Gli Inquisitori di Stato

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Sala degli Inquisitori di Stato. Palazzo ducale

Gli Inquisitori di Stato

Gli Inquisitori di Stato erano tre: due scelti dal Consiglio dei Dieci e si chiamavano “i neri“, il terzo proveniva dai Consiglieri del Doge e si diceva il “rosso” dal colore delle toghe nella loro carica precedente a quella inquisitoriale, che continuavano a portare nel nuovo importantissimo ufficio. Erano chiamati dal popolo i tre Babai perché il mistero regnava su loro li rendeva paurosi e terribili come gli antichi diavoli o babai delle leggende. Nei vecchi almanacchi veneti stampati nel 1700, mentre figuravano i nomi di tutti i patrizi che formavano le alte cariche, compresi quelli del Consiglio dei Dieci, erano invece sempre taciuti i nomi dei tre Inquisitori: il segreto su loro era assoluto e da ciò nacquero tutte le favole raccolte, ampliate dai sedicenti storici della Repubblica.

La loro definitiva istituzione risaliva al 1539 principalmente per vigilare sui delitti politici contro lo Stato e sulle violenze dei nobili: né illustri natali, né posti eminenti valevano a sottrarre il colpevole alla loro giustizia. Anche la morte da essi deliberata era sempre occulta, mistero e segretezza erano l’anima di quel Tribunale. Dalla sala della Bussola del Palazzo Ducale si entrava nel gabinetto dei Tre, di cui oggi rimane di antico il solo soffitto con il quadro allegorico “Il ritorno del figliol prodigo” e le “Quattro virtù” di Jacopo Tintoretto

Ma quel gabinetto non aveva nulla di orribile come fu poi descritto da tanti romanzieri: tre sedili di legno di noce affissi al muro con cuscini di marocchino nero, una grande scrivania dinanzi, un piccolo tavolo a destra con uno sgabello per il segretario, le pareti erano coperte di cuoio a borchie d’oro, sopra le sedie degli Inquisitori pendeva una Madonna del Veronese.

I tre giudici quasi mai comunicavano con l’imputato: il segretario solo interrogava, sentiva le discolpe, riceveva le suppliche, formava il processo, annunziava la sentenza. Il Tribunale aveva anche alle sue dirette dipendenze “un fante“, educato secondo i riti del tribunale stesso, misterioso e solenne: citava le persone a comparire, intimava verbalmente i supremi decreti, portava ai luoghi di pena i delinquenti, faceva eseguire le sentenze di morte qualche volta coadiuvato dal Missier grande, da numerosi fanti e perfino dalla forza militare che il tribunale doveva richiedere al Savio della Scrittura, cioè al Ministero della Guerra. (1)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 27 luglio 1927.

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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