Palazzo Corner della Regina a San Cassiano

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Palazzo Corner della Regina a San Cassiano. In "Venezia Monumentale e Pittoresca", Giuseppe Kier editore e Marco Moro (1817-1885) disegnatore, Venezia 1866. Da internetculturale.it

Palazzo Corner della Regina a San Cassiano

In un lungo viottolo interno di San Cassiano, remoto da ogni frequenza, questo edificio alto e ricchissimo fa di sé pompa, avendo però sul gran Canale a sinistra il prospetto, in tre ordini di architettura, rustico, jonico e corintio. Si ammirano le due facciate, una dalla parte di terra, con sculti fregi e poggioli sparsi; l’altra sull’acqua, che ha pure sculti elmi, armature ed emblemi di fatti e di ardimenti guerreschi.

Magnifica è la riva con tre ingressi, più grandiosa e ardita di qualunque altra dei palazzi di Venezia, e costò ducati 24 mille. Si fondava la mole sul modello di Domenico Rossi, che in quel torno disegnava l’interno della chiesa dei Gesuiti, e la facciata dell’altra chiesa di San Eustachio, di cui ben dodici disegni ci diede il Coronelli. Questo architetto che nativo di Morcò del Comasco, nel 1678, ebbe fama d’ingegnere di primo ordine, e tra noi moriva nel 1747, risulterebbe da documenti del monastero di San Giorgio in isola, che venisse consultato, nel 1718, col Mazzoni, e con lo Scalfarotto, zio di Temanza, sul restauro di quella cupola, in prova della non comune perizia; né senza motivo il Giovio, di cui era concittadino, lo annovera fra gli illustri di Como. L’atrio di questo Palazzo è pittoresco, per colonne isolate, disposte simmetricamente, e secondo la corrispondenza dei fori della facciata regolatrice.

Ambedue i piani maggiori sono cinti di poggioli in marmo; scompartiti nel secondo; nel primo continuati, al pari del poggiolo nella facciata del palazzo Pesaro, che gli sta in linea retta. Però, in confronto a questo, à la lunghezza di pie di 74 sulla faccia maggiore, non comprese le voltate agli angoli, che si prolungano nelle facce laterali. Nell’interna struttura, è notabile il difetto, di cui sono ignote le cause, che nessuna delle gradinate, neppure in quel ramo, per cui si ascende all’appartamento nobile, apparisca corrispondente alla magnificenza dell’edificio. D’altronde regolare è la pianta, ed ogni interno comparto. La gran sala è ricchissima per lavori di stucco, ed affreschi di un autore ignoto che in un angolo di essa si vuole dipinto: sono però per gusto e per maniera barocchi. Le porte figurano numerose, e tutte di bel marmo finissimo, variato in ogni appartamento. Anche la sala superiore era un tempo abbellita di tele pregiate e adescanti: ancora sussiste qualche dipinto, attribuito al Tiepoletto, e pare di qualche merito il pennello di parecchi plafoni delle sale ampie e nobilissime. Di uno di essi si legge autore nel 1793 un Giuseppe Montagnano, che lo sarà forse degli altri, che appariscono di quel genere. Il numero delle stanze è tanto grande, che quasi si moltiplicano all’occhio, per cosi dire, nei tre piani.

L’edificazione di questo palazzo ebbe principio nel 1724, e il Parroco di San Cassiano, Nicolò Rosea, lasciava appunto registrato di averne, il 10 maggio di quell’anno, gettata e benedetta la prima pietra, assistito anzi nella cerimonia dal sacrestano p. Antonio Feltrin, e dal cherico Giovanni Garzotto: ciò si rileva dalle memorie del Gallicciolli. È quindi non più di anacronismo poetico l’asserzione, che la regina Corner abitasse le odierne stanze, meno, vi avesse avuto la culla, se pur il palazzo del suo nome si intitola quale ricordanza di onore della famiglia della regale donna che vi ebbe residenza fino all’estinguersi dello stipite. Bensì è incontendibile il fatto, che l’area, ove sorgeva il palazzo antico, e dove essa nasceva, era la stessa, in cui sorge il palazzo odierno, che innalzar si doveva, come è ben naturale, nel sito medesimo, poiché non poteva ivi di leggieri acquistarsi a quei tempi un nuovo e sì ampio fondo dalla famiglia. Il nome poi della Regina, rimasto alla calle, risalendo al 1470, sarebbe un altro dei forti appoggi air argomento. Poiché Catterina contava allora sedici anni, ed era sposa al re Jacopo dei Lusignani di Cipro, prescelta, come dalle storie s’impara, sotto il Dogado di Nicolò Tron, quale bellissima, fra le settantadue belle, ammesse nel palazzo Ducale al giudizio di Paride. È noto infatti, che il palazzo abbisognava di radicale restauro, essendone possessore fin dal 1410, secondo scrive il Cappellari, un Giorgio Corner di Andrea; quindi sussisteva da tre secoli interi, quando si commise il disegno della riedificazione a Domenico Rossi. La Regina nasceva adunque in quest’area nel 1454; tanto è vero che era battezzata da Giovanni Cetto, parroco di San Cassiano.

Perciò, all’occasione della rifabbrica, si posero nella sala del primo piano gli affreschi, che risguardano i fatti pubblici e privati di quella splendida vita, per cui saliva uno dei troni di Oriente. Quivi assisteva, in abito di nozze alle prime suntuose feste, quando assunse il manto reale, parente già dei Duchi dell’Arcipelago, per la linea materna, di un Imperatore di Trebisonda, e di Ussun Cassan re di Persia. Quivi suo malgrado tornava, dopo la perdita del marito e del figlio stante il desiderio della Repubblica d’insignorirsi di Cipro, ove poteva esser forse la di lei sovranità minacciata dalle incursioni di Bajazette, e dei soldani di Egitto. E fu allora che rinunziava il diadema, e veniva ricevuta nel Bucentoro, con seguito di senatori e dame, in barchette innumerevoli da gala, al suono delle campane e della musica, ed al rimbombo delle artiglierie, in aria quasi di trionfo, avendo essa alla destra il Doge Barbarigo, e recando seco splendida corte, e un centinaio di sergenti cipriotti, per proprie guardie, in palazzo. Alternando la dimora geniale tra le delizie di Asolo, e le giocondità di Venezia, quivi si recava, come sotto un cielo più mite, anche nel 1491, nel qual anno gelarono le lagune per le copiose nevi. E godette dai veroni del suo palazzo lo spettacolo di genti sui destrieri ed a piedi, e di carri con vettovaglie sul Canal grande agghiacciato, sopra il quale vide la giostra di stradiotti a cavallo, che, a foggia di torneo, scambiavano le lance. E quivi finalmente ridottasi in Venezia, per la lega di Cambray, mentre altre calamità travagliavano la patria, l’incendio cioè dell’Arsenale, e l’irrompere di un contagio, moriva alle A di notte del 10 luglio 1540, secondo risulta dalla notizia recatasi in collegio da Marin Sanudo.

Per la qual morte, con licenza del Senato, e del Doge indisposto, ordinati i funebri onori, e suonate a doppio sei volte le campane di San Marco, si faceva un ponte sopra barche, a spese della famiglia, dal luogo del palazzo ( altro argomento che qui sorgeva) sino al tragitto di Santa Sofia per deporla in tanto in un monumento provvisorio nella Chiesa dei Santi Apostoli. E per quel ponte ne seguiva il funerale, con l’intervento del Collegio, del vice Doge Priuli, in abito di scarlatto, del Patriarca, dell’Arcivescovo Zane di Spaiato, del Vescovo di Feltre, e dei parenti in lutto, colla signoria a destra, essendo la bara coperta di restagno d’oro, e standovi sopra una corona, con gemme, tolta al Tesoro della Basilica.

Il ramo della casa Corner della Regina si estinse negli ultimi tempi in Catterino, fattosi sacerdote, il quale si vede effigiato nella pala dell’altare, opera del Regagioli del 1782, che è a lato del monumento nella chiesa di San Salvatore, sopra la porta della sacrestia. Fu questo Catterino, che ordinava i lavori a stucco, quali rimangono ancora negli appartamenti dell’odierno palazzo. Egli, ultimo proprietario, e già Cameriere secreto di Pio VII dei Principi Chiaramonti, da lui accompagnato il 22 Aprile 1800, all’occasione del Conclave in Venezia, legava in morte questo palazzo al Pontefice, in segno di devozione alla Santa Sede, da cui fu più volte la sua casa elevata all’onore della mitra e della porpora in Vaticano, per Paolo e Giulio III, per Alessandro VI, e Clemente VII. E il Gerarca, per rimeritare la rara pietà dei conti ab. Cavanis, per la grande opera a cui si consacrarono delle Scuole di Carità, ad essi riversava quel donativo. E da loro a benefizio della santa causa alienato, passava in proprietà del Comune, che collocò nei suoi recinti l’Amministrazione del Banco di pegno.

Combinazione curiosa, che il Monte risieda nel palazzo della regina, sotto i cui auspici fioriva appunto un Monte in Asolo, a prò dei poverelli ! Ben l’immaginazione potrebbe per tale curiosità sbizzarrirsi, all’idea che cosi oggi costi lagrime alle spose lo spossessarsi delle gioie, avute nel giorno del gaudio nuziale, e temuto presagio di lutto, come costò dolore alla regina la rinunzia al diadema, onde si vuole cadesse svenuta, quando nella fuga del legno sull’onde, vide per sempre scomparso nel deserto orizzonte l’ultimo punto dell’isola, ove lasciava il suo cuore. Ma fuori di poesia, è a dolersi in realtà, che questo Palazzo sia ad uso troppo materiale con verso, e ne siano quindi i continui guasti inevitabili. In esso, con giro continuo di numerario ingente, si custodiscono in ostaggio depositi d’oro, d’argento e di gemme, per sette e più milioni, senza toccar degli effetti di basso prezzo, recati dal popolo.

Veramente luttuoso contrasto dai tempi della splendidezza principesca di queste sale, con l’abbiezione degli attuali depositi delle scadute fortune! Poiché, se questo palazzo ricordava a Catterina un avanzo di regno perduto, oggi a noi ricorda le vestigia di un’opulenza passata, e dove si riversa una larva di maestà, si deplora il fantasma della grandezza. (1)

(1) GIANJACOPO FONTANA. Cento palazzi fra i più celebri di Venezia (Premiato Stabilimento Tipografico di P.Naratovich. 1865).

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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