La dissoluzione morale delle famiglie patrizie veneziane, nel Settecento

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Giovanni Grevembroch. Gli abiti de Veneziani di quasi ogni età con diligenza raccolti e dipinti nel secolo XVIII. Nobile al ridotto

La dissoluzione morale delle famiglie patrizie veneziane, nel Settecento

Nella prima metà del settecento la rovina di quasi tutte le famiglie patrizie era ormai palese: la dissoluzione morale si accompagnava al disastro economico, provocato dal lusso. Sebbene ci fossero ancora molte case ricche come i Corner di San Maurizio, i Pesaro di San Stae, i Loredan di San Stefano che potevano disporre di una rendita annuale di quarantamila ducati, i Corner di San Polo di trentamila, i Badoer di San Moisè di circa venticinquemila, e altre trenta e più famiglie che possedevano tra i venti e i quindicimila ducati di entrata, pure nel gioco, nei piaceri, nell’ozio e nel lusso era facile prevedere la fine di quelle ricchezze.

Anche la nobilità nuova, “li peoci refadi de li centomila ducati“, come i Labia, i Widmann, i Soderini, gli Zaguri spendevano e spandevano in quella corsa matta di spensierata prodigalità gonfia di boria. Anzolo Labia, dopo un lauto banchetto nel suo regale palazzo di San Geremia, faceva gettare in canale le suppellettili d’oro e d’argento accompagnando lo strano volo con il noto bisticcio: “L’abbia e non l’abbia sarò sempre Labia“, e a Caterina Querini, ballando con Federico di Danimarca, essendosi rotto il filo di una preziosa collana di perle orientali del valore di ventitremila ducati, il marito Andrea, mostrando di non avvedersene, calpestava e sparpagliava le perle mentre la moglie sorridendo continuava a ballare.

La famiglia Mocenigo di San Samuele per l’elezione a procuratore di San Marco del cavaliere Pietro spendeva in feste quarantamila ducati, e Marco Contarini nella sua villa di Piazzola sul Brenta per accogliere il duca Augusto di Brunswick dava fondo a settantamila zecchini d’oro. I casini di gioco erano un’altra fonte di spreco e di vizio, e il Ballarin nelle sue lettere racconta: “Il casino di san Moisè e quello di san Cassan erano il recapito di tutta la città patrizia con una mescolanza delle prime signore con le più infime. Nessun voleva essere inferiore nel gioco e le povere signore, per pagare e continuare a divertirsi, erano ridotte a divertir gli altri quasi palesemente“. Si giocava a Bassetta e a Faraone e due patrizie di casa Badoer perdevano in tre notti più di ottantamila scudi sulla parola ma pagati poi dai mariti.

Si ricorreva allora al credito largo e facile dei conventi prendendo a prestito grosse somme ad usura, pagando gli interessi e lasciando morto il capitale, e fu questa l’ultima rovina di tante case patrizie.

Caduta la repubblica e soppresse da Napoleone le confraternite religiose, si dovettero vendere a prezzi rovinosi i palazzi, le campagne, le ville per pagare i crediti dei conventi che il Governo senza indugio voleva.

Fu questo il turbine finale e improvviso che travolse ricchezze e patrizi. (1)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 2 giugno 1927

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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