La Guerra di Candia (1645-1669). VI parte

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Thomas Maurocenus Navium Venetae Classis Imperator Contra Turcas In Ageo Mari Ad Hellesponti Angustias Fortiter Pugnans Deo et Patriae Vitam Consecravit

La Guerra di Candia (1645-1669). VI parte

Giovanni Battista Grimani nuovo capitano generale

Il Senato attribuendo alla fiacchezza del capitano generale Antonio Cappello i sofferti disastri, lo depose dal carico rimanendo in sua vece capitan generale Giovanni Battista Grimani, uomo che in piccolo corpo racchiudeva animo grande, facondo ne discorsi, risoluto nelle deliberazioni, e pronto nell’eseguirle. Nel posto di Provveditor generale da mare gli fu surrogato Luigi Mocenigo detto Leonardo, e al defunto Andrea Corner fu sostituito nel comando delle truppe da terra Nicolò Delfino.

Fatti in Dalmazia

La sola Candia occupava l’attenzione della Repubblica, poiché anche la Dalmazia era in pari tempo molestata dai Turchi; ne aveva la difesa il generale Leonardo Foscolo, erano capi delle armi il conte Ferdinando Scoto e il barone di Degenfeld; presiedeva alle fortezze e città, col titolo di Provveditor generale, Marco Antonio Pisani. I paesani gareggiavano di fedeltà e valore. Benché il Foscolo opinasse di uscire all’aperta campagna e prevenire gli assalti nemici, non consentiva il Senato a sì rischievole impresa, e così si riduceva la guerra a reciproche correrie, fino a che i Turchi assalirono Novigradi, luogo ragguardevole più per il sito che per altro. Mentre Bernardo Tagliapietra provveditore straordinario recatosi a Zara per chieder soccorsi, veniva dal generale posto in arresto per avere in tempo inopportuno abbandonata la piazza, Francesco Loredano provveditore ordinario faceva il possibile per difenderla, ma poi veduta aprirsi larga breccia nella muraglia, intavolò trattative di resa. Maneggiavansi ancora, quando gli abitanti accortisi, rifiutando generosamente qualunque patto coi Turchi preferirono di emigrare, e quelli allora entrati nella città senza capitolazione fecero prigioni ed uccisero i soldati di presidio e donarono al solo Loredano la vita e la libertà. Vani però riuscirono i tentativi dei Turchi contro Sebenico validamente difesa dal Foscolo, mentre il Pisani con la cavalleria divertiva il nemico dalla parte di Zemonico; e con tali fatti non decisivi si prolungavano la guerra e le sofferenze dei popoli; indifferenti a tante sciagure della Repubblica i principi d’Europa, Spagnuoli e Francesi continuavano a combattersi nel Piemonte, nel Milanese, nelle Fiandre, in Germania, estendendosi dappertutto e sotto vari aspetti il grande conflitto tra Spagna e Francia, mentre ancor si maneggiavano le trattative della pace in Munster, intorno alle quali con mirabile fervore ed ingegno si adoperava l’ambasciator Contarini.

Nuove esortazioni ai principi d’Europa

Tuttavia non lasciava la Repubblica di scrivere replicatamente a quei principi a quali rappresentava trovarsi veramente sempre con egual animo intrepido e risoluto a far fronte al comune nemico, ma considerassero come ella sola avesse a sostenere la difesa di Candia, della Dalmazia, del Friuli, di tante isole per la lunghezza di quasi millecinquecento miglia, che formavano il suo confine col Turco, ed insieme la barriera del Cristianesimo, e in codesta difesa sfornire essa gli arsenali, vuotare l’erario, sacrificare i cittadini, raccoglier da ogni parte, fino dal lontano settentrione sussidi di genti e di navi; pensassero che tutte le umane forze hanno un termine, che Candia perduta, il nemico vieppiù orgoglioso e potente piomberebbe prima sull’Italia, sede della religione, poi non avrebbe più ritegno la sua cupidigia di dominio; si movessero adunque i Principi tutti per il proprio interesse se non per altro; componessero le loro differenze per volgere le comuni armi a sì alto e nobile scopo qual era la salvezza d’Europa e della Cristianità, mentre altrimenti la Repubblica vedrebbesi suo malgrado costretta a pensare alla propria salvezza con tutti quei partiti che da lei stimati fossero e necessari e prudenti.

Eroico valore di Tomaso Morosini contro la flotta turca

Ma gli eccitamenti, le rimostranze tutte degli ambasciatori veneti alle varie corti, nessuno o solo un illusorio effetto partorivano, e Venezia si preparava da sé sola a sostenere il gran pondo, anche nell’anno 1647. Stava la armata dei Turchi a Scio, il capitan generale Grimani scorreva le acque, e parecchi legni prendeva, quando il capitano Tommaso Morosini si trovò da una folata di vento trasportato con la sua nave alla vista di Negroponte. Allora il Bascià del luogo, prestamente salpando con quarantacinque galee, corse incontro a quella nave, come a sicura preda. E qui seguirono prodigi di umano valore. Il Morosini non punto spaventato, spiegata la bandiera, distribuite le guardie, confortati i marinari e i soldati, lasciò che il Bascià si avvicinasse, e quando fu in tiro, fulminò la flotta turca con una grandine sì fitta di palle, che quella notabilmente offesa, già cominciava a retrocedere. Ma il Bascià col supplizio di alcuni renitenti, la spingeva di nuovo all’assalto. Già il cannone per la troppa vicinanza più non serviva ai Veneziani, i quali pur si difendevano come leoni a corpo a corpo, e coi fuochi artificiali incendiando le navi nemiche per modo le spaventavano, che ormai più non osando di avvicinarsi, si contentavano di cercar di lontano con le cannonate di mandar a fondo il tremendo vascello. Tuttavia alcuni più temerari si attentarono alla fine di abbordarlo spingendovisi innanzi a colpi di sciabola, e un turco aggrappatosi alla finestra della camera del capitano, scaricò l’archibugio, e la palla passando fuori della porta fracassò al Morosini la testa. Cadde morto il valoroso, ma i suoi non perciò inviliti, anzi accesi vieppiù dal desiderio di vendicarlo, ostinatamente continuavano nella meravigliosa difesa, né questa si rallentava neppur quando alcuni turchi arrampicatisi agli alberi, abbattendone l’insegna di San Marco, quella vi piantavano della mezzaluna. Intanto il capitano generale Grimani, uscito al primo udir tuonare il cannone, si avviava al soccorso, e i Turchi al suo avvicinamento, perduto già il loro generale Mussa e molto scemati di numero, allargandosi, lasciarono finalmente la nave del Morosini sconquassata, ma senza aver potuto insignorirsene; esempio, direi, di un quasi sovraumano valore. Il Grimani, costretti i Turchi che vi erano entrati ad arrendersi a discrezione, rialzata la bandiera di San Marco, si ritrasse in Candia per ristorare l’armata. Il Senato ricompensò degnamente i superstiti, ordinò pubblici funerali al Morosini, chiamò il precedente generale Giovanni Cappello a render conto di sé nelle carceri, benché poi fosse assolto.

Ibrahim sultano invece infuriava, e non potendo darsi pace che una sola nave avesse potuto recar tanto flagello ai suoi, si vendicava col confiscare i beni agli eredi del suo generale Mussa, e ordinava nuove forze si preparassero e nuovi conflitti.

Infelice sortita operata dai Veneziani da Candia

Il primo sforzo della nuova campagna volgevasi alla Suda, opportunamente rinforzata di genti dal generale Delfino, ma in cui infuriavano la fame e la peste, la quale per altro non meno flagellava il campo ottomano. Faceva strage altresì nella città di Candia i cui abitanti cercavano ristoro nelle frequenti sortite sotto il comando dei francesi Gildas, colonnello Gremonville e Vincenzo de la Marre.

Avevano per lo più felice successo, ma avvenne una volta che in una fazione più grossa del solito, composta di ben cinquemila uomini (31 giugno 1647), già tenendo la vittoria in pugno, la cavalleria e la fanteria stipendiate ad un tratto voltando faccia, si dessero a precipitosa fuga verso la montagna, non si però che parecchi non restassero morti ed altri prigionieri, tra i quali un figlio dello stesso generale Delfino. Codesto sciagurato avvenimento, secondo il Nani, sarebbe provenuto da gelosia, per cui le squadre di Gildas non si sarebbero mosse in soccorso di de la Marre, soldato intrepido, ma avventato che cominciò ad investire il nemico da sè solo e fuor di tempo, mentre il Gramonville, giovinetto ancora, era stato il primo a prender la fuga. Ma il dispaccio da Candia confessava: “non si può ancora capir la ragione per cui già avendo la vittoria in pugno, la cavalleria e la fanteria pagata, tutto che lontane l’una dall’altra, voltassero faccia, sbandandosi e fuggendo precipitosamente verso la montagna, senza che per un quarto d’ora s’avesse mai veduto il nemico a seguitarle”.

Il provveditore generale Mocenigo tiene lungo tempo la flotta nemica bloccata in Scio la quale ritorna con poco frutto a Costantinopoli.

Questo malaugurato avvenimento ebbe di conseguenza l’avanzamento dei Turchi verso la città capitale Candia, che si trovava ancora afflitta grandemente dalla peste, e della quale cominciò allora il lungo assedio che durar doveva ben ventidue anni. Sul mare però, la fortuna continuava per lo più a favorire i Veneziani. Il Bascià nel l’isola di Scio, se non che il Turco profittando dell’oscurità d’una notte poté tacitamente uscirne con parte della flotta e ridursi a Metelino, donde sempre inseguito dai Veneziani dovette ricoverare a Napoli di Romania. I Veneziani, animati dall’esempio di Lorenzo Marcello, prendevano sotto i suoi occhi, e perfino sotto il cannone della fortezza di Cisme, buon numero di barche turche cariche di provvisioni e munizioni destinate per la Canea. Chiamò allora il capitan generale Grimani la consulta per deliberare se in seguendo il nemico fosse da spingersi fin sotto a Napoli di Ramania, ovveramente contentarsi del tener velo bloccato, e mandare una parte della flotta sotto il Proveditor generale Mocenigo a continuare altresì il blocco del resto delle navi turche in Scio. Accettato l’ultimo partito vi si recò infatti il Mocenigo, e trovati ancora colà i Turchi disegnava avanzarsi nel canale di quell’isola ed offrir la battaglia, chiedendo a ciò rinforzo dal Capitan generale. Ma questo invece conoscendo da un canto il rischio dell’impresa, e dall’altro la impossibilità in cui era di sminuire ancor più le proprie forze, mentre da Costantinopoli si preparavano nuovi rinforzi, mandò ordine invece al Mocenigo di venire a congiungere l’armata in un corpo solo. Del che scriveva il Mocenigo: “Non posso rappresentare alle Eccellenze Vostre quanto rammarico ebbero sentito non solo i comandanti di questa squadra, ma tutti i cavalieri e soldati per la predetta risoluzione, vedendosi preclusa la via della gloria che tanto bramavano, e non hanno potuto ritenersi di non passar meco le più vive esclamazioni, ma io mostrandoli le mie commissioni ho pur loro fatto conoscere l’obbligo che tengo di obbedire sempre ogni cenno dell’eccellentissimo Procurator Capitan generale e della consulta per il motivo in particolare che ne ha portato l’E. S. in lettera 1.º corrente”. E così levate nella notte le ancore andò a raggiungere l’armata, e i Turchi uscendo da Scio, recati alquanti soccorsi in Canea, si ridussero a Costantinopoli, stimando vittoria codesto soccorso portato alla città e trionfo l’essersi sottratti alla battaglia, mentre i Veneziani si lodavano di averli tante volte fugati, e ritardato tutto un anno ulteriori sciagure nel regno di Candia, nel tempo stesso che con la liberazione dei Morlacchi, popolazione belligera e feroce dei dintorni di Clissa, che si diede alla Repubblica, e con la difesa di Sebenico chiudevasi la campagna di quell’anno in Dalmazia. (1) … segue

(1) SAMUELE ROMANIN. Storia Documentata di Venezia Tomo VII. Tipografia di Pietro Naratovich 1858.

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