Isola di San Secondo. Chiesa e Monastero dei Domenicani Osservanti. Chiesa e Monastero demoliti
Storia dell’isola, della chiesa e del monastero
Un miglio incirca in distanza dalla città di Venezia in quella parte della laguna, che riguarda il Castello di Mestre, sopra una palude, che alquanto si innalzava fuori dell’acqua, fu esposta attaccata ad un palo un’immagine di Sant’Erasmo vescovo di Formio e martire, che dai pescatori era invocata nei più gravi pericoli di procelle. Ivi mossa da devozione verso il santo martire la nobile famiglia Bassa fece nell’anno 1034 costruire una piccola chiesa, ed un ristretto monastero per abitazione di Monache Benedettine. Tanta però era in quei primi tempi la povertà, da cui era angustiato il monastero, che mosso a compassione il doge Vital Faliero nel giorno 7 di settembre dell’anno 1089, con solenne atto, che tuttavia si conserva nei pubblici registri, donò alla Chiesa dei Santi Secondo ed Erasmo, ed a quelli, che l’abitavano (tali sono le frasi del documento Ducale) alcune rendite per la loro sussistenza. Scrisse di questo monastero, e ne pubblicò la storia, Domenico Codagli dell’Ordine dei Predicatori traendone le notizie da vecchie emendabili tradizioni, ove asserendo aver avuto il monastero titolo di abbazia per la donazione del doge Faliero stende i nomi di cinque antiche abbadesse, cioè di Nela, o sia Elena nell’anno 1147, di Eufemia nel 1190, di Dalmatina nel 1211, di Gisla Grancevola nel 1222 e di Florigenia nel 1247 sotto il cui governo arrivò a questa isola dalla città di Asti il corpo incorrotto di San Secondo martirizzato ai tempi dell’imperatore Adriano, di cui fa memoria il Martirologio Romano al giorno 29 di marzo, e la chiesa veneta ne celebra la traslazione nel giorno primo di giugno.
Un’antica tavoletta appesa presso l’altare del santo ci palesa, che sotto il doge Giacomo Tiepolo nell’anno 1237, essendo stata assediata ed espugnata la città d’Asti ne fu da essa tratto il corpo di San Secondo, ed a Venezia condotto fu riposto nella Chiesa di Sant’Erasmo, che da quel momento venne chiamata Chiesa di Sant’Erasmo e Secondo. Più distesa ne fa la narrazione il Codagli dicendo, che sotto il ducato di Giacomo Tiepolo avendo i veneti contratta lega con Papa Gregorio IX contro Federico II imperatore, nemico della Chiesa, Giovanni figlio del doge, eletto dai milanesi per loro podestà, con un robusto esercito espugnò molte città ubbidienti all’imperatore, e fra esse Asti, da cui nascostamente, acciò non lo risapessero i milanesi, rapito il corpo del martire San Secondo, lo mandò alla sua patria.
Di questo assedio, ed espugnazione d’Asti nulla scrivono gli storici così esteri, che veneziani, e lo stesso doge Dandolo, che nella sua Cronaca stende a minuto le particolarità di questa guerra, non ne fa pur parola, il che fa creder arbitraria la narrazione del Codagli. In altra forma però viene raccontato il furto del sacro corpo da una vecchia carta pergamena, che tutt’ora esiste nell’Archivio del Monastero dei Santi Cosma e Damiano di Venezia. Il corpo di San Secondo chiuso in un’arca di piombo giacque per trecento anni sotto terra, da dove per divina ispirazione levato, fu con solennità esposto. Accadde che poi alquanti mercanti veneti giunsero in Asti, ove con danari corruppero la famiglia dei Venturi numerosa di gente, ed alcuni di essi furtivamente tolto il sacro corpo lo consegnarono ai mercanti. Castigò Iddio l’empietà di quella famiglia, in cui entrata la morte li ridusse in poco tempo al ristretto numero di nove, perché nascendone uno, ne moriva un altro. Frattanto i veneziani ottenuto il venerabile corpo, determinarono di collocarlo nella Chiesa di San Geremia; ma non potendo ivi far approdar la loro barca, la lasciarono alla discrezione dell’acqua, che tosto li condusse all’isola, ove sta il Monastero di Sant’Erasmo, uffiziato da monache. Queste sono le diverse esposizioni dei fatti, che in niuna maniera accordare si possono; e la prima principalmente merita correzione, ove asserisce, essersi la Chiesa di Sant’Erasmo cominciata a denominar dei Santi Erasmo e Secondo dopo l’arrivo del corpo di San Secondo nell’anno 1237, Chiesa dei Santi Secondo ed Erasmo la disse il doge Faliero nella sua donazione dell’anno 1089, tanto avanti la traslazione, e così pure in un autentico documento dell’anno 1138 viene espressa Aicha abbadessa del Monastero dei Santi Martiri Secondo ed Erasmo, dal qual tempo in poi fu sempre il monastero nei pubblici atti ora detto unicamente di San Secondo.
Contrastano a Venezia il possesso del sacro corpo gli astesi, producendo gli atti di una traslazione di esso fatta da Guidotto Vescovo d’Asti nell’anno 1213, e di un’altra eseguita da Scipione Damiano, esso pure Vescovo d’Asti, nell’anno 1471. la quale fu accompagnata da molti miracoli. Procura di conciliare le pretese di ambe le nazioni l’Abbate Ughelli nel Tomo IV della sua Italia Sacra, e assegnando alla città d’Asti il corpo di San Secondo martire, che intero si venera nella cattedrale come principale protettore, scrive essere il corpo trasferito a Venezia di San Secondo vescovo d’Asti, e confessore; il che tanto più stabilmente si comprova, perché come fu attestato da veridici testimoni, esaminati nell’anno 1471, il corpo conservato in Venezia si dice avere la sua testa unita al busto, dove per altro sappiamo dagli atti del Santo martire Secondo, che compì egli il suo martirio con lasciare la testa sotto la spada del carnefice. Dubbio dunque essendo di quale dei due santi dello stesso nome già venerato in Asti sia il venerabile corpo, che con singolare venerazione si custodisce incorrotto nella chiesa di Venezia, certo è però che di qualunque egli sia o del vescovo e confessore, o del martire, egli fu illustrato a Dio con frequenti miracoli. Narra il citato Codaglio, che un nobile d’Asti, udita la fama della traslazione, si portasse a Venezia, ove mentre orava, colta l’occasione di vedersi solo, ne tagliasse un dito dei piedi; ma restituitosi in patria, né ritrovando l’inviolata reliquia, ritornò per la seconda volta in Venezia ove vide con stupore il dito collocato appresso dei santi piedi. Ora questo dito le monache quando partirono dall’isola seco lo portarono al monastero di San Cosma, ove decentemente si conserva. Un altro dito fu, non si sa come, ottenuto dalla Chiesa di Salò, ed una costa fu donata dal Senato nell’anno 1571 a Filippo II Re delle Spagne, a di cui nome la chiese Diego Gusmano di lui ambasciatore. Mutato più di una volta di sepolcro il sacro corpo fu finalmente nell’anno 1692 riposto in una decente urna di marmo, ove presentemente riposa.
Era stato intanto accolto sotto la protezione immediata della sede apostolica questo monastero da papa Alessandro III, con una sua bolla data in Venezia in Rialto sotto il giorno 8 di settembre dell’anno 1177, e godette per lungo tempo florido stato: ma nel declinare del XIII e nei principi del secolo XIV per le solite vicende delle cose umane, e molto più per la poco savia condotta delle abbadesse, fu ridotto il monastero in gravi ristrettezze, cosicché convenne più di una volta alienarne alcune delle sue possessioni per supplire all’urgenti necessità; onde diminuendosi le rendite, via più si accrebbe la miseria delle angustiate religiose. Maggiori però furono i pregiudizi, che risentì questo monastero nello stato suo spirituale. Imperocché sul finire del XV secolo era arrivato lo sconcerto non solo dell’osservanza, ma del costume a tal segno, che nelle monache altro più di religioso non si vedeva, che l’abito esteriore, ed il nome. Mentre dunque commossa dal grave disordine, in cui con questo erano incorsi molti altri monasteri, studia la religione del Senato di farvi applicare il rimedio di una universale riforma, sopravenne a frastornarne i pensieri nell’anno 1508, l’atroce guerra detta di Cambrai, nella quale pressoché tutti i principi dell’Europa congiurarono ai danni della Repubblica. Nei vari successi di questa, l’esercito dei Spagnoli nell’anno 1513, dopo aver barbaramente devastati i territori di Padova, e di Treviso, si ristettero a Marghera, piccolo luogo vicino alla laguna dirimpetto alla città di Venezia, ove appostati alcuni cannoni più per insultare che per recar danno, gettarono non poche palle contro la città, le quali (come scrive il Codaglio) arrivate a vista dell’isola di San Secondo, quasi trattenute, o ributtate fossero da forza superiore, fermandosi piombavano nell’acque.
Finalmente dopo otto anni di crudelissima guerra fu conchiusa fra i Principi belligeranti la pace; dopo la pubblicazione della quale si rivolse il Senato al primo pensiero di sollecitare la riforma de monasteri. Giovò ottimamente all’intento lo zelo, ed il fervore del patriarca Antonio Contarini, che nulla più avendo a cuore, che il divino culto, ed il bene della greggia a si raccomandata ottenne primieramente nell’anno 1515, da Leone X, che ritrattati fossero tutti i privilegi concessi alle monache di poter uscire dai loro chiostri. Dopo ciò si applicò con indefessa cura alla riforma dei monasteri conventuali, e fra questi nell’anno 1519, anche ad istanza del Senato, intraprese di ridurre a miglior forma di vivere il Monastero di San Secondo troppo rilassato nella regolare disciplina. Secondando dunque l’istinto del suo zelo, vi si trasferì a visitarlo nel giorno 10 di agosto, ove procurò con le più dolci maniere, e con le più forti esortazioni insinuare nell’animo delle scorrette donne un desiderio d’emendazione. Ma nulla profittò con la soavità dell’operare, protestando altamente le monache di non voler ridursi in niuna maniera a più regolato modo di vivere. Perloché assuntosi in assistenza, e difesa per compagno Gabriel Venier Avogador del Comune, nel giorno 14 dello stesso mese ritornato al monastero, lo divise in due parti, assegnandone una alle monache conventuali con qualche porzione di rendite, che bastasse allo scarso loro mantenimento. Ciò fatto, e ristrette nella parte loro destinata le quattordici monache conventuali, comando il patriarca, che dal Monastero dei Santi Cosma e Damiano, pochi anni avanti da Marina Celsi fondato, si estraessero monache osservanti, ed idonee all’intrapresa della riforma. Passarono dunque ventidue Monache Osservanti nella porzione del monastero loro assegnato, e si portò seco loro a di dirigerle la loro fondatrice Marina Celsi, che in qualità di abbadessa resse per qualche tempo l’uno, e l’altro monastero.
Premendo fra tanto per tali regolazioni le Monache Conventuali, unitesi a quelle degli altri monasteri appellato avevano alla sede apostolica; ma avviatone opportunamente Leone con sua bolla dello stesso anno annullò qualunque appellazione, e con la confermazione dell’apostolica autorità aggiunse nuova forza alle saggie deliberazioni del patriarca. Data poi nel giorno 5 di Luglio dell’anno 1521, altra particolare bolla diretta a Marina Celsi abbadessa, ed alle di lei monache, approvò la riforma eseguita del Monastero di San Secondo, e ratificò l’unione stabilita di esso con il Monastero dei Santi Cosma e Damiano, dopo di che nel giorno 24 di settembre dello stesso anno scrivendo un’apostolica lettera al patriarca Contarini, ne lodò lo zelo, e la prudenza, ed approvò qualunque ordinazione, o regola stabilita da esso nella riforma dei monasteri.
Disperate le monache nel vedersi chiusa ogni strada di ricorso ecclesiastico, portarono le loro querele al Consiglio dei Dieci, per di cui autorità eletti tre riguardevoli Senatori si unirono col patriarca, ed udite le ragioni, e le convenienze sì delle Conventuali che delle Osservanti, nel giorno 29 di ottobre dell’anno 1521, stesero giuste regole, acciò ambedue gli stati delle religiose avessero stabilmente la porzione loro dovuta delle rendite dei monasteri. Dopo ciò alcune del le monache abbracciarono la riforma, ed altre si ridussero ai monasteri delle conventuali, fra i quali Chiara Suriano abbadessa con una sua nipote, sole superstiti delle Conventuali di San Secondo, si ritirarono nell’anno 1523 nel Monastero di Santa Maria delle Vergini, ove chiusero i loro giorni. Nello stesso anno Marina Celsi, che poco prima aveva ottenuta licenza di restituirsi con le sue monache al proprio Monastero di San Cosma, carica di anni (toccando già il novantesimo di sua età) e più di merito, passò santamente agli amplessi del Celeste suo Sposo nel giorno 25 di agosto.
Successe nella dignità, e nel peso Cristina Trono, che essendo amministratrice del Monastero di San Secondo, vuoto già di abitatrici, ottenne nell’anno 1529, da papa Clemente VII, che le rendite d’esso si devolvessero, ed appropriassero al Monastero di San Cosma. Diede esecuzione al decreto pontificio il patriarca di Venezia; ma avendo ommesso di destinare chi assistesse e governasse l’abbandonata Chiesa di San Secondo, Clemente VII reso di ciò avvisato commise nell’anno 1531 a Giacomo Pesaro vescovo di Passo, che estinto il titolo abbaziale dell’Isola di San Secondo, lo assegnasse col consenso del doge, e del Dominio di Venezia, a qualche ordine religioso, a cui per suo sostentamento fossero pure concesse alquante delle rendite già appartenenti al monastero soppresso.
Eseguendo il supremo comando del pontefice soppresse il vescovo nell’isola qualunque nome, o dignità insieme con l’ordine di San Benedetto nell’anno 1534, e poi coll’assenso del doge Andrea Gritti, e del Senato concesse all’Ordine dei Predicatori l’isola con le sue fabbriche, e vi aggiunse duecento e cinquanta ducati di annua rendita, separati dagli antichi roventi del monastero,
A nome di fra Giovanni Finario maestro generale dell’ordine, fu da fra Zaccaria Lunense, celebre predicatore, preso il possesso del luogo, di cui mentre se ne ristorano le vecchie fabbriche un certo prete, che dalle monache nella loro partenza era stato lasciato al la custodia della chiesa, disperato di dover abbandonar un’abitazione, a cui aveva preso amore, con risoluzione diabolica attaccò fuoco al tetto del monastero, che per la sua vecchiezza in breve tempo d’ora restò consunto; e passate le fiamme a devastare la chiesa, tosto ché si avvicinarono alla cappella, in cui si conservava il sacro deposito di San Secondo, quasi che ne venerassero la santità, retrocessero, e ritornarono ai chiostri, ove restarono estinte. Risarcì i gravi danni di questo incendio il menzionato fra Zaccaria, che raccolte abbondanti elemosine dalla pietà dei fedeli, restituì la chiesa al suo decoro, ed il monastero al conveniente stato d’abitazione religiosa.
Cinque anni stette il monastero sotto la provincia romana, finché nell’anno 1541 fu annesso alla provincia di lombardia, e ne prese il possesso, per decreto del Senato, fra Angelo Bragadino, allora priore di San Domenico di Castello, e poi vescovo di Vicenza.
Accadde in questi tempi, che quella parte di chiesa, che era rimasta illesa dall’incendio, ma indebolita però dalla forza del fuoco, ad un tratto rovinò, restando preservato il sepolcro del sacro corpo da due travi, che nel cadere mirabilmente si incrocicchiarono sopra il sepolcro stesso, e lo difesero dalle rovine.
Era già mezzo secolo in circa, dacchè possedeva l’ordine di San Domenico il risarcito monastero; allorché inferendo con orribili stragi nell’anno 1576 la peste, fu destinata quest’isola alla cura degli appestati; onde dopo che cessò il flagello, ritornati i padri all’antica loro abitazione, nel vederla così squallida e deformata, deliberarono di ridursi al loro Monastero di San Domenico in Venezia, e condure seco il corpo del Santo Titolare. Si oppose a tale risoluzione il Senato; onde per non perder il luogo risolsero di nuovamente abitarlo, e passarono all’isola, che dei patiti danni ristorarono nella miglior forma loro possibile. Dimostrò Iddio con aperti miracoli quanto gli fosse caro, che nel venerabile corpo fosse in questa isola venerato, mentre appena risarcita la chiesa, furono in essa liberati alquanti offesi dal demonio, e moltissimi per di lui intercessione liberati dal pericolo d’imminente naufragio.
Consacrò poi la riedificata chiesa nel giorno 7 di agosto dell’anno 1608 il Vescovo di Cataro Angelo Baronio, domenicano ad onore di San Secondo, essendo già stato il primo tempio sotto il titolo di Sant’Erasmo consacrato nel giorno 25 di settembre.
Trascorsi poi alquanti anni, essendo stato eletto provinciale il Padre Leonoro Rizzardo piissimo religioso, pensò egli tosto di piantare il rigore della più stretta osservanza in alcuno dei suoi conventi, fra quali per la solitudine e per la ristrettezza li parve il più opportuno quello di San Secondo. Istituì dunque in esso nell’anno 1660 l’antica austera disciplina del suo ordine, e vi stabilì per vicario Basilio Pica, uomo per zelo apostolico, per costume e per dottrina amatissimo dai veneziani, che vi accolse in esso alcuni dei più riguardevoli soggetti della provincia che diedero i principi all’osservante congregazione sotto il titolo, e protezione del beato Giacomo Salomone.
Governando dunque con pietà e prudenza il vicario Basilio Pica, ottenne dal legato apostolico, che i soggetti, i quali si deliberassero abbracciare in questo monastero la stretta osservanza dell’ordine, non potessero esserne rimossi, il che contribuì molto allo stabilimento e poi alla dilatazione dell’osservanza.
Fu poi il monastero nell’anno 1686 eretto in collegio, istituendovi uno studio generale per i chierici dell’osservanza, ove durò solo tre anni, essendo poi trasferito in Venezia nel monastero nuovamente acquistato dalla congregazione dell’osservanza, ed il superiore dell’Isola di San Secondo fu dichiarato priore. (1)
Eventi più recenti
Rimasero i religiosi di quest’isola fino al 1806, anno in cui i padri furono riuniti nel monastero dei domenicani detto dei Gesuati alle Zattere. La chiesa, che al pari del monastero, aveva ricevuto tanti restauri decadde dalla magnifica forma a cui le monache benedettine l’avevano condotta, né aveva di notabile che la tavola dell’altare maggiore del Vivarini sopravanzata alle fiamme. Nella piazza dinanzi alla chiesa restavano coperte due cavane da due grandi stanze o per il ricovero dei passeggeri colpiti da burrasca, o per albergare coloro che d’estate si conducevano a diporto per la laguna. Oggidì demolita la chiesa e ridotta porzione del monastero ad abitazione privata, l’isola è addetta al militare che vi costudisce la polvere. (2)
I francesi prima e gli austriaci dopo fortificarono l’isola, gli insorti veneziani la utilizzarono nel 1848/49 quando rappresentò l’estremo baluardo nella difesa della città verso la terraferma, ma dovette capitolare quando nel mese di agosto del 1849 fu sottoposta a pesanti bombardamenti. Durante il Regno d’Italia fu confermata per alcuni decenni la destinazione militare dell’isola che durò fino all’inizio del Novecento, venne quindi concessa in affitto al comune di Venezia che la diede in subaffitto ad alcune famiglie che ne garantivano la custodia. Nel 1937 venne subaffittata alla ditta Junghans per le operazioni di caricamento di ordigni bellici, dopo la guerra venne di nuovo concessa in custodia ad una famiglia, e per un breve periodo fu utilizzata dal Convitto Biancotto e dall’ANPI per allevamento di animali da cortile. Nel 1950 il comune decise di restituirla al demanio. (3)
(1) FLAMINIO CORNER. Notizie storiche delle chiese e monasteri di Venezia, e di Torcello tratte dalle chiese veneziane e torcellane (Padova, Stamperia del Seminario, 1763).
(2) ERMOLAO PAOLETTI. Il fiore di Venezia ossia i quadri, i monumenti, le vedute ed i costumi. (Tommaso Fontana editore. Venezia 1839).
(3) http://www.terraantica.org/2011/11/21/le-isole-sole/)
FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.