La Guerra di Candia (1645-1669). I parte

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1722
Isola di Candia. British Museum

La Guerra di Candia (1645-1669). I parte

Stato delle relazioni politiche

Le relazioni della Repubblica con l’impero ottomano, buone al principio del secolo, essendosi rinnovate col sultano Acmet e dopo lui col successore Osmano II la pace e le convenzioni di commercio, continuarono sotto Murad IV, benché non esenti da alcune molestie e minacce, a mantenersi in condizione abbastanza tollerabile, mercé l’avvedutezza e i ricchi donativi della Repubblica.

I pirati algerini

Ma nel 1638 avvenne caso che poco mancò non conducesse ad aperta rottura. L’orgoglio dei pirati algerini era cresciuto per i loro felici successi a dismisura, onde grosse loro squadre inquietavano i mari, impedivano i commerci. In quell’anno principalmente erano usciti più formidabili che mai, e saccheggiati vari borghi della Calabria, spargevano di volersi recare a Loreto, osando infatti entrare nel golfo con sedici galee ben munite di artiglierie e di equipaggi. II provveditore Maria Cappello ne ebbe appena avviso, che si mise sulle loro traccie ed inteso che erano giunti nel porto di San Vasili, si diresse a quella volta; ritardato però il suo arrivo dalla burrasca, ebbero quelli intanto l’opportunità di recarsi alla Valona e di mettersi al sicuro sotto la fortezza. Non si trattenne perciò il Cappello dall’andarli a trovare anche colà, ma fu appena in vista che la fortezza cominciò a tirare, ed egli per mostrare che suo pensiero non era di assalire il luogo, bensì di punire i corsari della infrazione loro alle capitolazioni, si allargò con disegno d’impedire alle loro barche l’uscita e tenerli bloccati. Alla mattina seguente che fu il 3 di luglio mentre il sole dardeggiava i suoi raggi negli occhi dell’armata veneziana, i Barbareschi fecero un tentativo d’uscire, se non che trovata quella ben apparecchiata a riceverli, si ritirarono di nuovo con grande sollecitudine sotto la fortezza, assistiti vigorosamente dai continui tiri di essa, a dispetto delle capitolazioni che vietavano a qualunque terra dei Turchi di dare ricetto ai pirati. Ebbero tuttavia molti danni di alberi infranti e di navi sconquassate e prossime ad affondare, e benché anche i Veneziani non andassero immuni dai guasti, il provveditore Cappello tenne tuttavia bloccati i pirati dal 1 luglio al 7 agosto, quando avendo inteso che si avvicinavano loro altri soccorsi, decise di venire a un fallo decisivo. Laonde la mattina del 7 agosto, avendo tutto disposto all’imminente battaglia, cominciò ad investire la squadra nemica composta di sedici galere, le quali tutte dopo furioso combattimento vennero in potere dei Veneziani, che quindici ne mandarono a fondo, l’ultima condussero in trofeo a Venezia.

Il sultano Murad avutane notizia nella sua marcia verso Bagdad ordinò nel primo impeto una carnicina generale dei Veneziani nei suoi Stati, poi calmatosi alquanto, si contentò fosse carcerato il bailo Luigi Contarini, bloccato il porto di Spalato, interrotto ogni commercio con la Repubblica. Tornato dopo la conquista di Bagdad, trionfatore a Costantinopoli, cominciò anche a lasciar intravedere qualche disposizione alla pace, e i Veneziani profittandone, seppero ridurre a termine un accomodamento, per cui confermando il sultano le antiche capitolazioni, prometteva nuovamente sicurezza alle loro navi dalle piraterie dei Barbareschi; che avrebbe proibito i contrabbandi e punito i comandanti che li favorissero; concedeva ai Veneziani di poter assalire in alto mare i pirati, ed essi si obbligavano dal canto loro al pagamento di duecento cinquanta mila ducali a compenso dei danni nell’affare della Valona, e a restituire il legno turco ancor conservato.

Ma venuto Murad poco dopo a morte, le cose di nuovo grandemente si alterarono sotto il suo successore Ibrahim, benché a principio rinnovasse anch’egli i soliti trattati col bailo Pietro Foscarini succeduto al Contarini. Era però impossibile che il continuo corseggiare dei Barbareschi da una parte, e dei Maltesi, Fiorentini ed altri conosciuti sotto il nome generale di Ponentini dall’altra, non avesse a partorire conseguenze funeste e a compromettere in fine tutta la Cristianità.

I cavalieri di Malta

I più sfrenati erano i Cavalieri di Malta, i quali sotto colore di corseggiare contro gli infedeli, non risparmiavano ora con un pretesto ora con l’altro neppur i navigli cristiani specialmente dei Veneziani, e non si facevano alcun riguardo di cagionare a questi continue brighe coi Turchi. Alle lagnanze, i Maltesi non degnavano pur di rispondere, e con la dissimulazione accrescevano la temerità, onde era alfine necessario alla Repubblica di venire a qualche risoluta determinazione, ed ordinare il sequestro dei beni dell’Ordine nelle terre venete.

Perciò fatto venire in Collegio il ricevitore di quell’Ordine gli fu letta una carta nella quale si diceva che più volte si erano fatti sapere al Gran Maestro i gravi disordini che succedevano a pregiudizio generale della Cristianità, uscendo in corso le galee e i vascelli maltesi senza i debiti riguardi ai principi cristiani; aver più volte egualmente fatto conoscere di quanta importanza fosse che quei vascelli si tenessero lontani dalle isole e dai luoghi della Repubblica, dal recar danno e dal voler esercitare il diritto di visita sui navigli di essa; quei cavalieri dapprima istituiti a vantaggio, difesa e sostenimento della religione cattolica, ora aver cambiato modi, ed esserle divenuti di molestia e pericolo, violentar essi perfino con tormenti gli uomini presi sui vascelli rubati per far loro dichiarare a voce ed in scrittura che i danari e le merci fossero dei Turchi, la qual cosa erano costretti ad attestare per non morire sotto i tormenti, azione veramente indegna ed inumana, ma generalmente confermata; si darebbe dunque ad esso ricevitore una nota dei danni dai Maltesi inferiti ai legni veneziani per averne il debito risarcimento; scrivesse al gran maestro i particolari predetti acciocché tosto e vigorosamente vi rimediasse, e che oltre al compenso dovuto agli offesi, severamente punisse gli offensori,e quei temerari che osavano disobbedire ai suoi ordini, dando così testimonianza della sua giustizia e del suo buon affetto verso la Repubblica.

Ma tutto ciò era inutile e le correrie maltesi continuavano, quando avvenne caso che diede l’ultimo tracollo alla bilancia, e condusse a lunga e disastrosissima guerra tra la Porta Ottomana e Venezia.

La squadra maltese incontrava nell’Arcipelago una flottiglia ottomana che trasportava diversi pellegrini alla Mecca carica di preziose merci ed altri tesori, e tosto vi fece sopra i suoi disegni. Portava uno dei galeoni l’eunuco Sunbullu custode del serraglio, che caduto in disgrazia andava a cercar rifugio coi suoi tesori alla Mecca, e con lui erano anche Mohammed Efendi destinato giudice al Cairo e molti altri pellegrini. Perseguitata da sei navi maltesi, e sopraggiunta dopo fiero combattimento in cui Sunbullu ed il reis Ibrahim Celebi caddero valorosamente combattendo, la ricca galeona con trenta donne e gran numero di schiavi venne in potere dei Maltesi, i quali nel ritorno toccata la rada di Kalismene alla parte meridionale di Candia allora non custodita, vi aveano fatto provvista di acqua e sbarcato cavalli e cinquanta greci tratti dalle catene dei Turchi; indi radendo il lido della Sfacchia, volevano dar fondo a Castel Selino, se non che il comandante veneto tosto accorso li obbligò ad allontanarsi.

Avanzatisi quindi verso Cerigo, non ricevuti neppur colà dal Provveditore, dovettero ancorarsi nella cala di San Nicolò e poi in alcuni seni remoti di Cefalonia, sino a tanto che placato il vento contrario, abbandonato il vascello turco che più non poteva reggersi, si ridussero a Malta. (1) … segue

(1) SAMUELE ROMANIN. Storia Documentata di Venezia Tomo VII. Tipografia di Pietro Naratovich 1858.

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