Chiesa di San Silvestro

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Chiesa di San Silvestro - San Polo

Chiesa di San Silvestro

Storia della chiesa

Tra le prime chiese, che eressero in Rialto i popoli ivi rifuggiti per le invasioni dei barbari, deve numerarsi quella dedicata al gran pontefice San Silvestro, giacché la di lei antichità si desume dall’aver dato uno dei suoi preti, Vettore figlio d’Orso Participazio, al patriarcato di Grado vacante nell’anno 884 per la morte del patriarca Pietro Marturio. Fu ella opera, come scrive il Sansovino, della famiglia Andrearda, o sia Giulia, quantunque in qualche più antica cronaca si legge essere stata fabbricata, e dotata insieme con la Chiesa di San Paterniano da sei famiglie Ausipiaci, Battiocchio, Vitrinaci, Flabianici, Bennati, e Caloprini.

Né solamente dall’elezione del patriarca Vettore Participazio si desume il pregio della di lei antichità, ma dall’esser ella fino da immemorabile tempo chiesa parrocchiale, e matrice, di cui si contano 15 filiali chiese, che sono San Bartolommeo, San Salvatore, San Luca, San Paterniano, San Cassiano, San Canziano, San Matteo, San Giacomo detto di Luprio, Sant’Agata ora Sant’Ubaldo, San Agostino, San Paolo, Santo Stefano confessore, San Pantaleone, e Santa Margherita.

Contiguo alla chiesa fu nei tempi più remoti eretto un oratorio sotto il titolo d’Ognissanti, o sia di Santa Maria dei Patriarchi, e d’Ognissanti, illustre per aver ricevuto il sacro dono dell’ecclesiastica consacrazione per mano di Alessandro III, nel giorno primo di novembre dell’anno 1177, come se ne conserva tuttora la memoria incisa in marmo, ed affissa al muro della chiesa. Era questa cappella di particolare giurisdizione dei piovani, i quali perciò con doppio titolo si dicevano piovani di San Silvestro, e priori d’Ognissanti. Durò questa cappella separata dalla chiesa finché nell’anno 1485 Alvise Bagatto piovano di San Silvestro, e priore de Ogni Santi deliberò, ed eseguì l’unione della cappella con la chiesa, già riedificata fin dall’anno 1422.

Essendo stato poi dalla cura di questa chiesa assunto alla sede vescovile di Castello Marco Niccola, volle egli alla prima sua sposa dimostrare il suo amore, assegnandole nell’anno 1184, alcune rendite di decime emortuali; donazione, che nell’anno susseguente fu confermata primieramente da Enrico Dandolo patriarca di Grado, e poi da Urbano III, sommo pontefice.

Nuovo decoro apportò poi a questa chiesa Enrico Contarini di lei piovano, essendo il terzo che dopo Vettor Participazio, e Marco Niccola la fosse dal di lei grembo staccato per essere innalzato alla dignità vescovile. Poiché nell’anno 1263 fu destinato canonico di Treviso con bolla apostolica d’Urbano IV papa, e poi creato vescovo di Torcello, come si rileva da autentici documenti. Si aggiunga a questi Matteo Venier, che essendo succeduto ad Enrico Contarini nel piovanato, fu dichiarato poi primicerio della Ducale Basilica di San Marco; onde amministrando allo stesso tempo due chiese si chiamava con doppio nome di dignità primicerio di San Marco, e piovano di San Silvestro.

Successe a Matteo Venier nel piovanato circa l’anno 1333, Leonardo dei Cagnoli Nodaro, che nell’anno 1344, passò a governar la Chiesa parrocchiale di San Geminiano, ed indi cinque anni dopo fu dichiarato vescovo di Pola, e poi di Chioggia, a cui venne destinato nell’anno 1353. Ridotta poi per la lunghezza del tempo ad un infelice stato di sussistenza la vecchia chiesa, fu riedificata circa l’anno 1422 e nel giorno 24 di agosto dell’anno stesso da Giovanni Delfino patriarca di Grado che ne ottenne la facoltà da Marco Lando vescovo castellano solennemente consacrata.

Una spina della corona di Gesù Cristo, alcune ossa dei Santi Diecimila Martiri Crocifissi, e dei Santi Innocenti di Betlemme, ed una porzione del cranio di San Barnaba apostolo sono gli spirituali ornamenti di questa chiesa.

Storia del Patriarcato di Grado

Fu nei tempi più remoti, e dei quali non si può fissare determinata epoca, questa chiesa soggetta alla giurisdizione dei patriarchi di Grado, che in un contiguo palazzo fissata avevano la loro residenza, come si comprova con antichi autentici documenti. Il primo è un diploma del patriarca Domenico Marengo, con cui nell’anno 1059 investe, e conferma Vitale Morario piovano e priore nella basilica di San Silvestro, che si fin dai tempi antichi era del seno della santa madre chiesa patriarcale di Grado, consegnando alla di lui vigilanza la predetta chiesa di San Silvestro, e la chiesa pure di San Giovanni, o sia d’Ognissanti con le abitazioni, e rendite alle stesse spettanti. Tale soggezione al patriarcato gradese vien egualmente espressa in molti altri documenti sì del citato che dei susseguenti anni, dai quali tutti si rileva antichissima essere la giurisdizione dei patriarchi di Grado in questa chiesa. Alla medesima (come consta da un diploma d’Innocenzo III, segnato nell’ anno terzo del suo pontificato, erano unite colla stessa soggezione le venete chiese di San Giacomo, detto di Luprio, di San Martino nell’Isole Gemine, di San Matteo, di San Canziano, di Santa Maria dei Crociferi, e di San Clemente in isola, oltre quella d’Oriente ottenute in dono dalla pubblica munificenza.

Come ignoto è il tempo preciso, in cui fossero soggettate quelle chiese al patriarca di Grado; perché il diploma d’Innocenzo III, è di semplice confermazione di cose possedute attualmente, così parimente sono incerti il tempo, e l’occasione, che condussero i patriarchi di Grado a fissare la loro dimora in Venezia. Se però è lecito trar conseguenze dalle congetture, deve credersi, allora essersi ritirati i patriarchi gradesi appresso San Silvestro, quando Poppone patriarca d’Aquileia introdottosi sotto finzione d’amicizia a tradimento in Grado nell’anno 1018, vi commise inaudite scelleraggini, devastando con stragi, ed incendi quella miserabile città, che giammai poté riaversi dalle sue rovine; conservando tutt’ora i funesti contrassegni della ferocia dell’iniquo Patriarca. Era a quel tempo lontano dalla città di Grado Orso Orseolo, che ne era patriarca, cacciato in esilio insieme col doge Ottone suo fratello nell’Istria da una sedizione popolare suscitata in Venezia ingiustamente contro di essi.

All’intendere la barbara sorpresa di Grado scossi i Veneziani, richiamarono tosto gli esuli fratelli, ed Ottone portatosi a Grado senza resistenza del presidio postovi dal patriarca d’Aquileia ricuperò la città, e in quella maniera, che poté rinnovò le chiese diroccate, e rimise le porte abbattute a difesa di nuove sorprese. Poco però poté durare il buon doge Ottone nella ricuperata sua Sede; atteso che l’instabilità del popolo nuovamente lo cacciò esule in Costantinopoli, e cacciò pure dalla sua sede come sospetto l’ottimo di lui fratello patriarca. Creato poi doge Pietro Bartolano, il popolo annoiato del di lui governo volle, che si richiamasse da Costantinopoli il doge Ottone, e sbalzato dal principato il Bartolano, pose all’amministrazione della Repubblica il patriarca Orso, che la diresse con tal prudenza sin all’avviso della morte di suo fratello, che meritò di essere annoverato nella serie dei Veneti Dogi. Scorsi poi alcuni anni da che Orso patriarca lasciato aveva il governo pubblico, fu l’infelice città di Grado nuovamente invasa dal crudelissimo patriarca Poppone, che introdottosi furtivamente in essa finì di devastare quanto era restato illeso dalla prima sua empia invasione. Ricuperò il doge Domenico Contarini, e in qualche arte restaurò la desolata città, dopo di che il patriarca Orso chiuse i suoi giorni, e gli fu sostituito nel patriarcato Domenico Bulcano cappellano di San Marco tolto dalla morte nel settimo giorno di sua dignità.

Successe poscia Domenico Marengo, che da Gregorio VII di cui fu legato a Michele imperatore di Costantinopoli, vien chiamato patriarca di Venezia, o perché era metropolita della provincia di Venezia, o perché in Venezia faceva la sua residenza quo d’esse ottenne il patriarcato Domenico Cerbono, a sollievo delle di cui indigenze avendo scritto efficaci lettere di raccomandazione al doge Domenico Silvo nell’anno 1074, il Santo Pontefice Gregorio VII, furono nello stesso anno con pubblico decreto assegnate certe determinate rendite in perpetuo possesso dei patriarchi gradesi. Morì circa l’anno di Cristo 1084 il patriarca Cerbono, e gli sostituì Giovanni Saponario, che poco dopo morì in Costantinopoli, ove si trovava quando fu eletto patriarca.

Ottenne poi il patriarcato nel finire dello stesso anno 1084 Pietro Badoer, che governò la chiesa gradese anni ventuno. Dopo lui fu destinato patriarca Giovanni Gradenigo vescovo di Jesolo nell’anno 1105 a cui il doge Ordelafo Faliero donò nell’anno 1107 con pubblico decreto la Chiesa di Sant’Archidano di Costantinopoli con tutte le rendite, ed altre chiese ad essa annesse: donazione, che fu poi confermata dal pontefice Innocenzo III, nell’anno terzo del suo pontificato.

Enrico Dandolo figlio di Domenico giovane d’età, e maturo di virtù, e di dottrina fu sostituito al patriarca Gradenigo defunto nell’anno 1131. Sollecito che il divino culto si propagasse, donò ai monaci cisterciensi la Chiesa di San Giorgio di Pineto per fabbricarvi un monastero, ed accettò la pia oblazione fatta da Bernardo Coronario di un terreno vacuo per fabbricarvi sotto la giurisdizione dei patriarchi gradesi una chiesa dedicata all’apostolo San Matteo. Ottenne la confermazione dei privilegi della sua chiesa nell’anno 1161 da Alessandro Papa III, il qual pontefice scrisse alcuni anni dopo lettere di raccomandazione ad Orio Malipiero doge nell’anno 1170, perché fosse trasferita in Venezia la sede del patriarcato, sì perché troppo ristrette erano le di lui rendite, come pure perché troppo frequenti erano i litigi, che tra il patriarca stesso, ed il vescovo di Castello insorgevano. Quantunque però continuasse in Grado la sede del patriarcato, continuarono però i patriarchi ad abitare nel loro palazzo presso San Silvestro, di poscia lo stesso patriarca Enrico nell’1182, assegnò con pubblico instrumento una porzione alla Chiesa di San Silvestro per abitazioni dei piovani.

Premiò Dio la pietà del buon patriarca anco con retribuzioni temporali, essendo state lui vivente accresciute le rendite della sua mensa con riguardevoli assegnamenti di censi, e di fabbriche nella città di Costantinopoli; dopo di che avendo per anni cinquanta santamente governata la sua chiesa passò al premio di sue fatiche nell’anno 1186.

Giovanni Signolo successore del patriarca Dandolo onorato da Clemente III, con la missione del pallio, impetrò dallo stesso pontefice, e da di lui successori la conferma, e l’ampliazione dei privilegi concessi alla chiesa gradese, e che nel preconio pasquale del sabato Santo il di lui nome fosse preferito a qualunque laica dignità. Morì nell’anno 1200, e gli succedette Benedetto Faliero prima piovano di Santa Maria Giubenico, e poi primicerio ducale, a vantaggio della di cui patriarcale mensa assegno per pubblico decreto Marino Zeno podestà in Costantinopoli nell’anno 1206 un vasto tratto di fabbriche, e di terreni vacui non lungi dalla citata Chiesa di Sant’Archidano. Successore del Faliero nell’anno 1207 defunto, fu Angelo Barocci piovano di San Giovanni di Rialto, e cappellano di San Marco, che ebbe asprissime controversie di giurisdizione con Marco Niccola allora vescovo di Castello. Quantunque però questi due prelati perpetuamente a difesa delle loro rispettive chiese litigassero insieme, contuttociò più d’ una volta Innocenzo papa III, perfetto conoscitore del loro merito li destinò unitamente giudici delegati in cause ecclesiastiche di rimarco gravissimo.

Passò a vita migliore nell’anno 1238 il Patriarca Barocci, ed entrò in suo luogo Leonardo Quirini primicerio di San Marco, che mori poi circa l’anno 1251. Ascese dopo lui al patriarcato uno di nome Lorenzo, di cui si ignora la famiglia, e di questo fu successore Giacomo Bellegno arcidiacono di Grado, come risulta da replicati documenti dell’anno 1255, segnati nei diversi mesi di marzo, di aprile, e di giugno, che apertamente dimostrano, aver lui tenuta la sede patriarcale almeno per quattro mesi. Nel fine dello stesso anno 1255 fu assunto al patriarcato Angelo Maltraverso domenicano, che prima governate aveva successivamente le chiese vescovili di Ferrara, ed arcivescovile di Candia, a cui concesse il pontefice Alessandro IV onorevolissime prerogative massimamente per le chiese d’oriente alla di lui giurisdizione soggette.

Giovanni Anconitano fu nell’anno 1272 destinato patriarca di Grado da Gregorio papa X a cui nell’ottavo anno di governo defunto successe Guidone dell’ordine di Sant’Agostino, che dopo aver amministrata per un decennio la sua chiesa morì circa l’anno 1289. Nel quale gli fu destinato successore Lorenzo dell’ordine dei predicatori morto poi nell’anno 1295. Dallo stesso ordine dei predicatori fu scelto il successore di nome Egidio, a di cui riguardo Bonifacio VIII esentando il palazzo dei patriarchi di Grado contiguo alla Chiesa di San Silvestro da qualunque giurisdizione del vescovo Castellano, lo soggettò immediatamente alla santa apostolica sede. Destinato poi dal pontefice Clemente V, legato apostolico al re di Rascia fu traslatato ad altra sede patriarcale d’Alessandria nell’anno 1310, ed a quella di Grado fu assunto Angelo vescovo di Modone, che morì nell’anno 1313. Poco godette della dignità conferitagli il successore fra Paolo Gualduccio dei Pilastri domenicano, che il giorno 15 dopo preso il possesso del patriarcato passò al Signore. Entrò in di lui luogo Marco dalla Vigna, arciprete castellano, creato da Clemente papa V nello stesso anno 1313, in cui morirono i due suoi precessori, i quali segui poi nell’anno 1317 Domenico vescovo di Torcello fu indi traslatato alla metropolitana di Grado, ove nell’anno 1330 convocò un concilio provinciale, e due anni dopo chiuse i suoi giorni.

Dino della famiglia dei conti di Radicofani di Toscana sedette poi per cinque anni nella cattedra Patriarcale di Grado, da cui fu trasportato all’arcivescovato di Genova nell’anno 1337. Fu perciò alla vacante chiesa chiamato dal vescovado di Chioggia Andrea Dotto padovano, che nell’anno 1359 morendo lasciò al suo successore fra Fortunerio Vasello di nazion francese, ed arcivescovo di Ravenna, già ministro generale dell’Ordine dei Minori. Procurò egli per comando di Clemente VI di condur alla pace le due nazioni veneziana e genovese fra di loro da tanto tempo discordi, e dopo aver governata la chiesa gradese fino all’anno 1355 fu destinato dal papa ad altri impieghi, e coperto poi della porpora cardinalizia. Passò in di lui luogo Orso Delfino arcivescovo di Candia, che fu poi anche destinato amministratore della chiesa di Modone, ove, come da documenti pubblici apparisce, si trasferì nell’anno 1366. Ritornato poi a Venezia nell’anno susseguente 1367 ivi pagò l’estremo debito dell’umanità nei primi giorni del mese di dicembre.

Francesco Querini succedette ad Orso Delfino prima nell’arcivescovado di Candia, e poi nel patriarcato gradese, a cui fu destinato nel giorno 7 di dicembre dell’anno già citato 1367. Visse santamente anni cinque nel patriarcato, e morì circa l’anno 1372, glorificato da Dio in vita, e dopo morte con manifesti miracoli; onde con solenne decreto stabilì il senato che dal suo ambasciatore a Roma fosse a tutto potere promossa la di lui canonizzazione. Il di lui venerabile corpo per i prodigi, che l’illustrarono, fu deposto nella Chiesa dei Frati Minori, detta dei Frari, dove già (così scrivono gli storici serafici) da molti secoli sopra l’altare di San Girolamo è venerato il suo corpo, che sta vicino a quello del Beato Fr. Gentile da Matelica.

Fu dopo la morte del sant’uomo conferita la dignità di patriarca a Tommaso da Frignano generale dei francescani uomo di zelo singolare, che con ogni studio visitando i luoghi, e correggendo le persone di sua giurisdizione, procurò d’introdur per tutti una esatta riforma dei costumi: onde meritò da Gregorio XI particolar lode, e fu poi da Urbano VI, nel 1378, decorato col cappello cardinalizio. Ritenne il cardinale (quantunque avesse fissata in Roma la sua dimora) il possesso, ed il titolo del suo patriarcato chiamato il cardinale gradese nei tre anni, che sopravvisse; ma essendo nell’anno 1381 già vecchio ed infermo, stabilì il senato di chiedere al papa per di lui successore nel patriarcato il padre maestro Urbano di Perugia, uomo dottissimo, e molto benemerito della Repubblica, il quale non molto da poi morto essendo il cardinal patriarca nel mese di luglio dello stesso anno fu istituito dal pontefice nella sede metropolitana di Grado. Passò poi all’altra vita circa l’anno di nostra salute 1387.

Richiese il senato al pontefice Urbano VI che fosse elevato al patriarcato fra Bartolommeo veneto generale dell’Ordine Agostiniano; ma temendo il pontefice, che per la di lui mancanza non ne risentisse l’ordine stesso gravi danni, destinò alla chiesa di Grado un altro agostiniano fra Pietro Amelio francese, allora arcivescovo di Taranto, che poi ottenne nell’anno 1391, dal pontefice Bonifacio IX un’indulgenza a favore di quelli, che visitando in determinati giorni la Chiesa di San Silvestro le somministrassero qualche sussidio con le loro elemosine. Morto poi il patriarca Pietro nell’anno 1400 gli fu da Bonifacio papa IX destinato successore Giovanni Benedetti dell’Ordine dei Predicatori; ma avendo egli per la pietà dell’animo suo ricusato di soggettarsi a tal peso, vi fu sostituito Pietro Cocco, figlio di Negro Cocco procurator di San Marco, e ricevette poi l’investitura di sua dignità nel giorno 17 di luglio dell’anno 1401.

Giovanni Delfino di nazione mantovano, e d’istituto Minorita sedette nel patriarcato di Grado circa l’anno 1409 e con permissione di Marco Lando vescovo Castellano consacrò nell’anno 1422 la chiesa di San Silvestro. Avendo poi con indirette maniere procurato di esser trasferito alla Chiesa Patriarcale d’Aquileia, fu per sentenza del Consiglio di Dieci relegato per tre anni nel distretto di Padova. Scrive il Donesmondo nella sua Storia Ecclesiastica di Mantova, che fosse per decreto di Martin V traslatato al titolo di Patriarca di Gerusalemme.

Dopo Giovanni Delfino ottenne la sede patriarcale di Grado nell’anno 1427 Biaggio Molino, prima vescovo di Pola, e Poi arcivescovo di Zara, il quale essendo stato eletto da Eugenio IV per prefetto della cancellaria apostolica, procurò con lodevole attenzione, che fossero rinnovati tutti i diplomi dei privilegi, e prerogative della chiesa Gradese. Dodici anni governo anche assente la sua chiesa, e fu dopo da Eugenio IV dichiarato Patriarca di Gerusalemme nell’anno 1439, lasciando il luogo a Marco Condulmiero, che nell’anno 1445 fu preconizzato patriarca d’Alessandria.

L’ultimo patriarca di Grado che risedesse presso San Silvestro fu Domenico Michiel, che dal citato anno 1445 fino al 1451 amministrò lodevolmente la chiesa di Grado. Dopo la di lui morte unite per decreto di Niccolò Papa V le due chiese di Grado, e di Venezia in una sola diocesi, passarono alla giurisdizione del santo vescovo di Castello Lorenzo Giustiniano, che col titolo di patriarca di Venezia ne assunse il governo trasmesso poi ai di lui successori. Con le rendite della chiesa di Grado passò nei patriarchi di Venezia anche il palazzo di residenza contiguo a San Silvestro, che fu poi livellato ai confratelli della Scuola di San Rocco nell’anno 1486. In esso dunque risedette per qualche tempo questa celebre confraternita, finché allettata dall’opportunità di un più ampio e comodo sito nella parrocchia di San Pantaleone, là si trapiantò, avendo però lasciato (come attesta il Sansovino) nella Chiesa di San Silvestro luminosi contrassegni del la sua divora munificenza.(1)

Visita della chiesa

L’interno della chiesa presenta una struttura a navata unica, terminante in un’abside semicircolare. Lo stile è neoclassico e oltre all’altar maggiore, sono presenti quattro altari laterali, due per ciascun lato.

Alcune delle opere d’arte della chiesa sono state in parte rimaneggiate nel XVIII secolo, come il polittico sulla parete di ingresso raffigurante La Vergine, Santi ed episodi sacri, risalente al Trecento: originariamente ospitato nella vicina Scuola dei Mercanti, fu trasferito prima nella sacrestia della chiesa e poi nella sua collocazione attuale e venne rimaneggiato nel 1756.

L’altare maggiore è ornato da due sculture ottocentesche di Luigi Ferrari raffiguranti Due angeli adoranti. Nel primo altare a sinistra si trova un’altra opera ottocentesca, il dipinto San Silvestro battezza Costantino di Sebastiano Santi, mentre nel secondo altare a sinistra c’è la tavola San Tommaso Becket in trono tra angeli e santi realizzata da Girolamo da Santacroce nel 1520, e il rifacimento ottocentesco de I Santi Giovanni Battista e Francesco per mano di Leonardo Gavagnin.

Nel primo altare laterale di destra è presente il Battesimo di Cristo di Jacopo Tintoretto, anch’esso rimaneggiato nel corso dei secoli e riportato nel suo stato originale dagli ultimi restauri. Anche il quadro del secondo altare di destra, Sacra Famiglia: la Vergine e San Giuseppe presentano Gesù al Padreterno, opera di Johann Carl Loth, subì modifiche successive da parte di Ludovico David.

Da menzionare infine, sopra la porta principale, l’urna funebre del procuratore Filippo Morosini, opera di stile lombardesco del primo Cinquecento. (2)

(1) FLAMINIO CORNER. Notizie storiche delle chiese e monasteri di Venezia, e di Torcello tratte dalle chiese veneziane e torcellane (Padova, Stamperia del Seminario, 1763).

(2) https://it.wikipedia.org/wiki/Chiesa_di_San_Silvestro_(Venezia)

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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