Jacopo Tiepolo. Doge XLIII. Anni 1229-1249

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Jacopo Tiepolo. Doge XLIII. Anni 1229-1249

Raccolti i quaranta, per devenire alla elezione del principe nuovo, si divisero per giusta metà i suffragi tra Marino Dandolo e Jacopo Tiepolo, sicché fu preso di affidare alla sorte la decisione. Il Tiepolo quindi uscì doge, il dì 6 marzo 1229, ed egli tosto si recò, in segno di rispetto, a visitare lo Ziani, il quale, dice il Dandolo, rifiutò di riceverlo, sdegnato del modo con cui venne eletto. Ma il Sanudo ed il Sivos, riferiscono, in quella vece, che lo accolse, adirandosi però nell’udire la forma con cui fu assunto al principato, e consigliò di aggiungere un elettore ai quaranta, onde non l’osservi parità di suffragi. In effetto si statuì in seguito che quarantauno nominassero il nuovo doge.

Giurò il Tiepolo la solita Promissione, ma rinnovata del tutto, ristringendo autorità, e in guisa che servi poi di regolo alle posteriori.

Funesti furono i primordi del suo ducato, e per lo incendio accaduto nel santuario di San Marco, che distrusse con parecchie reliquie anche molti privilegi ducali colà conservati; e per la nuova rivolta di Candia, mossa dai sempre irrequieti insulari. Sedata questa per opera di Marco Sanudo, nuovamente chiamato in aiuto dal duca Giovanni Storlado (1230), tornavano i ribelli alla riscossa, sorretti da Giovanni Vatace, imperator di Nicea, sicché, spedito Nicolò Tonesto e Bartolomeo Gradenigo, eletto duca, seppero questi, con pacifiche arti, ridurre l’isola alla primiera obbedienza (1234). Morto però poco appresso il Gradenigo, e continuando tuttavia a resistere la città di Sitia, Marco Molino si recò ad assediarla; ma dovette ben presto ritirarsi, per le nuove forze colà inviate da Vatace. Le navi del quale, presa la Suda, partirono, ed incontrata nell’ Adriatico la flotta veneziana, comandata da Giovanni Ardisono, vennero con essa a battaglia, e quindi si allontanarono (1236). Stefano Giustiniani, che assumeva la reggenza dell’isola, ove si spediva un’altra colonia, poté alfine ricondurre, almeno per poco, la tranquillità in Candia.

Guardava del pari, con vigile occhio, il doge, le cose d’ Oriente; e già somministrati legni al passaggio di Giovanni di Brienne, re di Gerusalemme, per recarsi a Costantinopoli, colà chiamatovi siccome tutore e reggente, nella minorità di Baldovino, figlio dell’imperatore Pietro, otteneva da lui la conferma di tutti i privilegi antecedentemente conseguiti dagl’imperatori (1231). Guerreggiando poi in seguito Giovanni contro Asan, re dei Bulgari, e contro Vatace anzidetto, e sconfitto da essi in guisa da essere perfino assediato entro a Costantinopoli, i Veneziani, invocati da lui, accorsero, con venticinque navigli, comandati da Leonardo Quirini e Marco Gussoni, e data terribile battaglia, cadde la flotta nemica in mano dei nostri, sicché fu liberato Giovanni (1237). Sennonché, l’anno appresso, i due principi ora detti, sdegnosi della toccata sconfitta, misero in piedi nuove truppe ed allestirono nuovi legni, alfine di tentare una seconda impresa sopra Costantinopoli stessa. Di fatti, al sorgere della primavera dell’anno 1238, Vatace ed Asan si mossero, e già pervenuti dinanzi alla città di Costantino si apparecchiavano a darvi l’assalto. Era principalmente la flotta numerosissima e fortissima, ed in questa ponevano tutte speranze gli assalitori; quando Goffredo Villarduino, principe di Acaia, comparve sulla Propontide con sei vascelli da. guerra, montati da cento cavalieri, trecento balestrieri e cinquecento arcieri, e, non appena arrivato, traversando con impeto la flotta nemica, incagliò fiera battaglia, a decidere della quale tostamente scioglieva dal porto di Costantinopoli, con sedici galee (altri dicono dieci soltanto), Giovanni Michiel podestà di Costantinopoli per la Repubblica veneziana; e piombato subitamente sul nemico, ne fece tale orrida strage, che la più parte dei legni bulgari e greci vennero colati a fondo, e li due principi costretti a prendere ignominiosissima fuga. Ad onta di ciò i fatti dimostravano, che mira dei Greci era abbattere in Oriente il poter dei Latini; per cui il giovane Baldovino si recò in Occidente a chieder soccorso. Perciò Gregorio IX bandiva una crociata, a favore della quale altri principi promettevano aiuti: ma Baldovino non poté raccogliere che scarse genti, e, con grave sacrificio alquanto danaro, nel mentre che i baroni franchi, a Costantinopoli, impegnavano al podestà veneto Alberto Morosini la sacra Corona di Spine, per la somma di quattordici mila iperperi; i quali non essendo stati pagati al tempo convenuto, quella preziosa reliquia fu recata a Venezia il dì 4 settembre 1238; e quindi l’anno appresso ricuperata da Luigi IX, re di Francia, il quale, a di lei onore, eresse in Parigi, per collocarla, la Santa Cappella.

L’imperatore Federico II, sempre in discordia coi Papi, sempre in guerra con la Lega Lombarda, al calare di suo figlio Enrico con nuove genti dalla Germania, si mosse per abboccarsi seco lui in Aquileja. Sia che fosse obbligato da una burrasca, o mosso dal desiderio di visitare Venezia, qui venne nel 1232, e fu accolto onorevolmente dalla Repubblica. In tale occasione confermò i soliti privilegi, ed altre nuove larghezze concedette al commercio veneziano nel suo regno di Sicilia.

Ma la guerra rottasi poco dopo fra l’imperatore stesso e la Lega Lombarda, e l’aiuto che ad esso diede Ezzelino da Romano, fece sì che cadessero le città di Verona, di Vicenza, di Padova e di Treviso, e dopo accanita battaglia anche Milano; nel cui fatto d’armi rimasto cattivo Pietro Tiepolo, figlio del doge, allora podestà di Milano, fu dall’ imperatore mandato in Puglia ed ivi tratto a morte. Questo barbaro atto, e le scorrerie praticate fino ai margini delle lagune dalle armi imperiali, rette dal prefato Ezzelino, sdegnarono siffattamente la Repubblica, che, dichiarandosi aperta nemica di Federico, entrò in lega, prima con i Genovesi, poi con il Pontefice Gregorio IX (1239). Perciò presto i Veneziani ricuperarono Pola, che da Federico stesso era stata eccitata a sollevarsi; presero le navi anconetane, che per la stessa eccitazione infestavano il golfo, e meditavano di domar anche Zara, datasi al re unghero. Intanto, toglievano in protezione Ravenna, ribellatasi all’Imperatore; poi, invitati dal Papa, si volgevano, uniti coi Lombardi e con gli altri collegati, all’assedio di Ferrara.

Allestito quindi un esercito, sotto il comando di Stefano Badoaro, ed una flottiglia, atta ad operare sul Po, sulla quale montava, secondo il Dandolo, lo stesso doge, e secondo altri, fra cui il Sanudo, il che è più probabile, Giovanni suo figlio; tanto operarono uniti, che Ferrara dovette calare agli accordi; sicché, entrati coi Veneziani i collegati, fu mandato a Venezia Salinguerra, che la dominava, ove poco dopo moriva ed era tumulato in San Nicolò del Lido. Divenuto quindi signor di Ferrara il marchese Azzo d’ Este, la Repubblica otteneva conferma ed ampliazione dei privilegi per lo innanzi goduti (1240).

Spedivano poi i Veneziani nella Puglia una flotta di sessanta legni, comandata da Giovanni Tiepolo, figlio del doge, per dare aiuto ai Genovesi contro i Pisani alleati di Federico, e dato il guasto a Tremoli, al Vasto e ad altre terre, riportava ricco bottino. Poi si volgevano contro Pola un’altra volta ribellatasi, e punitala con grossa ammenda, ritornavano in patria. Una seconda flotta partiva anche, diretta da Rimeri Zeno, per riprendere Zara datasi agli Ungheri fin dal 1242, e, dopo molti travagli, fu ridotta ad obbedienza, massime per il trattato conchiuso col re unghero Bela, e per una colonia colà spedita (1244). Tale sommissione trasse con sè quella di altre città della Dalmazia, che imitato avevano il suo esempio; per cui spogliato Bartolomeo conte di Veglia, fu data quell’isola in contea a Lorenzo Tiepolo, figlio del doge, il quale sposò una nipote dell’imperatore di Costantinopoli; e all’altro figlio del doge stesso, Giovanni, fu concessa la contea di Ossaro.

Assegnano alcuni cronacisti all’anno 1247 un’altra ribellione di Candia, che altri notano accaduta nel 1240, la quale, mossa dagli insulani Giorgio e Teodoro Cortazzo, tanto furore d’armi si accese, che dovette il duca Marin Zeno uscire in campo per abbattere i rivoltosi. Ma caduto essendo in una imboscata coi migliori dei suoi, presero animo i ribelli siffattamente, che non fu dato domarli né a Marin Morosini, né a Pietro Zeno, al morto duca succeduto. Finalmente Marin Gradenigo, venuto dopo lo Zeno, ebbe il merito di vincerli, ma non però in modo che segretamente non tramassero una nuova alzata. E questa accade per opera di Alessio Calergi, il quale tenne Candia agitata fieramente per il corso di diciotto anni, senza che avessero giammai potuto i vari duchi che ressero quell’ isola ridurla in pace.

Durante il reggimento del Tiepolo si conchiuse vari trattati, e si stipulò nuove convenzioni. Dal soldano d’Aleppo si otteneva mitigazione di dazi, proprio fondaco, chiesa, forno e la residenza di un bailo per decidere le contese insorte fra i Veneziani (1229). Col principe di Barberia si conchiudeva vantaggiosissimo patto (1233); e non meno considerevole trattato si stabiliva con Malec-Adel soldano d’Egitto. Larghi favori si avevano da Padova e da Ragusi (1232): Trieste rinnovava il giuramento di fedeltà, e nuove larghezze concedeva al commercio veneziano (1233); e del pari ampie liberalità si conseguivano da Ravenna, e da Leone Cavalla signore di Rodi (1234); come da Recanati (1238) e dall’Armenia (1245).

La ducea del Tiepolo però si rese maggiormente famosa per la raccolta da lui fatta eseguire delle leggi, e pubblicata sotto il nome di Statuto. Poiché, quantunque si avessero altre collezioni di leggi, e lo Statuto dato fuori nel 1195 da Enrico Dandolo, pure per gli acquisti nuovi, per le nuove relazioni dei Veneziani con la terra ferma, per l’ampliazione dei commerci, e per la mutata condizione sociale, era d’uopo ordinare, correggere, dilucidare e compilare le varie leggi, in tempi diversi emanate, e ciò fu opera lodata del doge Tiepolo. Il quale a tanto incarico nominò Pantaleone Giustinian, Tommaso Centranico, Giovanni MichieI e Stefano Badoaro; e ne uscì quel corpo di leggi criminali, civili e processuali, che, con poche mutazioni, fu sempre in vigore fino allo spegnersi della Repubblica.

Oltre al corpo delle leggi da lui regolato, aggiunger si deve la istituzione di nuovi magistrati. Tali furono i Correttori della Promissione ducale, gli Inquisitori sopra il doge defunto, il Magistrato del Petizion e quello dei Cinque alla Pace. I primi, erano cinque, scelti tra gli uomini di maggior senno ed esperienza, e duravano in carica finché fosse compiuta la correzione, la quale aveva luogo ad ogni morte di doge, alfine di riformare la sua Promissione, o carta dei suoi diritti e doveri. I secondi, erano tre, ed avevano ufficio di sindacare la condotta, e darne lode o biasimo al doge defunto, secondo il comportamento da lui tenuto, e come cittadino, e come capo dello Stato. Il Magistrato del Petizion, che formava parte del corpo dei giudici della corte del doge, fu creato nel 1244, affine di sollevare da molti incarichi le altre due magistrature del Proprio e del Forestier; e si componeva di tre giudici. Finalmente i cinque alla Pace, avevano incarico di trattare le contese di lieve importanza, di rappattumare le risse, e di vegliare alla quiete interna della città.

Divenuto ormai vecchio doge Tiepolo, e, secondo alcuni, a cagione della perpetua sua amarezza per la fine funesta incontrata da suo figlio Pietro, rinunciava il ducato il dì 2 maggio 1249, e si ritirava alle sue case a santo Agostino, ove morì nel 1251. L’urna che contiene le mortali sue spoglie, unite a quelle di suo figlio Lorenzo, che fu doge esso pure, dopo Ranieri Zeno, checche ne dicano parecchi scrittori, venne scolpita e collocata nell’esterna fronte del tempio dei santi Giovanni e Paolo, dopo la morte di Lorenzo predetto, siccome si deduce dalla inscrizione scolpita sull’urna medesima.

Aveva doge Jacopo, fin dal giugno 1234, donato a fra Alberico, priore dei domenicani, un terreno coperto delle acque per fabbricarvi il tempio accennato dei Santi Giovanni e Paolo, il quale alla morte di esso doge era murato in gran parte. Anche l’isola di Santa Elena veniva concessa, nel 1233, da Marco Micheli, vescovo di Castello, a fra Demetrio, priore dei canonici regolari, affine potesse egli adunarvi i monaci dell’ordine suo. Giovanni, Maria e Lavinia Badoaro donavano del pari, nel 1236, un ampio terreno alla monaca Costanza, onde fondare, come fondava, la chiesa ed il cenobio di Santa Chiara; e l’anno appresso, si erigeva anche il monastero di Santa Maria della Celestia, per opera di Veniero Zeno, che fu poi doge; e si fondava pur anco, nel 1242, quello di Santa Anna da frate Jacopo da Fano.

Durante la ducea del Tiepolo fu travagliata la capitale da varie calamità, secondo testimoniano parecchie cronache antiche. E prima fu il terremoto accaduto nel 1233, che recò gravissime rovine ai fabbricati; poi, nel 1234, gelò la laguna in guisa che si poteva varcarla a piedi fino alla terraferma; il dì 23 settembre 1240, l’acqua crebbe tanto da giungere sopra le vie all’altezza di un uomo; e, finalmente, negli anni 1248-49, peste e carestia apportarono desolazione gravissima.

Il breve che si svolge dalla sinistra mano del ritratto del Tiepolo, dice con lieve differenza dal Palazzi:

ARMIS RECVPERO LADRAM, LEGESQVE REFORMO. (1)

(1) Il Palazzo Ducale di Venezia Volume IV. Francesco Zanotto. Venezia MDCCCLXI

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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