Domenico Gaffaro parroco di San Basso e la terribile condanna del suo servo assassino

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Ponte del Gaffaro. Tra i sestieri di Dorsoduro e Santa Croce

Domenico Gaffaro parroco di San Basso e la terribile condanna del suo servo assassino

Il noto ponte e la fondamenta omonima ai Tolentini traggono il nome da una famiglia Gaffaro, ricordata da un’epigrafe mortuaria della Chiesa dei Carmini e che aveva la casa sulla fondamenta.

Di tale famiglia uscì quel Domenico Gaffaro, prima pievano di San Basso e poi vescovo di Eraclea, il quale anche nel tempo della sua prelatura teneva casa in Venezia, e la notte del 26 novembre 1370 fu vittima di un selvaggio attentato.

Egli teneva al suo servizio uno schiavo di nome Giovanni, del quale si fidava pienamente ignorandone la perversa indole. Ora costui, messosi d’accordo con un Pietro suo fratello, stabilì di uccidere il padrone per derubarlo, e in quella notte l’assalì nel sonno con un pugnale ferendolo gravemente alla gola e al petto. Quindi, credutolo morto, coll’aiuto del fratello involò danari e gli oggetti preziosi tentando di porsi in salvo con la fuga in una barca del padrone. Complice della trama era pure una schiava friulana di nome Caterina che il vile servo aveva corrotta con regali e con promessa di matrimonio.

I tre fuggitivi vennero però ben tosto raggiunti e dopo avere fatto fra i tormenti piena confessione del loro delitto, andarono incontro a uno di quei terribili supplizi che i tempi consentivano e il grave reato giustificava.

Infatti Giovanni col banditore al fianco che ad alta voce ne gridava il delitto, per sentenza della Quarantia criminale del giorno successivo (la giustizia allora si spicciava assai presto) fu condotto sopra una chiatta fino a Santa Croce, quindi per terra alla casa del vescovo, dove ebbe amputata la destra. Di là, con la mano appesa al collo, a Rialto, ove gli furono inferti quattro colpi di tanaglia infocata, uno per gamba e per braccio. Dopo ciò venne tratto fra le due colonne della Piazzetta, ed ivi tormentato con altri quattro colpi di tenaglia; due sul petto e uno per ogni coscia, accoppato e finalmente messo a quarti che penzolarono per alcuni giorni dalle forche e quindi furono appesi a pubblico esempio nei soliti quattro luoghi, cioè, sulla via di Chioggia, di Padova, di Mestre e a San Nicolò di Lido.

Anche Pietro e Caterina dovettero seguire Giovanni in tutti i luoghi del supplizio, variando però la loro condanna in questo che il primo, senz’altri tormenti fu ucciso e squartato, e la seconda fu bollata e fuoco, mozza del naso e bandita.

Se poi il vescovo sia morto per le ferite riportate, non si sa con precisione; le Raspe, o registri della Quarantia criminale, dicono solo che esse furono “cum periculo vitae“. (1)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 4 marzo 1924

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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