L’incontro tra papa Alessandro III e l’imperatore Federico Barbarossa nella Basilica di San Marco

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Benedetto e Carlo Calieri. L'incontro tra il papa Alessandro III e l'imperatore Federico Barbarossa (particolare) Sala del Maggior Consiglio Palazzo Ducale

L’incontro tra papa Alessandro III e l’imperatore Federico Barbarossa nella Basilica di San Marco

Nel 1174 l’imperatore Federico Barbarossa discese, con un nuovo esercito, per la quinta volta in Italia e già, incendiata Susa, preso Asti, e posto invano l’assedio ad Alessandria, si ritirava a Pavia, ove, a fine di guadagnare tempo, propose nuove condizioni di accomodamento alla Lega Lombarda. Le quali tornate senza effetto, da che l’imperatore seppe che dalla Germania gli pervenivano nuove genti, giunte queste si pose alla loro testa, e, nei campi di Legnano, presentava battaglia ai confederati italiani. Non é a dire con quale e quanto ardore pugnarono Milanesi, Bresciani, Piacentini, Lodigiani, Novaresi, Vercellesi, che soli si trovarono congregati a fronte degli Alemanni. La storia registrò con splendida nota quel fatto, che forma tutta delle più care glorie d’Italia. Basta dire che l’imperatore fuggì in guisa, che corse voce, fra i suoi, che fosse rimasto sul campo, per cui l’imperatrice, a Como, assunto già aveva il lutto.

Tale sconfitta poneva in fondo ogni speranza di riscossa nell’animo di Federico; sicché se più volte, fino allora, con subdole arti aveva mostrato di curare la pace con il pontefice Alessandro III, adesso, rimessi gli spiriti, si decise fermamente a trattarla; e, per ciò fare, scrisse al doge Sebastiano Ziani più volte impegnandolo a farsi mediatore, mettendo in suo arbitrio trattarla. A questo si unirono i re di Francia e d’Inghilterra, e sì che al fine ben preparate ed avviate le pratiche, Federico mandò gli arcivescovi Guglielmo di Magileburgo, Cristiano di Magonza e Pietro vescovo di Vorms ad Anagni, ove si trovava il pontefice; e fu conchiuso che l’imperatore riconoscerebbe Alessandro come papa legittimo, e quindi rinunzierebbe allo scisma; non darebbe molestia a coloro che lo avevano sostenuto, e in quanto alle controversie con la Lega sarebbero particolarmente discusse.

Ottenuta poi dal pontefice carta di guarentigia e salvacondotto da Federico, partiva da Anagni, ed imbarcatosi sulle galee del re siculo, destinate a riceverlo, sciolse dal porto; ma una fiera tempesta lo spinse sulle coste della Dalmazia a Zara, da cui poi si diresse a Venezia, per indi recarsi nella città destinata per tenere un congresso, onde stringere pace durevole fra il papato e l’impero. Difatti, pervenuto il pontefice a San Nicolò del Lido, fu prima alloggiato in quel monastero, e quindi, il giorno appresso, incontrato dal doge entrò a Venezia, recandosi ad alloggiare nel palazzo del patriarca di Grado.

Intanto si propose Venezia stessa per luogo del meditato congresso, il quale si aprì verso la metà di maggio dell’anno 1177. Molte furono le discussioni che ebbero luogo, per appianare le quali Federico partiva dalla Pomposa, delizioso palazzo in cui faceva la sua dimora presso Ravenna, per indi recarsi a Chioggia; ma allora che si seppe essere egli arrivato in quella città, poco distante da Venezia, ed a Venezia soggetta, sorse il desiderio in molti del congresso che non si lasciasse colà inonorato l’imperatore. Il quale, dopo avere alquanto esitato, alla fine approvò i capitoli sottoscritti dai suoi plenipotenziari: ed il pontefice, dopo di averlo fatto assolvere dalle censure, permise che venisse a Venezia. Sei galee veneziane quindi, il dì 23 luglio, si recarono a Chioggia a levarlo, lo condussero a San Nicolò del Lido, ove la Signoria, il dì appresso, unitamente al doge, al patriarca, al clero ed al popolo, si recarono a prenderlo, e lo condussero sulla piazza di San Marco.

Stava ad attenderlo, sulla porta della Basilica Marciana Alessandro III, assiso sopra magnifico trono, e adorno delle vesti pontificali, circondato da cardinali e da prelati, in mezzo al gremito popolo spettatore. Tosto che Federico si fu accostato al pontefice, depose il manto imperiale ed ogni altro ornamento di sua maestà, ed inoltratosi al soglio del Vicario di Cristo, si prostese umiliato a baciargli i piedi. Il papa tosto lo alzò di terra, e gli diede in sulla fronte il bacio di pace. Presolo quindi amichevolmente per mano, lo guidò nel tempio presso l’ara massima, ove Federico prestò novellamente ubbidienza ed ossequio ad Alessandro, come a Sommo Pontefice. Il dì appresso, per desiderio dell’Augusto stesso, il papa celebrò nel tempio medesimo l’incruento sacrificio, e di sua mano fece partecipe il monarca del pane angelico, e ciò a sacramento di riconciliazione verace. Deposti ricchi doni da Federico sull’altare, si restituì al palazzo ducale, ove preso avea alloggio, unitamente coi più distinti personaggi del suo seguito.

La ratificazione definitiva del trattato avvenne il primo giorno dell’agosto seguente; col quale prometteva e giurava l’imperatore, alle città confederate, una tregua di sei anni, durante la quale quelli della Lega non sarebbero molestati dagli imperiali; potrebbero girare e commerciare liberamente nelle terre dell’imperatore, come altresì gli aderenti di questo godrebbero di egual libertà nelle terre della Lega; nominerebbe dall’una parte e dall’altra ciascuna città due arbitri a decidere nelle controversie che potessero insorgere; che se gli arbitri non fossero da tanto a restituire l’ordine in qualche città contumace, non verrebbe perciò turbata la pace generale, ma solo contro quella città verrebbe pronunziato il bando. Oltre ad alcune altre cose si statuiva, che nell’indicato corso di sci anni quelli della Lega non sarebbero tenuti a giurare fedeltà all’imperatore, né questi pronunzierebbe sentenza in cose concernenti la Lega stessa.

Finalmente fu fatta tregua del pari col re di Sicilia per quindici anni. Speciale trattato conchiudevano poi i Veneziani con Federico, il dì 16 settembre seguente, per il quale rinnovava e confermava l’imperatore tutti i patti dei suoi antecessori, tanto in riguardo ai confini, quanto circa alle selve, alle vigne e ad ogni altro possedimento nelle terre imperiali; guarenti vali da ogni insulto e molestia; proibiva severamente ai suoi sudditi di appropriarsi alcuna cosa spettante ai legni veneziani che tacessero naufragio; provvedeva alla retta amministrazione della giustizia: pagando i Veneziani il solito ripatico ed il quadragesimo, avrebbero facoltà di commerciare in tutti i domini dell’impero senz’altro dazio o gravezza, e limitava i viaggi marittimi dei propri sudditi fino a Venezia soltanto e non più oltre: infine provvedeva alla sicurezza dei legati, concedeva ai veneziani l’uso dei boschi e dei pascoli nei vicini territori.

Anche papa Alessandro era largo con la Repubblica di concessioni spirituali. Consacrò tre chiese; San Salvatore, Santa Maria della Carità, la cappella d’ Ognissanti nel palazzo del patriarca di Grado, contigua alla chiesa di San Silvestro, a cui poscia fu unita: donò al doge la Rosa d’oro, da lui stesso benedetta nella Basilica di San Marco, e pose termine, finalmente, per un concordato, alle discordie che per vari secoli avevano turbata la pace fra i patriarchi di Aquileia e di Grado.

Partiva l’imperatore verso il fine di settembre, e quindi il papa alla metà del mese susseguente, ritornando ciascuno, con gran seguito, ai propri Stati.

Questo fatto é uno dei più gloriosi che vanti la storia veneziana, perché da esso risplende, più che da ogni altro, la potenza e la religione della Repubblica; e per ciò voleva essa che venisse figurato in dodici tele distinte nella Sala del Consiglio Maggiore, ed in un’altra tela decorante la Sala del Consiglio dei Dieci. (1)

A ricordo dell’evento, una pietra segna, sul pavimento dell’atrio della Basilica di San Marco, il punto esatto dove avvenne l’incontro tra papa Alessandro III e l’imperatore Federico Barbarossa.

Atrio della Basilica di San Marco. Punto dell’incontro tra papa Alessandro III e Federico Barbarossa.

(1) Il Palazzo Ducale di Venezia Volume IV. Francesco Zanotto. Venezia MDCCCLXI

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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