Ponte dei Sartori, sul Rio dei Gozzi. Salizada Seriman – Calle del Spizier
Ponte in ferro; struttura in ferro, bande in ferro a volute. Ricostruito nell’anno 2018. (1)
Il Ponte dei Sartori si chiama così per l’adiacente omonima fondamenta e per l’Ospizio dei Sartori che vi sorgeva. Fra le Condizioni del sestiere di Cannaregio del 1712 si trova la seguente: “In esecutione et obbedienza della parte dell’ EE.mo Senato di dì 5 settembre 1711 notifico io Girolamo Feltrin Gastaldo dell’arte dei Sartori posseder d.o Arte casette n. 17 in contrà di Santi Apostoli, sopra la Fondamenta detta dei Sartori, delle quali è formato un ospitale che si dà, amore dei, ai poveri dell’arte”.
Tuttora sopra una casa di questa fondamenta vi è un bassorilievo, ove si scorge la Beata Vergine che tiene in braccio il Bambino, in mezzo a Sant’Omobono e San Barbara, sotto il cui patrocinio erano i sarti, e si leggono le parole: Hospedal Dei Poveri Sartori con la data del 1511.
L’arte dei Sartori fu eretta in corpo nel 1391, e secondo Flaminio Corner, ottenne fino dal 1435 il dominio sopra il corpo di Santa Barbara che si venerava nella chiesa dei padri Crociferi, rifabbricata poi dai padri Gesuiti, ed ebbe due delle tre chiavi sotto le quali si chiudevano le sacre reliquie. Oltre l’altare di Santa Barbara nella chiesa, quest’arte possedeva nel prossimo campo Scuola di devozione, ricca di alcune egregie pitture. Anticamente i sarti Veneziani si dividevano in tre classi, cioè: Sarti da veste, Sarti da ziponi (giubboni), e Sarti da calze (sinonimo di brache). Al cadere della Repubblica 172 erano le loro botteghe, 279 i capi maestri, 200 i lavoranti, 300 le mistre, e 2 i garzoni.
Il ponte sorge sopra il Rio dei Gozzi, il quale prende il nome dalla famiglia Gozzi, la quale abitava nell’adiacente palazzo Dolce Contarini Gozzi Sceriman. La famiglia Gozzi, nobile Bergamasca, vanta fino dal 1445 un Pezolo, figlio di Bonizolo, che a proprie spese conservò sotto il Veneto dominio Alzano (nella bassa Val Seriana) dall’armi dei Milanesi. Essa venne a Venezia nel secolo XVI, e verso la metà del susseguente secolo XVII era già divisa in quattro rami, domiciliato il primo a Santa Sofia, il secondo a San Cassiano, il terzo a Santa Maria Mater Domini, ed il quarto ai Santi Apostoli. Quest’ultimo ebbe a capostipite nella nostra città un Gabriele, da cui nacque quell’Alberto, appellato dalla seda perché teneva un negozio di panni di seta in Calle dei Toscani a Rialto. Egli, con istrumento 31 maggio 1638, in atti di Angelo Schietti, comperò da Contarina Contarini, consorte Piero Priuli q. Michiel, un palazzo posto in parrocchia dei Santi Apostoli, e precisamente ai Gesuiti.
Questo è il palazzo di cui parla il Sansovino nella sua Venezia allorquando, dopo aver nominato i palazzi Zeno ai Gesuiti, aggiunge che di qua dal ponte si trova quello dei Contarini, già fatto dalla casa Dolce. Esso ha tuttora scolpita sulla muraglia di fianco l’arma dei Contarini. Alberto Gozzi nel 1646 venne ammesso al patriziato. Negli anni 1645-1646 fu uno dei benemeriti sovventori per l’erezione dell’eremo dei Camaldolesi nell’isola di San Clemente, e fabbricò pure un bell’ altare in chiesa di San Moisè. La linea patrizia dei Gozzi andò estinta nel 1698 in un altro Alberto, di lui nipote, il quale, con testamento 26 agosto di quell’anno, lasciò tutte le sue disponibilità ai quattro ospedali degli Incurabili, Pietà, Mendicanti ed Ospedaletto, nonché al monastero delle Convertite, prescrivendo solo che, vita durante, ne fosse usufruttuaria la moglie Andriana Donà. Essa però, ritiratasi in seguito fra le Cappuccine di Castello, rinunziò all’usufrutto, mediante convenzione, ed ecco il palazzo porsi all’incanto, e venir comperato dalla famiglia Sceriman.
La famiglia Sceriman o Seriman, fiorì, col cognome di Sarath, in Ziulfa d’Ispahan (attuale Iran), ove, colma di onori e di ricchezze, eresse templi, ed ampi edifici per i propagatori del Vangelo. Ma vittima di crudeli persecuzioni, abbandonò la terra natale, e si rifuggì in Italia sul finire del secolo XVII. I Sceriman furono fregiati da Innocenzo XII della Romana cittadinanza, e dall’imperatore Leopoldo I del titolo di conti Ungheresi. Vennero in gran conto tenuti anche dalla Veneta Repubblica, a cui prestarono 720.000 ducati per la guerra di Candia. Essi avevano la loro tomba in chiesa di Santa Maria della Consolazione (volgarmente la Fava). (2)
Il Ponte dei Sartori salì agli onori della cronaca veneziana nel 1676, allor quando, come si legge nel codice 183, classe VII della Marciana: “Lunardo Loredan q. ser Francesco fu trovato morto in un battello al ponte de ca’ Gozzi, alli Gesuiti, in notte scura e piovosa. Fu detto che, sorpreso da un accidente nell’ascendere il ponte cadesse a basso, e dando nella testa sul battello, si accoppasse. Altri dicono che, andando da una putta cantarina, che manteneva, li parenti honorati l’havessero getato giù di quel ponte dopo havergli dato un colpo di bastone in la testa“. Leonardo Loredan apparteneva alla linea di San Stefano che si estinse nel 1750 in un Andrea, e la versione della “cantarina” sulla morte del Loredan non sembra da escludersi poiché negli Atti Criminali della Quarantia del 1676, si trova che un tale Manuzzi fu arrestato per sospetti gravi, ma poi liberato perché nulla confessò “zercha la morte di ser Loredan alli Gesuiti“. Il Manuzzi, “homo de anni 50“, era il padre della putta che era appunto una Manuzzi, che cantava nei cori al teatro di “Calle de la Testa” ai Santi Giovanni e Paolo. La morte del Loredan destò a Venezia un certo rumore perché uomo elegante, dedito ai sollazzi e conosciuto come la bettonica; ma il mistero in cui rimase avvolta fu per alcuni esca nel dipingere a neri colori la storia della Serenissima. (3)
(1) ConoscereVenezia
(2) Giuseppe Tassini. Curiosità Veneziane ovvero Origini delle denominazioni stradali di Venezia. (VENEZIA, Tipografia Grimaldo. 1872).
(3) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 2 luglio 1924.
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