La giustizia a Venezia; la Camera del Tormento e la tortura dello “scasso di corda”

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Sala del Tormento. Palazzo Ducale

La giustizia a Venezia; la Camera del Tormento e la tortura dello “scasso di corda

Girolamo Quarti della contrada di San Cassan, “balotin” del Consiglio, avena prima di cominciare la votazione nascoste “assae balote in un bossolo de sì“, aveva quindi tentato di “far brolio“. Subito arrestato, seppe che alloggiava in casa di Marco Priuli e sorse allora il sospetto che il patrizio lo avesse istigato a compiere il “brolio” in suo favore, ma il “balotin” negò recisamente con gran giuramenti. Condotto dinanzi al Consiglio dei Dieci, sier Alvise Barbaro lo invitò a confessare e messer Quarti rispose: “mi no ‘l so, le balote hera nel bossolo et mi non saveva, chi l’have messe no ‘l so et lo zuro“. Nella stessa sera fu messo alla tortura: gli si diede due tratti di corda e fu posto sul cavalletto dove ebbe slogate le ossa dei piedi ma nulla confessò. Due giorni dopo, nel pomeriggio, raccoltosi di nuovo il Consiglio, Girolamo Quarti fu condotto ancora nella camera “dil tormento“, tuttavia neppure questa volta confessava sebbene “fo dito haveli dato venti scassi di corda!“. Gli fu fatto il processo e venne condannato a bando perpetuo con taglia di ducati cinquecento “di so beni, se preso a romper il bando“.

Il 16 gennaio, messo quel misero corpo in una barca, venne condotto a Fusina dove lo spettava una carrozza di casa Priuli con cuscini e materassi e su quella raggiunse il confine verso Ferrara. Un servo del Priuli lo accompagnò sempre, e quando il povero Quarti ebbe raggiunto Copparo al di là del Po, lo accolse sier Marco Priuli in una casetta tolta appositamente in affitto. Il Sanudo commenta: “Tutto feva creder che sier Marco havesse istigà il balotin per so conto, ma contra il patricio no se puol preceder non avendo Girolamo Quarti confessà, et fu per tutta la terra (città) un gran parlar di questo homo che con tanti tormenti mai feva confession“. (1)

La tortura dello “scasso di corda” doveva servire per ottenere la confessione di un reo o di un testimonio, e consisteva nel legare le mani dietro la schiena al reo, poi con una corda e una carrucola il corpo veniva issato a qualche metro da terra, facendo così gravare tutto il peso del corpo sulle spalle. La corda veniva lasciata andare, facendo precipitare l’indiziato, prima che cadesse al suolo, la corda veniva fermata di colpo, provocando uno strappo ai muscoli e la slogatura delle braccia all’altezza dell’articolazione delle spalle (scasso). Il reo veniva così lasciato penzolante con le spalle slogate, poi le spalle venivano risistemate e una nuova sessione di tortura poteva avere luogo. (2) Potevano essere dati tre scassi al giorno, e se necessario replicati per tre giorni.

L’utilizzo dello “scasso di corda“, come strumento per ottenere la confessione da parte di un colpevole, era comunemente usato fino agli inizi del Settecento, quando entrò in disuso. Questo tipo di tortura veniva usato con qualche garanzie per il presunto reo: un giudice che faceva torturare ingiustamente un innocente era per legge reo di morte; la tortura non poteva essere applicata ai minori di 14 anni, alle donne gravide fino a 40 giorni dopo il parto, ai dottori, agli avvocati, alle persone poste in alta dignità, ai religiosi, ai vecchi di oltre 60 anni. Non si poteva torturare nei giorni destinati al culto e non si poteva torturare nessuno prima che fossero passate dieci ore dal suo ultimo pasto.

Alla tortura non potevano essere presenti né gli avvocati né i procuratori, uno scrivano doveva notare tutto quello che diceva il reo: lamenti, grida, ululati, se rispondeva, se taceva, se stesse sulla corda in forma dormiente, se diceva “calatemi che dirò la verità“, quando confessava doveva stare sulla corda finché non finiva, poi si slegava e si rimandava in prigione. La deposizione resa in tormentis doveva essere successivamente ratificata, si lasciava passare un giorno poi si portava il reo davanti il giudice dove fattagli la lettura della confessione veniva ratificata. (3)

Vicino alla Sala del Tormento vi erano delle celle chiamate “cameroti” che servivano per la detenzione temporanea di chi subiva la tortura.

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 22 febbraio 1929.

(2) https://it.wikipedia.org/wiki/Tratto_di_corda

(3) Antonio Barbaro. Pratica Criminale. In La “giustizia” nell’ordinamento veneziano di Ivone Cacciavillani.

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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