Parrocchia di San Marziale vulgo San Marcilian

0
1756
Chiesa di San Marziale

Parrocchia di San Marziale vulgo San Marcilian

Chiesa

Fondazione. In uno spazio ove era stabilito uno squero, ossia cantiere per fabbricare navigli, fu innalzata questa chiesa l’anno 983, a spese della patrizia famiglia Dei Bocchi, e intitolata a San Marziale Vescovo di Limoges, volgarmente detto San Marcilian.

Verso la fine del secolo XVII divenuta cadente, fu rifabbricata da fondamenti a cura del pievano Giuseppe Pasquini, in parte con mezzi propri, e in parte con le elemosine del vicinato. Condotta nel 1693 a compimento, fu poi consacrata nel 28 Settembre del 1721 dal Patriarca di Venezia Pietro Barbarigo. Questo tempio presenta il gusto architettonico del secolo XVII; però è decorato di qualche buon quadro; vi si distingue la celebre opera di Tiziano rappresentante Tobia guidato dal l’Angelo.

Parrocchia

La sua istituzione rimonta al 1133 e forse anche più in là: vasto ne è il circondario, divenuto maggiore nel 1810 per l’aggiunta di una grande porzione di quella dei Santi Ermagora e Fortunato (San Marcuola) tuttora conservata; e di alcune contrade dell’altra di Santa Sofia, allora soppressa.

Chiese nel circondario di questa parrocchia attualmente ufficiate.

San Lodovico (vulgo Sant’ Alvise). Sussidiaria. Eretta intorno al 1588 a spese della vedova Antonia Venier nobile matrona veneziana, la quale poi vi aggiunse un monastero in cui si rinchiuse con alcune compagne, abbracciando la regola di Sant’Agostino. Soppresso dal governo italiano il cenobio, fu però mantenuta l’ufficiatura della chiesa come sussidiaria di San Marziale. Il convento si destinò a ricovero delle figlie adulte dell’ospizio chiamato della Pietà, che accoglie gli esposti. Ora, provveduto essendo in altra maniera al collocamento delle esposte adulte, il chiostro convertito ad altri usi, viene presentemente restaurato, e adattato per il collocamento in esso delle Suore della Carità, che, dall’Ospizio di Santa Lucia, devono esservi traslocate.

Santa Maria dell’Orto (vulgo la Madonna dell’Orto). Oratorio Sacramentale. Marco Tiberio da Parma generale della Congregazione degli Umiliati, venuto a Venezia, fondò questa chiesa verso la metà del XIV secolo, e la dedicò a San Cristoforo. Vi aggiunse anche un chiostro per i monaci del suo ordine.

Mentre si lavorava per compiere l’edificio, fu casualmente escavata in un orto vicino una rozza immagine in marmo di Maria Vergine col Bambino, la quale collocata dignitosamente nella chiesa di San Cristoforo, le diede il nome di Santa Maria dell’Orto. La famiglia di quegli Umiliati avendo nel 1477, per la sua mala condotta obbligato il governo ad allontanarla, vi subentrarono alcuni Canonici secolari usciti dal Chiostro di San Giorgio in Alga.

Soppressa poi da Papa Clemente IX quella congregazione, il convento divenne proprietà dello stato, da cui nel 1669 lo acquistarono i monaci Cisterciensi che vi rimasero sino alla soppressione decretata dalla Repubblica Veneta sul declinare del secolo scorso. Questo grandioso tempio è decorato di scelti quadri, fra i quali si distingue la Vergine col Bambino, opera insigne di Giovanni Bellino. Le pareti laterali del presbiterio sono ricoperte da due gran quadri di estraordinaria dimensione, che mostrano l’ardimento e il valore di Jacopo Tintoretto. L’uno rappresenta i fatti che precederanno il Giudizio universale, l’altro il Monte Sinai e l’adorazione del Vitello d’oro, opere degne di somma ammirazione.

Santa Maria Madre del Redentore (Chiesa delle Cappuccine). Alcune Vergini devote di San Francesco, raccoltesi in umile Ospizio, fondarono nel 1605 piccolo Chiostro in Quintavalle presso la Basilica Patriarcale di San Pietro a Castello, abbracciando la regola di tutto rigore di Santa Chiara. Quella località essendo troppo remota, le pie donne trovarono mezzi onde erigere una chiesa ed un chiostro lungo la fondamenta che scorre dirimpetto a San Girolamo, ed ivi, nel 1612, trasferite, vi rimasero sino alla generale soppressione. La chiesa continuò ad essere ufficiata come oratorio; il convento divenne ospizio per le maniache. Dopo alcuni anni, il religioso attuale governo austriaco, ristabilito quell’ordine di francescane, ritornò ad uso delle medesime il cenobio e la chiesa, e nuovamente le Cappuccine vi si trovano collocate.

San Girolamo. Oratorio. Piccolo sacro Edificio adiacente alla secolarizzata Chiesa di San Girolamo. Chiuso all’epoca della soppressione, fu riaperto al culto divino l’anno 1814.

San Filippo Neri. Oratorio. Sul campo della già demolita Chiesa dei Padri Serviti, sorge questo piccolo Oratorio già dedicato a Santa Maria Annunziata. È ufficiato dai devoti di San Filippo Neri da cui prese l’attuale denominazione. I sacri edifici fin qui accennati dipendono dalla parrocchiale di cui si parla. Nel circondario di questa, ma non sotto la sua giurisdizione, si trova la:

Chiesa di Santa Maria della Misericordia. Priorato Abaziale. Sino dall’anno 959 s’innalzò questa chiesa sullo spazio chiamato allora Valverde, e fu intitolata a Santa Maria della Misericordia. Variano le opinioni quanto ai nomi dei fondatori: certo è però, che ne ebbe gran parte di merito la patrizia famiglia Moro da cui scese anche Cristoforo Moro Doge nel 1462; poiché sappiamo, che nel 1569, il patriarca di Grado Francesco Quirini, qual commissario apostolico, con formale sentenza ha deciso, spettare il patronato di questa chiesa alla suaccennata famiglia Moro qual fondatrice del sacro edificio.

Presso la chiesa si eressero un ospitale per i poveri infermi, ed un chiostro ove si stabilì una famiglia di agostiniani governati da un priore, il quale veniva presentato dalla patrona famiglia Moro, che spesso sceglieva un individuo della sua stirpe. Nel 1454 essendo priore Giacomo Negri, Papa Nicolò V decretò, che quel priorato, l’ospitale e sue aderenze, fossero esenti da ogni dipendenza dalla parrocchia nel cui circondario erano collocati. Più tardi, Papa Clemente VIII dispose nel 1600, che Girolamo Savina, a quel tempo priore, e tutti i successori di lui, sedendo nei sinodi diocesani, e nei concili provinciali, occupassero il secondo posto dopo il veneto patriarca, vestissero il rocchetto e l’abito de notai apostolici, usassero nella lor chiesa le insegne pontificali Episcoporum More, e potessero dare al popolo la solenne benedizione.

Quantunque l’antica facciata di questo tempio si sia rialzata in marmo nel 1659 con disegno di Clemente Moli, pure l’interno era caduto in gravissimo deperimento. In maggiore rovina versavano il Chiostro e l’Ospizio, diroccati in gran parte.

Monsignor Pietro Pianton, nel 1828 a quel Priorato Abaziale, adoperando ogni pia sollecitudine, e con ingente dispendio, ebbe il merito di restaurare radicalmente sì l’una, che l’altro, e di erigervi dalle fondamenta cospicue aggiunte. Inoltre egli seppe decorare la Chiesa, e sue adiacenze, di molti preziosi ornamenti sculti e dipinti, talchè ora cangiarono affatto di aspetto.

Egli diede altresì vita novella a scelte pitture che, guaste e neglette, vi si trovavano, fra le quali è famoso il da lui rivendicato quadro del Tobia, capo lavoro del rinomatissimo G. B. Cima da Conegliano, e che solo basterebbe per invitare gli amatori dell’arti alla visita di quest’abazia.

Chiese secolarizzate.

Santa Maria dei Servi. Con le generose sovvenzioni di Giovanni Avanzo, alcuni padri Serviti, giunti a Venezia intorno al 1316, eressero chiesa e chiostro per il loro ordine, e vi si stabilirono. Innalzato sul principio un piccolo edificio, si gettarono dappoi nel 1330 le fondamenta di maestoso tempio, che giunto a compimento, si consacrò nel 7 novembre 1491 dall’arcivescovo di Corinto Antonio Saracco. In quella costruzione fu seguito lo stile chiamato gotico, dominante a Venezia nel secolo XIV, sussiste tuttora qualche frammento delle sue porte, da cui può arguirsi del gusto e della magnificenza dell’edificio.

Lo decoravano 22 altari, e molti preziosissimi monumenti, fra i quali si annoverava quello del doge Andrea Vendramin, dappoi trasferito nel tempio dei Santi Giovanni e Paolo. E come nel vicinato anche la patrizia famiglia Emo abitava, si eresse nella Chiesa medesima, sul declinare del secolo scorso, il monumento di Angelo Emo ultimo grande ammiraglio della veneta signoria, il quale raccolto nella demolizione della chiesa, fu poi collocato in quella di San Biagio, parrocchiale della R. Marina. Nella generale soppressione delle religiose corporazioni essendosi chiuso anche questo maestoso tempio, fu poi in unione al convento demolito nell’anno 1812.

Scuola de Lucchesi, detta anche del Centurione. Quei mercadanti lucchesi che sul principio del secolo XIV, per i turbamenti di loro patria, vennero cercare asilo in Venezia, eressero presso il suaccennato tempio dei padri Serviti ampio edificio dedicato a Gesù crocifisso, sotto il titolo di Volto Sacro. Si unirono essi in fraterna, alla quale erano ammessi soltanto i Lucchesi, o gli oriundi di quella nazione, e, in questa cappella si raccoglievano pe loro esercizi di religione. L’edificio, di cui sussistono tuttavia muraglie e tetto, fu convertito ad usi secolari.

San Girolamo. Le pie largizioni di Giovanni Contarini P. V. posero in grado alcune monache agostiniane, nel 1375 ritiratesi in causa di guerra da Treviso a Venezia, d’innalzare una chiesa a San Girolamo intitolata, e di aggiungervi un ospizio ove ricoverarsi. Un incendio distrusse nel 1456 quei fabbricati; e costrutti di nuovo, furono questi pure distrutti dall’altro incendio del 1705.

Da quelle ceneri sorsero ancora il convento e la chiesa; questa anzi di maggior dimensione che l’anteriore; il tutto però fu convertito ad usi privati al momento della general soppressione, anzi da alcuni anni vi si piantarono i molini a vapore.

San Bonaventura. Si ufficiava questa chiesa dai padri Riformati di San Francesco, nell’adiacente convento stabiliti sino dal 1620. Seguita la soppressione, si demolirono quegli edifici, e l’area fu convertita agli usi di una fabbrica di candele di cera.

Scuola di Sant’Alvise. Presso la sussidiaria Chiesa di San Lodovico, o Sant’Alvise, di cui si è detto di sopra, esisteva piccolo oratorio al santo medesimo dedicato, in cui si raccoglieva una pia confraternita: ma essendosi questa disciolta sino dagli ultimi tempi della cessata Repubblica, l’oratorio fu secolarizzato.

Scuola de Mercanti. Ampio edifizio s’innalza lungo un lato del Campo della Madonna dell’Orto, nel quale si raccoglieva una pia confraternita chiamata Scuola dei Mercanti, sotto gli auspici di Santa Maria dell’Orto e di San Cristoforo. Anche questo è ora adattato ad usi privati.

Scuola della Misericordia. Sino dal 1310 il Priore del Cenobio di Santa Maria della Misericordia in Valverde, assegnò ad alcuni confratelli un vicino fondo di ragione di quella religiosa famiglia, per innalzarvi un oratorio per loro devoti esercizi, il quale fu pure intitolato a Santa Maria della Misericordia. La pia unione essendosi grandemente ampliata, aggiunse ivi anche un Ospizio a vantaggio del poveri alla medesima ascritti, e più tardi, si dichiarò sommessa alla protezione di Maria Vergine Concetta, alla ricorrenza della cui festa si celebrava ogni anno grande solennità.

Senonché resosi troppo angusto il locale, che sorgeva sul campo dell’abazia, i confratelli lo abbandonarono, e lo cedettero alla Fraterna dei Tessitori, che vi tenne le sue adunanze sino a che, negli ultimi anni della cessata Repubblica, sciolta quella società, lo stabile passò in privato dominio. Ma quando la Confraternita della Misericordia uscì dal suddetto primitivo edificio, altro molto più vasto e magnifico ne innalzò sull’opposta sponda dell’adiacente canale, alla cui costruzione fu data mano al principio del XVI secolo, sopra modello di Sansovino, che lo condusse a termine l’anno 1532.

Le decorazioni della facciata richiedevano però tanto dispendio, che furono tenute in sospeso, e mancano tuttavia. Convertito, dopo la soppressione, questo grande locale ad usi militari, l’I. R. Comando di Piazza, secondando le pie istanze di Mons. Abate Pietro Pianton, onde porre in salvo da ogni possibile deperimento la preziosa scultura di Mastro Buono che decorava la mezzaluna della porta maggiore, la affidò al priorato abaziale della vicina chiesa di Santa Maria della Misericordia, nella quale di dignitosamente si custodisce. Questo bel pezzo d’arte, di epoca anteriore a quella dell’edificio dal Sansovino costrutto, decorava dapprima quell’altro che sorge sul Campo dell’Abazia.

Scuola della Madonna Rimpetto alla chiesa di San Marziale, sorgeva piccolo oratorio per gli esercizi religiosi di una fraterna, dedicato alla Madonna della Visitazione. Questo si trova ora incorporato alle abitazioni adiacenti.

Presso il Convento dei padri Serviti sorgevano due oratori, officiati, l’uno dalla confraternita dei Tintori, sotto gli auspici di Sant’Onofrio, l’altro da quella de Barbieri, intitolato ai Santi Filippo e Giacomo.

Parimenti presso la testa del ponte della Madonna dell’Orto si trovava altro piccolo oratorio dei cuocitori di pane, e questo pure soppresso, fu incorporato alle abitazioni vicine.

Località meritevoli di particolare menzione.

Casa del Tintoretto. Lungo il canale chiamato Rio della Sensa, scorre una fondamenta detta de Mori, perchè alle muraglie di alcune case sono appoggiati rozzi simulacri di saraceni. Su questa fondamenta, si alza una casa al N. 3399, abitazione un giorno di Jacopo Robusti cognominato Tintoretto, nato nel 1512, morto nel 1594. Domenico figlio di lui, pittore anch’esso, morì senza discendenza nel 1635.

Perciò, la casa di Jacopo, con la rimanente della sua eredità, passò a Sebastiano Casser, oriundo tedesco, e allievo in Venezia del suddetto Domenico, del quale sposata aveva la sorella Ottavia. I discendenti Casser possiedono tuttora quello stabile, sul cui prospetto una iscrizione ricorda il celebre artista che l’abitava. Nella navata di mezzo della vicina chiesa della Madonna dell’Orto, verso la tribuna dell’organo, vi è la tomba in cui Jacopo fu sepolto: di lui però non fa cenno la sovrapposta iscrizione, dalla quale si conosce, essere quello il sepolcro di Marco Vescovi; ma come questi era suocero di Jacopo, ivi perciò si deposero anche le ossa del genero e dei suoi successori.

Campo dei Mori. Prossimo alla casa del Tintoretto si apre un irregolare piazza le, e in esso pure si osservano, addossate alle case, alcune figure di saraceni, dai quali prese il nome di Campo dei Mori. Da quel simulacri, e dal sistema di costruzione che ancora si osserva in quel caseggiato, vi ha motivo di credere, fosse quello il quartiere solito abitarsi dagli africani che una volta concorrevano copiosamente per oggetti di commercio a Venezia.

Casa di Alessandro Leopardo. Verso l’estremità occidentale della fondamenta che si alza dinnanzi la chiesa della Madonna dell’Orto, e precisamente presso la Calle Gradisca, vi ha una larga apertura chiamata Corte del Caval Leopardo, soprannominata del Cavallo, per aver fuso il monumento equestre di Bartolommeo Colleoni eretto sulla Piazza del Santi. Giovanni e Paolo. Vogliono alcuni, che Alessandro facesse in questa corte la fusione di quel colosso, ma siccome poco lungi dal Tempio suddetto vi è un’altra corte chiamata pur del Cavallo, è più probabile la opinione che in questa si sia eseguito quel getto, e che la corte presso Gradisca prendesse il nome soltanto dalla circostanza che ivi l’artista abitasse.

Difatti Leopardo, dappoi tumulato nel chiostro della Madonna dell’Orto, ebbe anche sulla sua tomba un’epigrafe in cui è fatta menzione del monumento del Colleoni da lui lavorato, e che aveva tanto innalzata la fama del suo grande ingegno. Ho già osservato a suo luogo, essere incerto, se a Verocchio, o a Leopardo si debba attribuire il merito della statua equestre di cui si parla, e vi sono forti ragioni per credere, che l’onore sia tutto del primo; nondimeno è fuor di dubbio, che la fusione fu eseguita dal secondo, il quale forse avrà operato anche nel perfezionare il modello dal Verocchio lasciato. Comunque si sia, Leopardo fu artista di altissima rinomanza, e lasciò in Venezia chiare prove del suo valore. Egli era anche impiegato presso la pubblica Zecca come incisore, ma un istante di aberramento da onesti principii lo fece cadere nel fallo d’essere complice di una truffa.

Per quel delitto, il governo lo esiliò dallo stato, ma perdere non volendo per sempre un uomo di merito, poco appresso lo richiamò, senza rivocare per questo la pronunziata sentenza, ma sospendendone per soli sei mesi l’effetto. In quel temporario ritorno, ebbe occasioni per segnalare la sua maestria, talché la Repubblica, posto in non cale il giudizio contro di lui emanato, lo ristabilì nell’impiego di Zecca, con l’annuo assegno di ducati 30, dappoi portato a ducati 100.

Ponderando bene queste circostanze, sorge il dubbio, se si debba maggior laude alla perizia dell’artista, o alla savia indulgenza de magistrati nel tener conto degli uomini le prestazioni de quali tornavano a decoro e utilità dello stato.

Palazzo Benzi Zecchini Poco lungi dalla Corte del Cavallo, procedendo per l’adiacente fondamenta, sorge alla estremità della stessa un antico palazzo il quale, benché si trovi in istato che sembra rovinoso, merita però l’attenzione degli osservatori. Il prospetto è di architettura gotica del secolo XIV. con colonne di marmo greco venato: a tergo di questo prospetto, fu aggiunto, più tardi, un vastissimo e ricco fabbricato della maggiore solidità, e di quella maniera di architettare che si usava nel secolo XVII. Questa parte posteriore dell’Edificio, abbraccia tutta la lunghezza del Rio chiamato dei Zecchini sul quale s’innalza, ed è fregiata di magnifiche decorazioni. Nell’interno, vi è un cortile riccamente adorno, al quale fa seguito un vasto giardino che giunge quasi al margine della vicina laguna dirimpetto all’isola di Murano. Si maestoso palazzo è ora convertito agli usi di una fabbrica di amido, di oli, di zuccheri. La vedova dell’ultimo superstite della famiglia Benzi-Zecchini, cui apparteneva, lo lasciò colla sua eredità alla Casa di Ricovero di Venezia che n’è la proprietaria attuale.

Convento dei Servi, Fra Paolo Sarpi. Da Francesco Sarpi, mercadante Veneziano, ed Elisabetta Morelli di lui moglie, nacque nel 14 Agosto 1552 il figlio Pietro, il quale, nel 1565, preso l’abito dei padri Serviti, entrò in questo chiostro, assumendo il nome di Paolo. Applicatosi egli ad ogni ramo di studio, possedeva molte lingue, e vastissima erudizione: profondo era nelle scienze matematiche, nella medicina, e nell’architettura, e più di tutto nella giurisprudenza, largo ed utile campo nel quale si diede essenzialmente a coltivare il diritto canonico.

La Repubblica, mirando alla propria grandezza. aveva costume di apprezzare gli uomini che a questa potevano contribuire, al che intenta, fece scaturire dal chiostro l’umile fraticello Paolo, benché senza nascita illustre, e senz’alcuna esteriore prerogativa, e lo innalzò al rango di suo consultore teologo, ufficio nel quale seppe sostenere i diritti del principato. Senonché lo zelante utile servigio che al suo governo prestava, gli procacciò nemici a segno, che nel 5 ottobre 1607 mentre, sull’imbrunir della notte, si restituiva al chiostro, sceso dal Ponte di Santa Fosca, venne colto da cinque assassini che con lo stilo gli impressero tre gravi ferite, due nel collo, l’altra nella faccia, che ‘entrava all’orecchio destro e usciva fra la guancia ed il naso, e questa tanto forte e profonda, che l’arma feritrice incurvata, rimase fitta nell’osso dell’aggredito. Datisi gli assalitori alla fuga, il Sarpi, raccolto e assistito, d’altro non chiese se non che lo stilo si collocasse nella sua chiesa a piedi di un Crocifisso, con la iscrizione: Dei filio liberatori, quando poi seppe l’arresto dei delinquenti, mostrò dispiacere, temendo svelassero cose contrarie al decoro della cattolica religione, ben sapendosi che a quel tempo ardeva discordia fra la Repubblica e il pontefice Paolo V. Chiamò il Sarpi a curar sue ferite un giovane chirurgo da lui conosciuto, ma i magistrati, preso vivo interesse per la sua guarigione, lo circondarono de più valenti professori, chiamando anche quelli della università di Padova, dalla mano dei quali, dopo penosissime sofferenze, fu ristabilito in salute: ripigliò quindi le sue occupazioni di consultore, che sostenne sino alla morte, spirando l’ultimo fiato nella notte fra il 14 e 15 gennaio 1623 (1622 M. V.) nell’anno 71.mo di sua età.

Lasciò molte opere da lui composte, fra le quali è celebre la sua Storia del Concilio di Trento, al qual sacro consesso fu inviato col commissari della Repubblica. Quanto poi alle sue cognizioni delle scienze esatte, basti accennare, che Galileo, di cui era amico, lo riputava il più insigne matematico di quei tempi. La salma del Sarpi fu deposta nella sua chiesa dietro la mensa dell’Altare di Maria Vergine Addolorata, ma senza iscrizione: bensì più tardi due epigrafi vennero nell’avello introdotte. Decretò il senato la erezione di monumento cospicuo in onore del defunto, ne fu commesso il disegno a Girolamo Campagna, ma come le controversie agitate fra Roma e Venezia sparso avevano dei dubbi sulla ortodossia di F. Paolo, la prudenza del governo sospese ogni pubblica manifestazione in favore della sua memoria. Demolito, nel 1812, il tempio, le ceneri del Sarpi rimasero inosservate, senonché poi scoperte a caso nel 2 Giugno 1822, e formalmente riconosciute nel 1828, furono nel 13 Novembre dell’anno stesso collocate con analoga epigrafe nella chiesa di San Michele di Murano.

Palazzi Diedo e Vendramin. Sceso quel ponte di Santa Fosca ove, come si disse, venne assalito il Sarpi, s’incontrano due fondamente, l’una a sinistra che scorre verso la demolita Chiesa dei Servi, l’altra a destra. Sulla prima, sorge un Palazzo di bella forma, decorato di elegante marmoreo prospetto, innalzato da Andrea Tirali: l’Edilizio apparteneva alla Patrizia famiglia Diedo, da cui anche la fondamenta prese il nome. Sulla seconda, chiamata Fondamenta del Former, vi ha il Palazzo Vendramin già abitato dal fu Doge Andrea, e famiglia sua, prima che possedesse il Palazzo Calergi sul Canal Grande. È un edificio di bella forma, dello stile de Lombardi, fregiato di fine sculture de’ più esperti squadratori del secolo XVI.

Ponte dei Pugni. Il preaccennato Ponte di Santa Fosca, e l’altro poco lontano chiamato Ponte di San Marcilian, presentano tuttavia, nel selciato della loro piazzetta, scolpite le orme del piede umano. Era costume antico, che i più robusti campioni del basso popolo, in certi giorni di festa, comparissero su alcuni Ponti che non avevano parapetti, per far prova di forza e desterità, lottando e pugnando fra loro. Fra i Ponti a ciò destinati si annoverano questi due, che serbano ancora le tracce del sito ove si collocavano i lottatori.

Palazzi Contarini e Rizzo Patarol. Lungo la fondamenta che passa dinanzi alla Madonna dell’Orto, sorgono due grandiosi palazzi, l’uno a levante, l’altro a occidente di quella chiesa. Il primo appartiene alla illustre patrizia famiglia Contarini; il secondo ai successori del fu conte Rizzo Patarol: a quest’ultimo è annesso un orto botanico, ricco di piante indigene ed esotiche.

Ghetto. Trovandosi nel circondario di questa parrocchia una sola frazione del Ghetto, si parlerà più estesamente di questo quartiere nella descrizione della parrocchia di San Geremia, ove sin dal principio fu stabilito. (1)

(1) ANTONIO QUADRI. Descrizione topografica di Venezia e delle adiacenti lagune. Tipografia Giovanni Cecchini (Venezia, 1844)

Parrocchia di San Zaccaria dall’Iconografia delle trenta Parrocchie – Pubblicata da Giovanni Battista Paganuzzi. Venezia 1821

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

SHARE

Lascia una risposta

Please enter your comment!
Please enter your name here

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.