Isola di San Clemente

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Ongania Ferdinando. Isola di San Clemente. Da internetculturale.it

Isola di San Clemente, Chiesa e Monastero di San Clemente. Padri di Monte Corona detti di Rua

Storia dell’isola, della chiesa e del monastero

Ad alloggio di quei fedeli, che nel secolo XII con frequenza intraprendevano i pellegrinaggi ai sacri luoghi della Palestina, da Pietro Gatileso uomo pio in una elevata palude contigua al Canal Orfano fu istituito un capace ospedale sotto l’invocazione del pontefice e martire San Clemente. La fondazione di questo caritatevole albergo deve per attestato del Dandolo dirsi fatta nell’anno di Cristo 1141, che fu l’undecimo del doge Pietro Polani, a cui l’erezione di un tale luogo forma parte dell’encomio apposto alla di lui immagine nella Sala del Maggior Consiglio: La Città di Fano sotto di me si rese tributaria, e furono fabbricati lii Monasteri di San Clemente e di San Giacomo di Paludo. Né fu solamente fondato questo pio e sacro luogo sotto il principato del doge Pietro Polani, ma venne anche (come attesta il Dandolo nella sua Cronaca) negli stessi tempi arricchito di un pregiabile tesoro, cioè del venerabile corpo di Sant’Aniano discepolo, e successore di San Marco nel patriarcato di Alessandria. Riposò il sacro deposito in questa chiesa, finché essendo stato poi concesso nell’anno 1432 il Monastero ai Canonici Regolari di Santa Maria della Carità, né potendo questi abitarlo per la tenuità di loro rendite, trasportarono nel giorno IV di novembre dell’anno 1453 il santo corpo nella loro Chiesa della Carità, collocandolo sotto la mensa dell’altar maggiore.

Fu l’ospedale fino dalla sua origine soggettato per volontà del fondatore al patriarcato di Grado, e quantunque il vescovo di Castello Giovanni Polani lo vantasse di sua giurisdizione, perché eretto nella sua diocesi, pure dopo qualche litigio convenne che nell’anno 1156 rinunziasse alle sue pretese, confessandolo d’immediata dipendenza da Enrico Dandolo patriarca gradese.

O chiamati alla direzione dell’ospedale fino dai principi di esso, o introdotti in seguito qualche tempo dopo abitavano in questo Monastero i Canonici Regolari, i quali (come si rileva da autentici documenti) si eleggevano nei casi di vacanze i loro priori confermati dai patriarchi di Grado, ad ognuno dei quali, nei casi della loro elevazione al patriarcato, era tenuto il priorato di San Clemente consegnare a titolo d’imprestito un letto nuovo, contribuzione che nell’anno 1337 fu dal patriarca Andrea Dotto ristretta in ducati quattro d’oro, e confermata poi dai patriarchi di lui successori.

Avendo poi nel giorno XV di febbraio dell’anno 1344 il pontefice Clemente VI, riservata a suo arbitrio per due anni la collazione di tutti i benefici, che venissero a vacare nella provincia gradese, ed avendo in seguito per replicati bienni prorogata una tale riserva, Cambio priore del Monastero di San Clemente venne a morte nell’anno 1351 e in di lui luogo per elezione del suddetto pontefice Clemente VI, e per conferma del di lui successore Innocenzo parimente VI, fu dichiarato priore Franchina da Bologna canonico professo dello stesso monastero. Così seguirono i romani pontefici ad eleggere i priori, dall’irregolare governo dei quali risentì il monastero così gravi discapiti, che sminuitosi a poco a poco il numero dei canonici, non abitava più nel sacro luogo che il solo priore. Per regolar un tale disordine, e perché nella chiesa si rinnovasse il culto divino papa Eugenio IV, nell’anno 1432, unì il Monastero di San Clemente; già per l’incuria e negligenza dei suoi prelati reso estremamente pregiudicato all’altro Monastero di Santa Maria della Carità di Venezia dei Canonici Regolari della congregazione di Santa Maria de Frisonaria, in maniera che potessero quei canonici di propria autorità prenderne il possesso. Fu dunque da Paolo Maffei veronese uomo di singolare pietà, e di eguale dottrina, priore allora di Santa Maria della Carità, preso il possesso del luogo, ed istituito primo priore d’esso Antonio di Lussiano canonico professo del suo monastero.

Per oltre due secoli restò il Monastero di San Clemente in dominio dei Canonici della Carità, abbandonato però e privo di abitatori per la scarsezza delle sue rendite, finché la Divina Providenza nel secolo XVI vi fece rifiorire con splendore il divino culto, e l’osservanza regolare.

Circa i principi del citato secolo XVI, avendo il Beato Paolo Giustiniano monaco Camaldolese fondata nel primiero rigore della regola di San Benedetto una Congregazione di Eremiti con l’abito, e sotto le costituzioni di San Romualdo, ed essendosi diffusa con applauso la notizia di tal fondazione, il magistrato, che si denomina in Venezia delle Ragion Vecchie offrì nell’anno 1573 la Chiesa di San Vitale di Poveglia, isola della diocesi di Chioggia, e soggetta alla di lui giurisdizione al sopra lodato Paolo Giustiniano, perché potesse venire ad abitare in detto luogo con suoi eremiti. Non ebbe però effetto la religiosa offerta, perché essendo allora il santo uomo per comando di papa Clemente VIl occupato nella fondazione dell’Eremo di Monte Soratte presso Roma, non molto dopo fu chiamato da Dio agli eterni riposi nell’anno 1528.

Dopo la morte del venerabile fondatore si dilatò vie più la congregazione coll’acquisto di nuovi eremi, e massimamente del veneto istituito nell’Isola di San Clemente con mirabile disposizione della divina provvidenza.

Aveva nella chiesa del desolato monastero introdotta l’immagine, e la divozione di Santa Maria di Loreto Francesco Lazzaroni piovano della Chiesa di Sant’Angelo di Venezia con permissione ottenuta dall’abbate, e dai canonici di Santa Maria della Carità, ed aveva anche decorosamente fabbricata nella chiesa stessa una devota casa a similitudine interamente di quella, che si venera trasportata per mani angeliche nella fortunata terra di Loreto. Mentre però andava avanzandosi il sacro edificio, pervenne a Venezia Andrea Mocenigo piissimo eremita camaldolese desideroso di piantare nella sua patria un luogo di solitudine per abitazione dei suoi eremiti. Abbracciò un tal incontro il buon piovano Lazzaroni, a cui per aver nella stessa congregazione un fratello eremita di nome Cherubino era ben noto il Padre Mocenigo; onde tosto li ridusse a trattare seco per ottenere all’istituto degli eremiti il luogo di San Clemente, e consegnare loro la devota immagine, il di cui culto tanto gli era a cuore.

Comunicarono dunque ambedue di pari consenso il loro pensiero ad alcuni nobili devoti dell’Ordine Camaldolese, che fecero applauso all’impresa; onde stabilito prima coll’Abbate e col capitolo di Santa Maria della Carità il prezzo dell’isola intera di San Clemente, fu ottenuta anche dall’autorità del senato la permissione d’erigere un eremo nella stessa isola, di cui presero poi il possesso nel giorno IV del susseguente novembre i visitatori destinati a ciò dalla congregazione.

Furono tosto fabbricate dodici celle secondo l’uso degli eremiti per ordine del procuratore Renier Zeno, il di cui fratello di nome Tito esemplarissimo eremita dopo aver costantemente ricusate le dignità del suo ordine, tollerò d’essere istituito primo priore dell’eremo veneziano, nel di cui governo santamente morì nel giorno 5 di giugno dell’anno 1646.

Compiuta poi la fabbrica della sacra casa, fu in essa nel giorno 8 di settembre dell’anno 1646 trasportato il virginale simulacro di Maria Vergine, con festiva pompa accompagnato dal patriarca Giovanni Francesco Morosini, e da innumerabile frequenza di popolo ivi concorso ad implorare il patrocinio della gran Vergine Madre di Dio.

Essendo stata poi per opera dei devoti eremiti dilatata a comodo dei fedeli la chiesa, ed eretta per comando di Bernardo Morosini illustre senatore l’esteriore facciata di marmo, Luigi Foscari patriarca di Venezia ne esegui la solenne consacrazione nel giorno 15 di maggio dell’anno 1750, assegnando per la festiva anniversaria memoria il giorno 22 di ottobre. Riposano sugli altari di questa chiesa onorevolmente collocati li corpi dei Santi Giacinto ed Ilario martiri estratti dalle cristiane catacombe di Roma.

Vissero in quest’eremo fra gli altri con lode di singolare santità il padre Prosdocimo da Murano, che dopo essere per molti anni vissuto chiuso in una cella santamente morì nell’anno 1678, ed il padre Andrea da Treviso uomo di sublime orazione, e di profonda umiltà glorificato da Dio con mirabili guarigioni, il quale volò al Cielo nell’anno 1704.(1)

Visita della chiesa (1839)

Con la soppressione generale del 1810 spari tanta spirituale beatitudine, ma si mantennero per altro gli edifici. Tuttavolta dell’antecedente edificio del Gatileso nulla più rimane fuorché una finestra di gotica architettura nella muraglia dell’orto; di quello dei canonici lateranensi poco, se ne eccettui Il tempio nobilissimo mercé le lor cure fondato, ma cresciuto ed abbellito dagli eremiti. Di questi sussistono ancora il chiostro e quasi tutte le casette dove traevano la solinga e silenziosa loro vita. Singolare contrasto fa con l’eremo loco la fabbrica a guisa di piramide sorgente su di un lato dell’isola per la conserva della polvere d’archibugio. Su molte isolette ci avverrà vederne di simili erette dalla provvidenza del senato dappoi che terribili incendi distrussero l’isola si Sant’Angelo ed il castello di Brescia, i due principali depositi di polvere dello stato. Quindi, anziché concentrarla in due soli, ordinò che in molti separati recinti, presso i cenobi in ispecie della laguna, fosse disposta per evitare nuovi pericoli e più forti danni.

Incominciando ora a considerare la chiesa fondata dai lateranensi ed abbellita, siccome si è detto, nel secolo XVII dagli eremiti, si dice la facesse murare a sue spese Bernardo Morosini gentiluomo veneziano. Del secolo nulla però vi trasparisce; anzi per quella schiettezza, per l’essere edificata in tre ordini, divisi da semplici cornici, e scompartiti da ante, la diresti opera dei Lombardi. Per lo che giova credere che il Morosini la riedificasse sull’antico modello, aggiungendovi alcuni ornamenti che bene con lo stile di quella età non si uniscono. Tali sono le statue di Nostra Donna, dei Santi Benedetto e Romualdo ed i busti, le lapidi e le gesta navali che il medesimo Bernardo Morosini faceva porre a suo padre Francesco, morto nel 1618 a Corfù ed a Tommaso suo fratello, morto combattendo nell’anno 1647 (a).

L’interno del tempio, foggiato a croce latina, ha nel tronco principale alla destra la prima cappella detta la Morosina per essere stata eretta da quella famiglia. Pietro Ricchi vi espresse San Tommaso che tocca il costato del Redentore. Nella seconda cappella, chiamata degli Imberti e Correggi per essere stata innalzata da quelle famiglie, Francesco Ruschi rappresentò Nostra Donna ed i Santi Agostino, Benedetto, Giovanni e Romualdo. Forma un braccio della crociera la susseguente cappella del Sacramento, per entro alla quale vi hanno due quadri il primo con San Romualdo che conversa coi suoi ed il secondo con la visione della scala di Giacobbe: entrambi assai patiti per l’umidezza dominante nella chiesa, e mal per ciò noti nel loro stile. Ma qual felici composizioni non son essi! Quanto naturalmente ne sono atteggiate le figure! Il salire di quei monaci nel primo come è verace! Fate due incisioni di questi quadri e trovate in sacro soggetto altre due opere che sa piano produrre più caro piacere. Nel lato sinistro di questa cappella, eretta a spese di Paolo Giustiniani Lolino, sopra la porta che va alla sagrestia vedi l’effigie di tanto benefattore, mentre al lato destro, sopra la porta che va al campanile, vedi scolpita quella di Francesco fratello di lui stato per quattro anni ambasciatore in Francia, e morto mentre eseguiva la ambasceria di Spagna nel 1660.

Sorge isolata nel mezzo della chiesa quella cappellina sul modello del santuario di Loreto che faceva erigere, come si disse, il pievano di Sant’Angelo di Venezia. Non giova fermarci sopra i molti quadri e le moderne pitture a fresco di pittori diversi che ne coprono l’andito tutto a l’intorno. E’ osservabile piuttosto nella parte esterna, verso il coro, il gran bassorilievo di bronzo di Giuseppe Maria Mazza valentissimo artefice bolognese e rappresentante l’Adorazione dei pastori. Due gran monumenti sepolcrali di Giusto le Curt adornano le pareti del recinto anteriore onde è chiusa la santa casa. E’ l’uno a Giorgio morto nel 1676, e l’altro a Pietro Morosini morto nel 1685.

Dopo questa cappellina si vede il coro ornato di vaghi sedili, sopra i quali stanno alcuni quadri esprimenti alcuni fatti di San Romualdo, dell’ultima veneta maniera del secolo trascorso. Che se dai qui si passi all’altro braccio della crociera, riempiuto dalla famiglia Piovene vicentina coll’altare di San Clemente, il cui martirio fu espresso nella pala da Antonio Zanchi, si osserverà ad un’ora il quadro di Giuseppe Ens con il trasferimento dell’immagine di Nostra Donna dalla Carità di Venezia a questa chiesa. Poco valgono tali quadri quanto all’arte; ma quanto al costume è peccato che si cadano in obblivione. Non è degno di Alessandro Varottari l’opposto quadro di San Romualdo che veste San Pietro Orseolo, né punto valgono le pale dei seguenti altari, la prima con Cristo e vari Apostoli di Antonio Zanchi, l’altra di Giovanni Segala col transito di San Giuseppe, l’ultima con San Michele sulla maniera del Zanchi. Ma ben se ci portiamo alla cappella ai fianchi della casa di Loreto, intitolata la cappella delle colpe perché in essa solevano gli eremiti radunarsi il sabato ed altamente confessare le colpe della settimana, vi troveremo il ricco se non il leggiadro altare sacro al Crocifisso che scolpiva Michele Ungaro nel secolo XVII. Oh quel secolo così così ricco perché si fantastico, perché si smanioso di un grande che il guidava alle esagerazioni? Forse perché fossa testimonio novello della umana imperfezione non atta mai a rimanersi sul dritto ma arduo sentiero.

Da questa cappella ritornando in chiesa, ci sarà dato di veder grandioso mausoleo eretto a Girolamo Gradenigo patriarca di Aquileia e poi di qui avviandoci alla sagrestia, non vili ci appariranno gli intagli che tutta l’adornano, non vile la pala dell’altare. Serbinsi lungamente si belle memorie di un severo ritiro ai tanti mali della vita e dove l’Eterno riceveva gli olocausti dei più forti sacrifici. (2)

(a) A chi non è conto il valore di Tommaso Morosini? Ei fu che, durante la guerra di Candia, offrì al senato (anno 1645) di ricuperare la Canea caduta in mano dei Turchi, chiudendo col forte dell’armata lo stretto di Dardanelli, acciocché, tolto l’adito all’uscita del nemico ed a nuovi soccorsi, dovessero arrendersi coloro che si erano impossessati della Canea. Ma nel mentre che sollevato all’ufficio di capitano delle navi, che è quanto dire a quello di ammiraglio, si metteva all’ardito disegno, private inimicizie ed invidie glielo contrariarono. Fallito quel divisamento non venne per ciò meno in lui l’amore a la patria. Veleggiando anzi con alcuni vascelli nell’Arcipelago si scontrò con il capitan Bassà intanto che un colpo di vento l’aveva separato dai suoi. Anzi che cedere o ritirarsi, spinse egli la sola sua nave in mezzo alla flotta nemica di 45 galee e pugnò sì ferocemente che fugò e disperse gli Ottomani. Ma intanto che colla voce e coll’esempio inanimiva i suoi, un colpo di archibugio gli fracassò il capo. La ciurma irritata vendicò una tale morte con quella del capitan Bassà. Il fratello Bernardo in benemerenza di lui eletto a successore nel governo dei navigli, fece, come si disse, erigere il monumento vicino a quello del padre loro, che fu anch’egli nobilissimo e valoroso guerriero. Pubblici funerali e pubblico lutto vennero ordinati dalla patria e persino una canzone popolaresca in ottava rima, più volte ristampata sulla melodia del Tasso, si cantava dal gondoliere onde onorare l’acerbo caso e la memoria gloriosa di Tommaso Morosini.

Eventi più recenti

La crisi che segue la caduta della Serenissima nel 1797 coinvolge anche l’isola di San Clemente e culmina con la soppressione napoleonica degli ordini religiosi. Nel 1810 i Camaldolesi abbandonano l’isola, che diventa sede di presidi militari a difesa di Venezia.

A partire dal 1873 San Clemente ospita il Manicomio Centrale Femminile Veneto, chiuso nel 1992 dopo la legge 180/78.

A seguito di un imponente progetto di riconversione degli edifici e degli spazi esterni, nel 2003 apre sull’Isola di San Clemente un hotel di lusso. Dieci anni più tardi, nel 2013, l’isola e il complesso vengono acquisiti dal gruppo turco Permak, che avvia un piano di ristrutturazione dell’hotel e di restauro della chiesa di San Clemente. La struttura è attualmente gestita dal gruppo Kempinski, che ha riaperto l’hotel nel marzo 2016 con il nome San Clemente Palace Kempinski. Il resort conta 190 camere e suite, tre ristoranti e tre bar, una piscina, un campo da tennis e uno da golf pitch & putt. (3)

(1) FLAMINIO CORNER. Notizie storiche delle chiese e monasteri di Venezia, e di Torcello tratte dalle chiese veneziane e torcellane (Padova, Stamperia del Seminario, 1763).

(2) ERMOLAO PAOLETTI. Il fiore di Venezia ossia i quadri, i monumenti, le vedute, ed i costumi veneziani (Venezia, Tommaso Fontana editore 1837).

(3) https://it.wikipedia.org/wiki/San_Clemente_(isola)

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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