Żygulski, Słownik uzbrojenia historycznego , Varsavia 2010.
  • M. Righini, Le spade alla Schiavona e le Schiavone, in Machia, Gennaio 1998.
  • U. Franzoi, L’armeria del Palazzo Ducale di Venezia, Canova, 1990.
  • F. Rossi, Armi e tecnica militare, l’esperienza italiana, in 1500 circa. Skira, 2000.
  • Rossi F., Prolegomeni a una storia dell’industria armiera della Serenissima in Palmanova Fortezza d’Europa 1593- 1993. Marsilio, 1993.
  • L.G. Boccia-E. T. Coelho, Armi bianche italiane, Bramante, 1975.
  • L.G. Boccia, Armi Bianche dal medioevo all’Età Moderna. Centro D, 1983.
  • L.G. Boccia, L’antica Armeria segreta farnesiana, in I Farnese, arte e collezionismo. Electa, 1995.

(a) Di ottone o ferro, con un orecchio forato (per un cordoncino di sicurezza) a volte decorato.

(b) Le fucine si erano stabilite per esigenza lungo il corso del torrente Ardo, tra Busighel e Fisterre, fin dagli inizi del XV secolo. Basti pensare che nel XVI si arrivò a forgiare fino 25000 spade all’anno di ogni sorte e tipologia.

(c) Venivano martellate assieme lamine a caldo di ferro-acciaioso e di ferro dolce, le quali si saldavano a caldo. Questo permetteva anche un’eccellente tempra della lama, “dura nel fendere, ma non facile a scheggiarsi” e anche un po’ elastica, difatti era difficile da rompere sul piatto.

(d) Il loro marchio era il lupo passante, concesso dall’arciduca Alberto già nel 1349.

(e) Boccia, Coehlo, 1975, fig. 491-495; Boccia, 1975, fig. 258.

(f) spada corta da mischia, ma altamente micidiale nel corpo a corpo, essendo l’evoluzione rinforzata del gladio romano.

(1) Alessandro Zanotto e Debora Gusson

Spade esposte nelle Sale dell’Armamento in Palazzo Ducale a Venezia

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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