Il Maggior Consiglio

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1542
Jacopo Robusti detto il Tintoretto e Domenico Robusti. Il Paradiso. Sala del Maggior Consiglio. Palazzo Ducale

La crudele uccisione del doge Vitale II Michiel il 27 maggio 1172, stimolò i più giudiziosi dei cittadini a prendere seriamente in esame la politica costituzione dello stato, ed a trovare un mezzo, il quale valesse a reprimere così enormi disordini ed a garantire in seguito la sicurezza della primaria dignità dello stato, la quale conteneva tutta la sovranità popolare. Non si pensò allora dunque alla elezione del doge, si pensò a formare decreti di polizia interna, per i quali fosse tolto ai dogi la facilità di abusarsi della loro autorità, e così la repubblica sempre più s’incamminava verso il suo passaggio dalla democrazia all’aristocrazia.

Fu stabilito allora un corpo di 450 nobili, secondo alcuni; di 470, o di 480, secondo altri: ed a questi fu conferita la suprema distributiva e deliberativa podestà dello stato. La più comune opinione è, che fossero di quattrocentottanta.

Siccome non sono scritte le leggi costituzionali di Venezia, così non è facile sapere veramente con quali forme siano stati eletti la prima volta i quattrocentottanta, che componevano il maggior Consiglio. Tuttavia il Muazzo, con assai buon fondamento é d’avviso, che i consiglieri del doge, insieme con altri dei primari cittadini, abbiano scelto due elettori per sestiere, e che da questi dodici elettori siano stati poi scelti i membri del Maggior Consiglio. Non di soli nobili fu composto nei suoi primordi il Maggior Consiglio; perché la democratica forma di governo, che ebbe la repubblica di Venezia, dal primo suo nascere sino ai primi anni del secolo XIV, vi ammetteva qualunque cittadino, cui la nobiltà delle azioni, più che quella del sangue, avesse reso meritevole dell’alto onore di essere aggregalo tra i padri della patria.

Per ciò che riguarda all’ufficio a cui si prestava la magnifica sala che raccoglieva, come accenna il suo nome, il Maggior Consiglio, magistrato che era il fondamento, il sovrano, il padrone della Repubblica.

Maggiore a differenza del minor Consiglio dei dogi, ed anche perché, dopo la nota riforma del 1297, appartenevano ad esso i soli patrizi. Dovevano questi però essere frutto di legittime nozze e di nobili genitori, provati tali presso il magistrato dell’avogaria, ed inscritti nel libro d’oro instituito l’anno 1319. Non poteva avere ingresso nel Maggior Consiglio chi non era giunto all’età di anni 25, o non aver ritratto la scheda nell’avogaria per avere compiuto questa età, o estratti alla barbarella, cioè nel giorno di santa Barbara, che cade il 4 dicembre, cavando la bala (palla) d’oro; e questi erano estratti al numero di trenta ogni anno.

I soli benemeriti della patria furono talvolta eccettuati da queste leggi, e perciò si videro ascritti nel Consiglio Maggiore, anche generali famosi e principi stranieri.

Non intervenivano al Consiglio i Procuratori di san Marco, perché sciolti dall’obbligo, per legge dell’anno 1305, e ciò affine di poter essi meglio adempiere i molteplici uffici alla loro vigilanza affidati, fra cui quello di far guardia alla loggetta, durante il tempo in cui era radunato il Maggior Consiglio. Il quale aveva autorità sovrana ed inappellabile di far nuove leggi, e di abolire le antiche, di eleggere i rettori delle città, di nominare anche i membri di tutti gli altri consigli, collegi e magistrati, eccettuati  alcuni, la nomina de quali era stata delegata dal medesimo al Senato. Presiedevano il Maggior Consiglio: il Doge, i sei Consiglieri, i tre capi della Quarantia criminale, quelli del Consiglio de Dieci, gli Avogadori del Comune e i Censori.

Si radunava comunemente questo corpo nella mattina dei giorni festivi, e il numero ordinario a cui saliva era a circa novecento individui.

Finalmente dalle antiche memorie è dato sol di raccogliere, che il Maggior Consiglio non ebbe forma regolare che nel 1172.

(1) Il Palazzo Ducale di Venezia Volume III. Francesco Zanotto. Venezia 1861

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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