Uno stronzador (tosatore) di monete, a San Giacomo di Rialto, nel Sestiere di San Polo

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Sotoportego del Banco Giro. San Giacomo de Rialto. Sestiere di San Polo

Uno stronzador (tosatore) di monete, a San Giacomo di Rialto, nel Sestiere di San Polo

In questa matina per il capetanio dil Conseio di Diese fo ritenuto a Rialto al suo banco Alvise Nicheta, teneva banco de cambiar et si dice stronzava ducati“.

Così scriveva Marin Sanudo nei suoi Diari sotto la data dell’otto novembre 1500. Difatti il Nicheta era maestro nella trufferia di stronzare, tosare e scorticar monete e i ducati, gli scudi, gli zecchini che uscivano dalla sua bottega di cambio non avevano mai il peso legale beneficiando il banchiere di lauti guadagni.

Uno dei primi ad accorgersi della truffa fu sier Menego Malipiero, il quale avendo riscosso al banco Nicheta parecchi ducati d’oro, volle pesarli e trovò che come peso ne mancavano quattro, mentre come numero corrispondevano esattamente. Ritornato dal banchiere fu accolto malamente ed egli allora portò querela al capo del Consiglio dei Dieci, sier Zuane Zantani, della contrada di San Tomà, che ordinava subito l’arresto del colpevole, persona già sospetta e di dubbia fama, poiché “era falito doi volte con li danari in mano, ma il parentato et li protetori con bon combinamento haveva conzà ogni cosa“.

Venne eletto il tribunale inquirente composto dei quattro patrizi sier Luca Zen consigliere ducale, Piero Morosini avogador, Luca Civran inquisitore e lo Zantani, capo dei Dieci, i quali ebbero l’incarico di iniziare il processo e di accertare la colpa del Nicheta. Intanto la notizia dell’arresto si era sparsa per le contrade di Rialto, la sede maggiore del commercio e delle banche veneziane, e in molti non aveva provocato gran stupore conoscendosi l’avidità del banchiere, ma in tutti era viva l’approvazione per la misura presa “contra il brogio de li mercanti dishonesti“.

Il 21 novembre un nuovo fatto si aggiunse all’arresto che dette adito a nuovi commenti: l’ambasciatore di Francia si presentò in Collegio e raccomandò alla Signoria messer Alvise Nichetaa farli manco mai che si puol“, aggiungendo che la grande poetessa Cassandra Fedele faceva le più vive preghiere a favore del suo progetto. Il doge, Agostino Barbarigo, e la Signoria stupirono assai di quella intempestiva inframmettenza e il doge stesso rispose all’ambasciatore: “Domine orator, la leze è fatta per punir li colpevoli; san Marco vuol sempre justitia et questa sarà secondo la leze!“. E congedato l’ambasciatore si raccolse subito il Consiglio dei Dieci.

Cassandra Fedele annoverata tra le più famose italiane, “poetessa in volgare et in latino“, proclamata dal Polizianodonna decoro d’Italia“, non venne chiamata del Consiglio, ma fu chiamato suo marito, il medico Giambattista Mapelli vicentino. E a lui sier Zantani chiese perché Cassandra avesse preso a proteggere il Nichetahomo perverso et fraudolento” e il marito rispose al patrizio: “li poeti ama li contrasti, mia moier bona come el bon pan s’è presa a cuor de questo laro (ladro), è una soa fissation, senza alcuna razon!“.

Il processo ebbe termine con la piena confessione dell’accusato e il segretario del Consiglio, messer Lucio Zenoa, nella mattina del 15 febbraio 1501 andò nella prigione forte con l’avogador sier Piero Morosini e lesse la sentenza ad Alvise Micheta: “et zoè che li sia cavà uno ochio et una man qual li piace in publico piaza de santo Marco a mezo le do colone sora uno soler per haver stronzà monete qual havia confessado“. E così avvenne il 19 febbraio e la mano e l’occhio scelto dal Nicheta furono quelli della parte sinistra e per cinque anni i Provveditori sopra banchi non gli permisero di aprir banco a Rialto. (1)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 3 ottobre 1928.

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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