Chiesa e Monastero di Santa Maria Maggiore

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Chiesa di Santa Maria Maggiore - Santa Croce

Chiesa di Santa Maria Maggiore. Monastero di Monache Francescane. Chiesa secolarizzata, monastero demolito

Storia della chiesa e del monastero

Trasse la prima sua origine questo esemplare, e numeroso monastero da un angusto romitaggio contiguo alla Chiesa parrocchiale di Sant’Agnese, in cui vivevano solitarie alcune devote donne recluse, con vocabolo veneziano romite, e pizzocchere. Tale fu il credito, che per la santità dei loro costumi, e per l’austerità del vivere si conciliarono appresso la città tutte queste ottime religiose, che, pensarono il piovano insieme coi suoi parrocchiani di consegnare alla loro custodia la chiesa stessa di Sant’Agnese, acciocché il divino culto vi acquistasse aumento maggiore.

A tal oggetto nell’anno 1483, Domenico Morosini allora Savio Grande, o come lo chiamano, del Consiglio, a nome di Paola ed Eustachia Sorelle Zentani, di Lodovica Usnago, e di altre monache recluse presso la Chiesa di Sant’Agnese si presentarono avanti la Signoria, richiedendo dalla pubblica autorità, che secondando il pio desiderio del piovano, e dei parrocchiani le volessero concedere la chiesa suddetta per fondarvi accanto un Mmonastero di stretta osservanza. Assentì la pietà del Dominio; ma ciò nonostante non si effettuò l’affare, e nel loro angusto ritiro continuarono le solitarie religiose, finché la divina Providenza dispose, che per mezzo d’una di esse chiamata Caterina si intraprendesse in luogo più remoto l’erezione di un Convento di Monache Francescane.

Fu prenunziata questa illustre Fondazione da prodigi celesti. Poiché un eremita che abitava nell’anno 1433, in quel remoto e disabitato angolo della città, attestò di avere spesse siate veduta una matrona di sovrumana maestà passeggiare con un vaghissimo bambino fra le braccia sulla spiaggia della laguna in quel luogo appunto, ove ora si vede il Monastero di Santa Maria Maggiore, e questa stessa mirabile apparizione confessarono di aver ammirata alcuni buoni pescatori abitanti nelle case circonvicine, ed il beato Bernardino da Feltre mentre predicava in Venezia predisse con profetico spirito, dover quel luogo essere reso celebre per un monastero di monache, che doveva ivi erigersi sotto l’istituto serafico.

Animata dunque da tali tradizioni, e mossa da interno impulso del divino spirito la sopra lodata Caterina eremita di Sant’Agnese ricorse supplichevole al Dominio chiedendo, che si degnasse concederle tanto terreno degli arzeri novi (così si chiamava l’indicato sito) a Sant’Andrea, quanto fosse bastante per fabbricarvi sopra una chiesetta, ed un piccolo monastero in nome di Santa Maria Maggiore, e di San Vincenzo, ove essa eremita con altre degne donne ivi rinchiuse potessero fare vita osservante.

Accolse le pie istanze il Dominio, e ricevute favorevoli informazioni dal Magistrato alle acque Preside delle Lagune, fu nel giorno 11 di novembre dell’anno 1497, con decreto del Senato venne concessa facoltà di erigere un Monastero di Monache Osservanti nel sito ricercato; il che tosto fu eseguito con la fabbrica di un angusto chiostro formato per la maggior parte di tavole, e di un ristretto oratorio eretto sotto l’invocazione del martire San Vicenzo. Ma avendo la Divina Providenza decretato, che in tal luogo dovese innalzarsi ad onore della Santissima Vergine una magnifica chiesa, fece che in prodigiosa maniera conosciuta ed eseguita fosse l’adorabile sua disposizione.

Abitava presso il monastero un buon uomo di nome Agostino, il quale possedendo una devota immagine di greca antica pittura l’aveva inconsideratamente negletta, e collocata in un oscuro angolo di sua casa. Sentissi egli dunque un giorno rimproverare con voce miracolosa per la sua trascuratezza, e ricevette un comando di portarla ove con maggior riverenza ed onore fosse venerata. Replicato poi essendosi per due altre fiate il celeste comando, fece egli con solenne processione tradurre dalla sua casa la sacra immagine al vicino oratorio di San Vicenzo, che da quel giorno cominciò poscia a chiamarsi di Santa Maria.

Eccitata dalla novità del prodigio la pietà di Luigi Malipiero patrizio veneto, volle che atterrato prima il ristretto oratorio, fosse indi lui luogo a proprie spese innalzato un maestoso tempio sul modello della Basilica di Santa Maria Maggiore di Roma, dalla quale anco prese la denominazione la nuova chiesa comunemente detta di Santa Maria Maggiore, della di cui consacrazione si celebrava l’anniversaria memoria nel giorno 22 di febbraio.

Anche l’abitazione delle monache dilatata di recinto per concessioni replicate della pubblica liberalità, ed accresciuta di fabbriche per la pietà dei fedeli, ottenne nome e forma di monastero dall’autorità della Sede Apostolica, avendo il pontefice Alessandro VI, con suo diploma segnato nel giorno primo di giugno dell’anno 1503, ordinato a Girolamo Trevisano abate di San Tommaso di Torcello, che come commissario e delegato apostolico dovesse istituire in quel sacro luogo la forma di monastero sotto l’Istituto Serafico, il che esattamente fu dall’abbate eseguito nel giorno 26 di agosto del medesimo anno.

Vissero le monache per molto tempo sotto la direzione dei frati minori, finché per decreto pontificio furono assieme con altri monasteri di monache francescane (come altrove si è detto) assoggettate alla giurisdizione e governo del patriarca di Venezia. (1)

Visita della chiesa (1733)

Entrando in chiesa a mano sinistra fra I’organo, e la finestra vi sono diversi puttini che tengono simboli della Beata Vergine, e sono di Alessandro Varottari. Passata la finestra la tavola dell’altare di casa Marcello con la Beata Vergine ed il Bambino sotto ad un albero, e dalle parti i Santi Giovanni e Marco, ed in ginocchio vari ritratti della detta famiglia, è di Francesco Alberti Viniziano. Asserisce però il Ridolfo, che si diceva essere di Battista dal Moro, nella vita di detto Battista. Segue un quadro con un miracolo della Beata Vergine con un uomo in ginocchio del Varottari. La tavola dell’altare, che segue con la coronazione della Beata Vergine, e i quattro evangelisti, che sostengono il Mondo è di mano del Palma. Il gran quadro sopra la porta, che va al convento con un miracolo della Beata Vergine, cioè una donna, che partorì nel mare è opera singolarissima del Varottari, nella quale specialmente si vede una femmina, che siede sopra un bianco cavallo vestita di raso divisato che è, per dir vero, di un ottimo gusto e vi è il nome dell’autore così: Opus Varottari 1628. Dello stesso autore passato l’altare del Crocifisso vi è la Beata Vergine in aria, ed un anto diacono abbasso, che soffrì di perdere un occhio per vederla. La palla, che segue con Nostra Signora, e vari angeletti, ed abbasso i Santi Francesco, Pietro Chiara, Andrea, e Giacomo è opera singolare di Bonifazio. Il gran quadro con la rotta dei Camotesi per miracolo della veste di Nostra Signora è una delle opere famosissime del suddetto Varottari. La tavola dell’altare maggiore coll’Assunzione di Nostra Signora è opera bellissima di Paolo Veronese. L’Annunziata dalle parti è di mano del Palma. Lateralmente vi sono quattro gran quadri, l’uno con San Gioachino scacciato dal Tempio per non aver prole, l’altro con lo Sposalizio della Vergine tenuto dal Ridolfi per di Domenico, ed il terzo con la Visita dei Re Maggi, e sono opere del Tintoretto; l’ultimo non è di questa mano. Nel volto della capella vi è il Giudizio Universale, di Antonio Foller. Nella capella, che segue la tavola dell’altare è il famoso San Giovambattista di Tiziano, che va alla stampa di Valentino le Febre. Nella detta cappella vi è un quadro posticcio del Palma Vecchio con la Madonna, il Bambino e Santi Giuseppe e Catterina col nome dell’autore, fatto come si vede l’anno 1599. Qui pure vi è un quadro con la Vergine e San Giuseppe, ed un ritratto, opera mal conservata di Polidoro. Seguono dopo questa cappella tre quadri di Matteo Ponzone con i miracoli della Vergine, tra quali vi è una figura di chiaro scuro, di Francesco Ruichi. Segue poi la palla di Bonifacio con l’Ascensione di Nostra Signora, e gli Apostoli adoranti. Passata la porta si vede il famosissimo quadro dell’Arca di Noè di Giacomo Bassano, opera copiosissima, ed in genere d’animali squisitissima e condotta all’ultimo segno. Sopra di questo vi è un Sam Bastiano della maniera di Giorgione. Nell’angolo i è la Vergine, che libera un pittore precipitato dal Demonio, ed è del Varottari. Sopra le colonne vi fono diversi quadri posticci, cioè le quattro stagioni dell’anno dei Bassani. Un Cristo all’Orto di Paolo Veronese. Un Ecce Homo di Paris Bordone. Una Madonna in tavola con diversi cherubini, opera preziosa di Gian Bellino. Un’altra quasi simile del Conegliano con Nostro Signore che apparisce ai discepoli della scola del Bordone. I soffitti poi, ed il quadro sopra la porta della fondamenta, non recano troppo onore a questa chiesa, che si può dire per altro una per perfettissima galleria d’autori della Scuola Veneziana. Nella sacrestia vi sono i due quadri dell’Adultera, e del Centurione, che erano in chiesa sopra le colonne, ma questi non sono altrimenti originali di Paolo Veronese, come asserisce il Boschini. (2)

Eventi più recenti

Nel 1805 si concentrarono le monache in questo convento con quelle di Santa Croce, nel 1806 venne consegnato ai militari. Nel 1817 esso patì un incendio, senza che neppure fosse tocca la chiesa. Questa, ufficiata, dopo la partenza delle monache, da un sacerdote, venne poi ceduta all’Amministrazione dei Tabacchi, ed è tuttora in suo potere. (3)

(1) FLAMINIO CORNER. Notizie storiche delle chiese e monasteri di Venezia, e di Torcello tratte dalle chiese veneziane e torcellane (Padova, Stamperia del Seminario, 1763).

(2) ANTONIO MARIA ZANETTI. Descrizione di tutte le pubbliche pitture della città di Venezia ossia Rinnovazione delle Ricche Miniere di Marco Boschini (Pietro Bassaglia al segno di Salamandra – Venezia 1733)

(3) GIUSEPPE TASSINI. Edifici di Venezia. Distrutti o vòlti ad uso diverso da quello a cui furono in origine destinati. (Reale Tipografia Giovanni Cecchini. Venezia 1885).

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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