Le botteghe da caffè a Venezia

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Vittorio Bressanin (Musile di Piave, 2 dicembre 1860 – Venezia, 16 agosto 1941). La bottega da caffè

Le botteghe da caffè a Venezia

I veneziani introdussero in Europa l’uso del caffè nella seconda metà del Cinquecento.

La prima documentazione che viene fatta del caffè nei documenti veneziani si trova in una relazione del 1585, mandata al Senato dal Bailo di Costantinopoli, Gianfrancesco Morosini. Eli scrive che i Turchi usano bere “un’acqua negra, bollente quanto possono soffrire, che si cava da una semente che chiaman “Kahvè” la quale dicono che ha la virtù di far stare l’uomo svegliato“.

Nel 1638 già si vendeva il caffè a Venezia, ma a prezzo altissimo e come medicinale. Si usava nelle nevralgie e negli imbarazzi di stomaco.

Poi a poco a poco l’uso dell’aromatica infusione si estese tra il patriziato ed i cittadini, con grande gioia del fisco che cominciò a ritrarne lautissime rendite. 

 Nel 1863 c’era una sola bottega da caffè sotto le Procuratie Nuove, ma pochi anni più tardi quasi tutte le botteghe di Piazza erano adibite allo smercio della “turca bevanda“.

Sotto le Procuratie Vecchie, nel Settecento, si annoveravano le botteghe da caffè nominate: Re di Francia, Regina d’Ungheria, Orfeo, Redentore, Coraggio, Speranza, Arco Celeste, Quadri; sotto le Procuratie Nuove: Angelo Custode, Duca di Toscana, Buon Genio, Doge, Imperatore, Fontana di Diana, Dame Venete, Aurora, Arabo, Piastrelle, Pace, Venezia Trionfante poi chiamata Florian.

Fra tanta abbondanza di “cafeterie“, quasi tutte scomparse, quelle che conservarono vita e rinomanza sono il Florian e il Quadri. Il primo fu fondato nel 1720 da certo Floriano Francesconi sotto le Procuratie Nuove. Diventato famoso per l’eccellenza della bevanda e la bontà del servizio, accolse nelle sue sale il fior fiore della cittadinanza. Siccome invalse l’uso di dire “Andemo da Florian” per insegna fu adottato in seguito il nome del fondatore.

Il secondo sorse nel 1725 per opera di certo Giorgio Quadri, levantino di Corfù. Venuto a Venezia dalla natia isola, egli acquistò la proprietà di tre arcate sotto il pittoresco portico di Pietro Lombardo e vi aprì una bottega che ebbe nome dal proprietario. La fortuna non tardò ad arridere al Quadri che seppe ammanire per la prima volta ai veneziani il vero “caffè turco“. Il Quadri diventò ben presto il ritrovo preferito dei nobili, dei cittadini e degli orientali residenti o di passaggio a Venezia.

Altri caffè comparvero a Venezia con l’andare degli anni (più di duecento) ciascuno dei quali ebbe una fisionomia propria intonata all’umore dei clienti.

In essi si faceva della letteratura, dell’arte, della politica, della maldicenza, quando non si giocava d’azzardo e non si combinavano trucchi d’amore.

Alcune botteghe (dice il Tassini) avevano certi canerini appartati, nei quali, oltre che a Dio del Gioco, si sacrificavano a Voluptia e Citorea; camerini che a più riprese vennero proibiti dalla Repubblica“.

Nelle sale del Quadri e del Florian si assisero in ogni tempo scienziati, artisti, uomini insigni di ogni nazione: Baretti, Gozzi, Casanova, Parini, Pindemonte, Manin, Tommaseo, Foscolo, Byron, Goethe, Canova, Berchet, Zanella, Pellico ecc. E accanto a tanti illustri personaggi, quante brillanti nullità!

La storia dei caffè veneziani è ricca di episodi curiosi che richiedono una più accurata ed ampia recensione.

Per intanto citeremo alcuni versi magnifici dedicati al Florian da Attilio Sarfatti. Essi descrivono la vita frivola e giocosa dei caffè veneziani, quale si poteva ancora ammirare e gustare mezzo secolo fa.

Anche questa poetica composizione può considerarsi una Curiosità veneziana:

Simpatico cafè pien de memorie
dove se unisse tute le nazion,
dove galegia centomile borie
e per sapiente passa ogni mincion,
ne le to bele camare la zente
capisse el proverbial dolce fa gnente
e destira la fiaca a ciacolar,
convinta che no resta altro da far.

I bei veceti, i veci tirai su
che sente ancora el sangue ne le vene,
che sente viva in cuor la zoventù
e da ‘l tempo no vol pesi o caene;
i veci forti ancora e prosperosi,
che se scalda e se impizza cofà i tosi
vien al cafè, se unisse ai zovenoti
e ciacola de done e di ridotti.

Ma quei che sente su le grame spale el peso dei setanta ani calar
e se strassina in sta noiosa vale
sospirando che in drio no i pol tornar,
quei là dì e note parla, se dileta
a semenar le idee de la “Gazeta”,
e per bisogno e impulso natural
beve el cafè, tabaca e dixe mal.

Qua i zovenoti ciacola, se move,
fuma, leze i zornai, pisola e zoga;
qua i toseti, che fa le prime prove,
mormora de le femene più in voga.

Qua se pesa e conosse tuti quanti,
dal borghese al patrizio sempre in guanti
e per passare el tempo alegramente
se fa de tuto per no far mai gnente. (1)

(1) ATI. IL GAZZETTINO, 27 settembre 1927.

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