Orso I Partecipazio. Doge XIV. Anni 864-881

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Orso I Partecipazio. Doge XIV. Anni 864-881.

Nel commovimento generale degli animi per l’accaduto assassinio del doge, il popolo, raccolto in Rialto, elesse, di unanime consentimento, Orso I Partecipazio; il quale tosto diede mano a punire i rei ed a premiare i servi fedeli del suo predecessore, siccome antecedentemente dicemmo. Acquietati per tal modo gli interni perturbamenti, sorsero gli esterni. Gli Slavi, resi più audaci per le nuove conquiste fatte nel Friuli, nella Carintia, nella Stiria e lungo le rive del Danubio, perpetuamente infestavano il mare, e colle loro piraterie inceppavano la libertà dei commerci. Doge Orso, indilatamente diede opera al riparo, e, allestita poderosa flotta, sciolse alla volta della Dalmazia, ed assalì, combatté e vinse uno dei più feroci loro capi, nominato Domogoi, forse dominatore di Narenta, costringendolo a restituire il bottino e gli schiavi fatti nelle precedenti correrie, e a dare ostaggi a guarentigia delle pattuite condizioni.

Non appena ripatriato, Orso dovette accingersi a nuova e più gagliarda spedizione. Basilio, il Macedone, succeduto a Michiele III nell’imperio orientale, temendo perdere quei pochi possedimenti che tuttavia gli rimanevano nella Puglia e nella Calabria, per lo sempre più avanzarsi dei Saraceni, pensò ritogliere dalle loro mani la città di Bari e liberare l’Italia. Si accordò pertanto con Lodovico II, imperatore d’Occidente, onde lo aiutasse con l’armata terrestre; e per ottenere forze sul mare si volse ai Veneziani, ai quali spedì un apocrisiario, recante al doge le insegne e il titolo di Protospatario. E da avvertire però, che l’onore accennato viene da alcuni cronacisti, fra quali dal Sagornino, revocato ad età posteriore, e quando i Veneziani vittoriarono sopra gli Slavi, siccome vedremo.

Intanto però che Lodovico, aiutato dal fratello Lotario, re di Lorena, aveva già stretta Bari d’assedio per terra e la flotta greca per mare, la classe veneziana, che si avviava pure per quella volta, scontrò i nemici nelle acque di Taranto, e tosto incagliò la battaglia. La quale fu aspra ed accanita da ambe le parti, ma alla fine sconfitti rimasero i Saraceni, sicché il doge vittorioso ritornò in patria coi legni domati, coi prigioni e col ricco bottino. L’impresa però assunta dalle armi dei due Augusti ebbe triste successo, per modo che dopo un anno d’assedio posto alla città di Bari, dovettero ritirarsi. Ciò diede animo ai Saraceni di vendicarsi della rotta toccata dai nostri: laonde, nel maggio seguente, entrarono in Golfo, e spinsero la flotta loro sino all’isola della Brazza, e lungo le coste dalmatiche recarono desolazione e lutto. Ad esplorare le mosse loro, doge Orso spediva da Grado un navicello leggiero, il quale, giunto al porto Silvodi venne dagli Slavi predato e posta a morte la ciurma. Non pertanto provvide egli in altra guisa onde conoscere le ulteriori mire dei barbari; i quali, soddisfi per allora del raccolto bottino, uscirono dal Golfo.

Durante questi ed i fatti seguenti, e per lo corso di circa quattro anni accaddero gravi dissidi ecclesiastici, originati dalla pervicacia del doge nel proteggere l’abate di San Stefano di Altino Domenico Caloprino, figlio di Leone, che voleva Orso ad ogni modo eletto vescovo di Torcello, quantunque il patriarca di Grado, Pietro Marturio, dichiarato lo avesse, perché eviratosi da sé, non idoneo, secondo i canoni sacri, a quel posto. Quindi il doge perseguitò fieramente il patriarca, e sì che dovette fuggire da Grado e ripararsi nell’Istria, donde poi trasferissi a Roma presso il pontefice Gregorio VIII: il quale intimò un concilio di vescovi, che non ebbe eletto stante la non comparsa dei prelati veneziani chiamati. Né valsero anche a por termine ai dissidi le varie epistole da Gregorio dirette ai vescovi recalcitranti ed al doge, né valse il concilio che indi si tenne a Ravenna; e solo ebbe termine la questione allorquando Marturio si recò appo Landone vescovo di Treviso, nel qual tempo si convenne, che l’eletto Domenico abitasse bensì a Torcello e godesse le rendite di quella Chiesa, ma non potesse venir consacrato fino a tanto che il patriarca vivesse. Così stabilito, Marturio venne a Rialto, e si trattenne più giorni col doge, e ritornato quindi a Grado consacrò i vescovi delle sedi di Malamocco, di Olivolo e di Eraelea rimaste vacanti nel corso di quelle controversie. Poco però sopravvisse il patriarca; poiché, domato dagli affanni sofferti, lasciava la vita nella sua dimora a Rialto, e surrogato gli fu Vittore prete di San Silvestro. Il quale, astretto innanzi dal doge con sacramento, dovette consacrare il Caloprino, non senza però manifestare pubblicamente, con rimproveri diretti al doge stesso, la propria ripugnanza.

I guasti e le stragi che desolavano l’Italia meridionale, le scorrerie dei Saraceni, resi più audaci dalle discordie dei principi che la governavano, chiamarono varie volte, come sembra, i nostri a dar soccorso alle greche armate. Per la qual cosa, irati quei barbari, unirono una flotta, e, entrati nell’ Adriatico, corsero diffilati fino alle lagune gradensi, e, giunti ai lidi di quelle, sbarcarono e posero stretto assedio alla città di Grado. Ma Orso, tosto che il seppe, allestita poderosa classe, e datone il comando a Giovanni suo figlio, spedilla a quella volta. Sennonché, avutone sentore i Saraceni, levarono l’assedio e fuggirono, volgendosi in quella vece a Comacchio, che cadde preda della loro barbarie, uscendo quindi dal Golfo. La valentia, la desterità ed il coraggio dimostrato in quella occasione da Giovanni gli valsero, al suo ritorno, il consentimento della nazione di associarsi al padre nella ducale dignità, e per tal modo succedergli dopo morte.

Ma non erano i Saraceni soltanto che tenevano sempre i nostri sull’armi: gli Slavi Croati anche rinnovavano soventi volte le scorrerie loro sul mare, e sulla terra pur anche. Vediamo infatti che nell’ 880, a cagione dei perpetui turbamenti nel regno italico, e della decadenza dei Franchi, fattisi arditi, invasero di repente l’Istria; sicché caddero in poter loro Cittanuova, Umago, Rovigno, Muggia ed altre città, che rimasero desolate; Sipari e parecchie castella saccheggiate, e le ville circostanti poste a ferro ed a fuoco, li già minacciavano proceder eglino fin verso Grado, quando Orso subitamente allestir fece trenta navi, e presone egli stesso il comando, volò ad incontrarli. Gli incontrò infatti sui paraggi dell’Istria, e consegui sopra di essi tale vittoria, che la più parte ne rimase spenta o cattiva. Immenso fu il bottino acquistato; ma di questo generosamente dispose. Imperocché volle restituito alle chiese il rapito, e donò la libertà ai prigioni, aprendosi per cotal modo la via di conchiudere con quelle indomite genti un trattato, valevole ad assicurare la navigazione e il commercio. Sennonché malferma dovette riuscire la pace per lo continuo mutarsi dei loro capi, e per le varie tribù o zupanie, fra lor discordanti, di cui si componevano esse genti.

Tornato in patria il doge glorioso, volse l’animo a reprimere il molte volte dannato commercio degli schiavi. Laonde, raccolta l’assemblea nazionale, in pubblico placito, si rinnovò l’antico divieto, sotto pene gravissime ai contravventori.  Salito nell’880 all’impero occidentale Garlo il Grosso, doge Orso, tosto spedì un’ambasceria a Ravenna, affine di rinnovare seco lui gli antichi trattati e privilegi; il che ottenne subitamente. Ed un altro trattato conchiuse con Walperto, patriarca d’Aquileia, per lo quale ebbero fine le perpetue molestie che egli dava a quello di Grado. Del quale atto, conseguito senza il ministero delle armi, e col solo incuter timore all’infesto prelato, ebbe Orso larghissima lode dagli storici.

Né solo a farsi vindice degli oltraggi ed ingiustizie altrui, ed a conservare l’interna pace e il prosperamento delle industrie e dei commerci intese il doge, ma anche curò, unito col figlio Giovanni, l’abbellimento e il decoro delle isole. Innalzar fece in Eraclea, patria dei suoi maggiori, allora appellata Cittanuova, un palazzo; promosse ed eccitò lo asciugamento delle paludi, la erezione di nuovi edifici in Rialto, il popolamento di genti, di templi e di case dell’isola di Dorsoduro, che divenne quindi uno dei sestieri della città di Venezia.

Finalmente, dopo di aver governato con giustizia e gloria per oltre diciassette anni, passava Orso a vita migliore nell’881, ottenendo sepoltura condegna in San Zaccaria.

Il di lui ritratto tiene nella destra mano il solito cartellino, con questa inserzione :

FVRENTES DALMATAS COMPESCVI : SARACENOSQVE,
ITALIAM VASTANTES, APVD TARENTVM FELICITER PROFLIGAVI. (1)

(1) Il Palazzo Ducale di Venezia Volume IV. Francesco Zanotto. Venezia 1861

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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