I Cavalli di bronzo della Basilica di San Marco
Marino Zeno il Rettore o Podestà di Costantinopoli, il rappresentante del governo di Venezia dopo la conquista di quella città, spedì da colà, ad abbellire la capitale dello stato veneziano, parecchi oggetti di belle arti, e parecchi di religione preziosissimi e ragguardevoli.
E, quanto ai primi, sarebbero da noverarsi molti pregiatissimi marmi, i quali adornano sino al dì d’oggi la nostra basilica marciana, ed altre statue di greco lavoro bellissimo e inapprezzabili, e i quattro famosi cavalli di bronzo dorato, che adornano la faccia della grandiosa basilica.
Stavano essi in quella metropoli, collocati nell’Ippodromo, ed ivi li aveva fatti collocare l’imperatore Costantino, quando, con la sede dell’impero, vi aveva trasportato anche le più rare cose di Roma. Varie furono le opinioni dei critici e degli archeologi circa l’origine di essi; sembra per altro abbastanza dimostrato, appartenere essi ai tempi di Nerone: qualunque cosa poi se n’abbia a dire dell’artefice, cui taluni riputarono Lisippo, o dell’uso, a cui nella loro origine fossero destinati. Pare che la primitiva loro destinazione fosse di essere attaccati al carro del sole, e di ciò fa eco la testimonianza di Plinio. Delle varie lor traslazioni fece parola il Ramusio, cosi scrivendo: “Si dice, che il carro fu portato da Alessandria di Egitto a Roma da Augusto 336 anni avanti la partenza di Costantino, quando avendo domato l’Oriente e vinti Antonio e Cleopatra, trionfo dell’Egitto e dell’Asia, ventisette anni innanzi che Cristo nascesse“. Ed aggiunge, che “finalmente esso carro coi cavalli fu posto sopra l’arco, che per ordine del Senato fu fatto in onore di Augusto“. E prosegue a parlare dei cavalli così. “Si dice che tolti dall’arco di Domiziano furono portati per, ornamento a quello di Trajano, e che Domiziano gli aveva levati da quel di Nerone, il quale dopo la morte di Augusto, gli aveva tolti da quello del medesimo Augusto. Costantino poi li levò dall’arco antico di Trajano, che egli ruino; e messili sopra il suo, fabbricato da lui stesso dopo aver vinto, presso il ponte Molle, il tiranno Massenzio“. Continua a dire “che andatosene poco, dopo a Bisanzio intorno agli anni di Cristo 310, levò via dall’arco il carro coi cavalli che lo tiravano … Furono questi cavalli con grandissime spese da principi portati innanzi, indietro, per mare e per terra, come si può giudicare dalla rottura dei piedi … Le medaglie antiche d’oro e d’argento di varie sorta, di Augusto, di Nerone di bronzo, di Domiziano e di Trajano hanno nel loro rovescio questo stesso carro con i cavalli e con il sole, usurpati a gara e messi sopra i loro archi per lo spazio di tre secoli“.
Lo storico Marin Sanudo, nella vita del doge Enrico Dandolo, ci fa sapere invece, che questi quattro cavalli erano stati fusi “in Persia, e quando i romani acquistarono la Persia, tolsero i quattro cavalli e li fecero portare alla marina. E fecero mettere sulle loro monete e medaglie nel rovescio i detti quattro cavalli e portali poi a Roma. Demum Costantino imperatore romano, quando, andò ad abitare a Costantinopoli, cioè a edificare la detta città, tolse i detti quattro cavalli di Roma e li portò con lui. Ed è opera eccellentissima, ben gittata e netta. Uno dei quali cavalli era sulla galera di ser Domenico Morosini sopracomito, e per sinistro si ruppe un piede di dietro. E giunti a Venezia e scaricati, furono posti sopra la chiesa di san Marco , sopra la porta dove sono al presente. E questo fu del …. Ma il detto ser Domenico Morosini volle tenere per memoria quel piede. Onde la Signoria ne fece fare un altro e aggiungerlo al cavallo, come al presente appare. Ed io ho veduto il detto piede sopra un modione su di una casa a sant’Agostino, che era di ser Alessandro Contarini quondam ser Carlo, il quale maritò una figliuola unica in ser Marco Tiepolo da santo Apostolo. Il quale, fabbricata la casa a santo Apostolo, fece togliere il detto piede da sant’Agostino e lo mise nella della sua casa sopra un modione di fuori a un cantone. Ma poi fu levato via, non so la cagione, e al presente il detto piede è ….” Né il testo adoperato dal Muratori, né l’autografo del Sanudo, che si conservano nella biblioteca marciana ci fanno sapere di più. Pare che ai suoi giorni se ne conoscesse l’esistenza di cui oggidì non rimase traccia veruna. Il dotto Morelli, bibliotecario della stessa marciana, già un mezzo secolo addietro, fece diligentissime indagini per venirne a saper qualche cosa; ma sempre invano.
Quanto al merito artistico di questi gloriosi monumenti della bizantina vittoria dei veneziani, aggiungerò qui le osservazioni dell’erudito nostro Zanotto, che in siffatto genere di cose merita molta stima. “Se si osservano poi i cavalli, facilmente si scorge che i getti riescono imperfetti, per cui convenne che l’artefice li restaurasse con tasselli evidentissimi e numerosi; cosa che conferma il supposto, essersi lavorati solto l’impero di Nerone, giacche sembra abbisognasse in Roma l’arte del fondere di singolar protezione, avendo egli chiamalo dall’Armenia il famoso Zenodoro, perché fondesse la sua statua colossale in bronzo per la casa aurea. Non è maraviglia dunque se tornavano imperfetti gli altri getti operati in quel tempo per mano di artisti inferiori. L’essere poi questi cavalli di tutto rame e coperti d’oro, sembra certamente più proprio di quell’età e di quel fasto, che di qualunque altro tempo; e particolarmente doversi erigere un monumento a Nerone, che aveva nel suo palazzo appartamenti su perni i mobili volgentisi ai diversi punti del sole ed irrorati da fontane d’acque odorose , non poteva ciò farsi abbastanza degnamente che con simulacri, i quali sembrassero d’oro. Se poi si prenda ad esaminare le forme e le usanze, vi si riscontrano appunto quelle che allora furono espresse in altri monumenti; il che dalle medaglie può chiarirsi e specialmente dalla particolarità non ommessa allora dei crini tagliati“. E proseguendo a dire di questi medesimi cavalli, soggiunge, che essi poi “sempre frutto della vittoria, furono mossi più di una volta per l’ingrandimento delle nazioni. Cosi vennero recati a Venezia alla caduta del greco imperio; così abbandonarono la città nostra allorquando ebbe fine tanto gloriosa repubblica, e così rividero di nuovo questo patrio cielo al volgersi della napoleonica sorte“. E infatti, nel 1797 furono trasferiti a Parigi, e nel 1815 vennero ricondotti a Venezia. (1)
(1) GIUSEPPE CAPPELLETTI. Storia della Repubblica di Venezia. Volume secondo. Stabilimento Antonelli Venezia 1850.
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