Pozzo nel primo chiostro del Convento dell’Isola di San Francesco del Deserto

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Pozzo nel primo chiostro del Convento dell'Isola di San Francesco del Deserto

Pozzo nel primo chiostro del Convento dell’Isola di San Francesco del Deserto

Vera: in pietra d’Istria di forma cilindrica con una cornice quadrata con quattro archi sui lati e quatto vele agli angoli. Su un lato della vera dei resti di un sistema di pompaggio. Base: circolare. Copertura: lastra metallica convessa. Una struttura in ferro sovrastante il pozzo regge una carrucola. (1)

Isola di San Francesco del Deserto. Verso il Canale dei Tre Porti, si disegnano nettissimi sul cielo, delicatamente suffuso di rosa i di viola, i cipressi dell’isoletta di San Francesco del Deserto. La memoria del più santo fra tutti i santi del cristianesimo consacra questo lembo di terra verdeggiante, teatro non indegno di quel suo ascetismo, che s’effondeva in dolcezza d’amore per tutte le belle cose create, per tutte le belle cose della natura. Anche qui è nell’aria il “mite solitario alto splendore” in cui l’anima del fraticello d’Assisi si levava nell’appassionata adorazione di Dio; anche qui egli tese le sue braccia al dio presente nelle sue creature.

Raccontava infatti la tradizione che Francesco, tornando, nel 1220, dalla Soria e dall’Egitto verso l’Italia, con frate illuminato da Rieti suo discepolo, prese imbarco in una nave veneziana, che trovò in Alessandria pronta a salpare. La nave entrò nella laguna per il porto dei Tre Porti e gettò l’ancora presso Torcello.

Anche si vuole che, essendo su le acque una fiera tempesta, Francesco si mettesse ginocchioni a pregare; e di subito la bufera cadde, si fece gran bonaccia intorno, e i passeggeri scesero per ristoro in quest’isoletta, che li invitava con l’amenità dell’aspetto. Ed ecco che, al giungere dell’asceta, il sole scintilla su la laguna e tutti gli uccelletti che fanno il nido tra la folta verzura si mettono a cantare soavemente, salutando coi i loro gorgheggi l’amico, il santo degli umili e dei buoni, colui che nella sua divina ingenuità chiedeva alle tortore sul mercato “Sorelle mie, perché vi lasciate voi pigliare?“. San Bonaventura aggiunge che Francesco disse allora al suo compagno “Gli uccelletti fratelli nostri lodano col canto il loro creatore; e anche noi, camminando in mezzo a loro, cantiamo le lodi a Dio“. Gli uccelletti si fermarono sui rami interno ai due pellegrini, e seguitavano a cantare per la gioia così rumorosamente che Francesco dovette ammonirli: “Uccelletti fratelli, lasciate di cantare sinché noi non abbiamo finito le lodi di Dio“. E quelli si tacquero, e non ripresero a cantare, se non quando ne ebbero licenza da lui.

Il glorioso poverello di Cristo si trattenne alcun tempo nell’isola, nella quale esisteva già un oratorio, e che era posseduta da due patrizi, Jacopo di Giovanni Michiel e un Rodolfo, del quale s’ignora il casato; vi costruì di sua mano una capanna di giunchi cementati col fango, per sua dimora, e vi operò anche parecchi miracoli. Fece affluire le acque, con gran giubilo di quegli isolani, delle lagune, che erano rimaste asciutte e impaludate. Conficcò in terra un suo bastone di pino, tagliato sulle coste d’Albania, e quello rigermogliò in pianta verde, mise radici, crebbe mirabilmente e fu per secoli oggetto della venerazione dei fedeli. Più tardi, tornato che egli fu nell’Umbria, alcuni frati minori vennero in questo luogo che gli era piaciuto, e quando egli fu santificato, nel 1228, Jacopo Michiel donò tutta l’isola ai Francescani e vi fondò una chiesa, alla quale si aggregò un monastero di Minori conventuali.

L’antico nome conviene ora più che mai all’isola, spopolata dalla malaria, ultima e sola in fondo alla laguna. Le gira tutt’intorno un argine, donde l’occhio spazia su le acque abbaglianti di riflessi argentini, sui dorsi paludosi, coperti d’alte erbe, che sembrano rampollare dal seno stesso dell’onde su la terra fiorente di Sant’Erasmo: più lungi spiccano le mura bianche delle saline. Una rigogliosa vegetazione di cipressi secolari, gloria e ornamento estremo dell’isola, s’inselva intorno al convento, quasi a proteggerne la quiete; e la chiesetta si leva modesta in mezzo all’erbe alte e agli alti alberi, tre dei quali, rubesti vegliardi, sono stati percossi dal fulmine, ma si appuntano ancora incontro al cielo.

Passando tra quei cipressi, pieni di nidi invisibili, da cui muove su l’alba il cinguettio caro al fraticello d’Assisi, si ha veramente l’impressione di allontanarsi dal mondo errante e di penetrare in un luogo di pace sovrumana. I poche frati, che si aggirano pel romitaggio, sembrano anch’essi fiochi per lungo silenzio. Su la porta del convento si leggono le parole dei cenobiti: O beata solitudo! O sala beatudo! Elongavi fugiens et mansi in solitudine; e la campanella dà tenui rintocchi, con voce così discreta, che appena di dilunga nel gran deserto. Si entra da prima in un chiostro basso e disadorno, poi un altro, chiusa da una bellissima loggia a colonne con larghi capitelli: una specie di capanno protegge gli avanzi del pino miracoloso, che crebbe dal bastono di San Francesco. Meno attraente è la chiesetta, dove una brutta statua di legno del Santo è custodita in una cella, con la scritta: Hic est locus ubi oravit seraphicus Franciscus. (2)

(1) ConoscereVenezia

(2) P.Molmenti – D. Mantovani: Le isole della laguna veneta. Istituto Italiano di Arti Grafiche (Bergamo, 1904)

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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