Chiesa di San Gregorio

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Chiesa di San Gregorio - Dorsoduro

Chiesa di San Gregorio. Monastero di Monaci Benedettini. Chiesa e Monastero secolarizzati

Storia della chiesa e del monastero

Prima che dalla città di Malamocco trasferita fosse la sede ducale in Venezia nell’anno 809, già l’ordine di San Benedetto si era stabilito in un’isoletta delle venete lagune, dal nome del santo titolare della chiesa ivi fondata volgarmente detta Isola di San Servolo. L’epoca della fondazione del monastero, per la mancanza di documenti, non ci è palese, e solo si fa dalla Cronaca del doge Dandolo, che Angelo Participazio, il primo dei dogi che risedesse in Rialto, commiserando le ristrettezze, nelle quali per l’angustia delle fabbriche vivevano i tanti devoti monaci abitanti in San Servolo, donò nell’anno 819 a Giovanni abate l’Isola di Sant’Ilario, luogo posto negli estremi confini delle lagune, perché ivi col numero stuolo dei suoi monaci potesse più quietamente servire a Dio.

Imitatore del padre negli atti di religione Giustiniano Participazio figlio, e successore del sopra lodato Angelo, lasciò per sostentamento dei monaci in pio legato rilevanti rendite, avendo prima anche in vita beneficiato il monastero con amplissimi privilegi d’intera esenzione.

Avendo poi l’attenzione degli abbati acquistate al monastero dilatate possessioni nei vicini territori di Padova, e di Trevigi, Pietro abate del monastero (che era denominato allora con doppio titolo dei Santi Ilario, e Benedetto) impetrò nell’anno 1110 dall’imperatore Enrico V, che con nuovo diploma confermare volesse l’esenzioni tutte, ed i privilegi accordati al monastero da Carlo, da tre Ottoni, e da cinque Enrichi di lui precessori nell’impero romano. Avendo poi nell’esame dell’antiche carte riconosciuto l’imperatore, essere state dal vescovo di Trevigi ingiustamente offese le prerogative del monastero, chiamato a sé il vescovo l’obbligò a lasciar libere all’abbate tutte le giurisdizioni a lui competenti. Fu poi l’imperiale diploma di Enrico V ad istanza d’Ugerio abate confermato, ed ampliato nell’anno 1136 da Lotario di questo nome III, imperatore dei romani, il di cui diploma fu dall’eruditissimo Conrado Gianningo inserito negli atti di Sant’Ilario vescovo di Padova nel Tomo V di giugno, ove stabilisce, che questo santo vescovo di Padova fosse il titolare della chiesa e monastero, posti nelle lagune venete, e che alla visita di essa chiesa si portasse ogni anno con particolar solennità il doge e il senato nella Festa dei principi degli apostoli San Pietro, e San Paolo. Comunque sia la cosa, né della distinzione del santo titolare, né della pretesa annuale visita fanno menzione veruna gli storici, ed i cronologi, che scrissero abbondantemente delle antiche cose veneziane; e che ci ragguagliano, essere stati in questo monastero sepolti quattro dogi di Venezia, cioè Angelo Participazio donatore, e fondatore del luogo, Giustiniano Participazio di lui figlio, Pietro Candiano di questo nome IV, e Vitale Candiano, il quale dopo un anno e due mesi di principato vestì l’abito, e professò la regola di San Benedetto, ed aggravato sentendosi da pericolosa infermità passò a Sant’Ilario, ove dopo quattro giorni rese l’anima a Dio, e fu ivi sotterrato.

In quei medesimi tempi, che per concessioni ed acquisti si rendeva sempre migliore lo stato del monastero, la Repubblica di Venezia dichiarò la guerra nell’anno 1144, contro dei Padovani, per aver questi in vicinanza del Monastero di Sant’Ilario introdotto il fiume Brenta con nuovo alveo a danno delle lagune; ma essendosi poco dopo conclusa la pace, restò tra le altre condizioni stabilito, che si dovessero dal comune di Padova riguardare, e proteggere gli abati di Sant’Ilario come suoi cittadini, ed a vantaggio del monastero fosse concessa la quarta parte dei noleggi di tutte le barche, che da Noventa, villaggio del padovano, navigassero verso Venezia nei mesi di aprile, maggio, ed agosto.

Sin da questi tempi, come consta da pubblici autentici documenti la Chiesa parrocchiale di San Gregorio situata in Venezia, era soggetta all’assoluta giurisdizione degli abati di Sant’Ilario, che la denominavano secondo lo stile di quei secoli loro ubbidienza; il che pure viene confermato dal diploma di Alessandro papa III, dato in Venezia nel giorno 5 di ottobre dell’anno 1177, con cui ricevendo sotto la protezione di San Pietro il Monastero di Sant’Ilario insieme con tutti i beni di esso, questi in primo luogo dichiara nominatamente la Chiesa di San Gregorio con tutte le sue pertinenze. A qual tempo debba assegnarsi l’origine della Chiesa di San Gregorio non ci è noto; ma per attestato del doge Dandolo sappiamo esser ella antichissima, e fabbricata avanti il principato del doge Pietro Tribuno, il quale nell’anno IX di suo governo, che fu di Cristo l’anno 897, volendo render sicura la città di Venezia dagli improvvisi assalti dei nemici, fece innalzare un muro dal canale, o come volgarmente si chiama dal Rio di Castello fino alla chiesa di Santa Maria Giubenico, e disporre una forte catena di ferro, che principiando dal fine del predetto muro veniva a terminare al confine della Chiesa di San Gregorio situata dalla parte opposta del Canale.

Dopo la sopra riferita epoca del diploma di papa Alessandro III, si leggono molti documenti degli anni posteriori, nei quali si vedono insieme coll’abate di Sant’Ilario sottoscritti il priore, e qualche monaco di San Gregorio; dal che si rileva, che anche prima della sovversione del celebre Monastero dei Santi Ilario, e Benedetto fosse la Chiesa di San Gregorio officiata da Monaci Benedettini ivi abitanti.

Confermarono poi i privilegi concessi dai loro antecessori al monastero due imperatori Henrico VI nell’anno 1196 ad istanza d’Umberto abate, ed Ottone IV nell’anno 1209. a preghiera dell’abbate Teonisto, nel di cui governo cominciò l’abbazia ad essere violentemente infestata da un uomo prepotente nominato Giacomo di Sant’Andrea. Ansioso questi d’occupare alcuni beni del monastero, ed entrato in esso violentemente di notte, minacciò l’abbate di morte, se non accordava le sue ingiuste pretese; onde poté bensì l’abate Teonisto fuggirgli dalle mani, ma volle poi rinunziare più toso alla sua dignità, che aderire ai perversi voleri dell’uomo iniquo. Continuò egli le sue ingiuste violenze anche sotto tre abbati successori di Teonisto, dei quali l’ultimo costretto dalle insoffribili molestie ricorse all’autorità suprema del pontefice, ed unitamente al vescovo di Castello, sotto la di cui giurisdizione in particolar maniera era posto il monastero, espose lo stato infelice, a cui era ridotto, impetrando di poter coi suoi monaci ridursi ad una certa sua ubbidienza situata nella diocesi castellana, e fornita d’abitazioni ed officine necessarie per la vita monastica. Accettò il pontefice Innocenzo III, e con sue lettere segnate nel giorno 12 di gennaio dell’anno 1215, commise al patriarca di Grado, ed all’abate di San Felice di Ammiano, che verificate le particolarità allegate, concedessero d’autorità apostolica all’abbate, ed ai monaci dei Santi Ilario, e Benedetto libera facoltà di trasferirsi alla Veneta ubbidienza; provvedendo però, che nel monastero abbandonato si officiasse con sacri ministri assegnati.

Mentre ciò andava trattandosi, insorsero a turbar la quiete della chiesa cattolica gravissime discordia fra l’imperatore Federico di questo nome II ed il pontefice Gregorio IX a favore del quale essendosi dichiarata la pietà della Repubblica Veneziana, sdegnato l’imperatore spinse potenti esercito ai confini delle lagune nel territorio di Padova; ma ritrovate ivi disposte valide difese, ritirò l’esercito imperiale, e per allora restò illeso il Monastero di Sant’Ilario, il quale però poco dopo dalla diabolica furia del Tiranno Ezelino giurato nemico della chiesa, e del nome veneziano, restò nell’anno 1247 interamente atterrato, e ridotto ad uso di militare fortezza.

Già si erano precedentemente l’abate Leone e tutti i monaci per loro salvezza ritirati in Venezia, né potendo più avere speranza alcuna, che il desolato loro monastero dalle sue rovine risorgesse quivi determinarono di stabilire la loro permanenza.

La disgrazia del sacro luogo desolato servì di pretesto al patriarca di Grado per ottener dal pontefice Alessandro IV, che il Monastero dei Santi Ilario e Benedetto soggetto alla giurisdizione della chiesa Castellana, e tanto in spirituale, quanto in temporale distrutto, gli fosse concesso per ritenerlo finché vivesse. Dalla concessione apostolica sentissi aggravato Tommaso Arimondo, allora vescovo di Castello, e con umile rimostranza rese noto al pontefice, che il predetto monastero (intendeva egli del formale già trasferito a San Gregorio) era abbondante così nello spirituale, che nel temporale, e che dalla stabilita assegnazione venivano inseriti gravissimi pregiudizi alla chiesa castellana. Per cui poi l’equità del sopra lodato papa con nuovo diploma nel giorno 5 di novembre dell’anno 1259 rivocò la concessione fatta, e lasciò il monastero nella piena sua libertà.

Da questo tempo poi cominciarono gli abbati a chiamarsi ora col titolo antico dei Santi Ilario, e Benedetto, ora con quello di San Gregorio; come nei pubblici documenti si leggono enunziati Prando abbate successore di Leone, e dopo di esso Fridiano, il quale dopo avere per il corso di 40 anni amministrato con lode, e profitto il Monastero di San Gregorio, fu dichiarato vescovo di Cittanova nelle Lagune.

Susseguitò a Fridiano l’abate Biagio, che in un titolo solo raccogliendo i diversi nomi dei Santi si fece chiamare abbate dei Santi Illario, Benedetto, e Gregorio, denominazione, che passò nei di lui successori, e nel monastero; come si legge in un documento chiamato privilegio, col quale Francesco da Carrara vicario imperiale di Padova nell’anno 1364, concesse facoltà (o piuttosto obbligò con forza) a Pietro abbate del Monastero dei Santi Ilario, Benedetto e Gregorio di Venezia di permutare alcuni beni di sua Abbazia con un cittadino di Padova chiamato Francesco Donne bone; trattato, che essendo riuscito di sommo discapito all’innocente interesse del monastero, ottenne poi il Senato Veneziano nell’anno 1390, da Francesco Carrarese il giovine, che fossero restituiti, e riuniti all’Abbazia. Ad Ilario abate, per la di cui diligenza si recuperarono i beni distratti, e che poi nell’anno 1406 fu dichiarato arcivescovo di Corfu, succedettero l’un dopo l’altro Giovanni Loredano, Leonardo dalla Torre, ed Andrea Bon uomo dottissimo, quale dopo aver con lode di prudenza amministrati iMonasteri di San Michele di Pola, e dei Santi Felice e Fortunato di Vicenza, fu chiamato all’Abazia di San Gregorio, e per il merito di sua virtù fu scelto per vicario generale della diocesi castellana da San Lorenzo Giustiniano, allora vescovo di Venezia.

Fu questi l’ultimo degli abbati regolari, dopo la morte del quale il chiarissimo monastero decaduto miseramente in commenda pervenne in possesso di Girolamo Lando arcivescovo di Candia, nominato nei pubblici registri dell’anno 1450. Amministratore perpetuo dell’Abbazia di San Gregorio. Gli altri poi, che successivamente ottennero le rendite dell’infelice monastero, si chiamarono abbati commendatari, dei quali il primo Bartolommeo Paruta eletto nell’anno 1455 da Callisto III, per interposizione di Filippo Paruta arcivescovo di Candia suo zio, diede singolari esempi di ecclesiastica liberalità, ristorando la vecchia chiesa, e fabbricando dai fondamenti la cappella maggiore; e fu poi adornata del titolo arcivescovile di Filadelfia. (1)

Visita della chiesa (1733)

Ha sette altari e ricca di quadri pregevoli. Il quadro sopra la porta maggiore con Cristo all’Orto è di mano di Andrea Vicentino; l’altro appresso è di mano pure dello stesso con Cristo, che lava i piedi agli Apostoli. Vi è una tavola dell’Assunta con due quadri per parte; uno con Cristo flagellato alla colonna; l’altro con Cristo Crocifisso, opere tutte e tre di Antonio Foller. La tavola con la Madonna, San Bellino vescovo e Sant’Antonio di Padova è opera di Pietro Ricchi. Sopra l’altare di San Bellino vi è una tavola grande con la coronazione della Vergine, opera mal conservata della maniera dei Vivarini. Segue la Risurrezione di mano di Domenico Tintoretto. All’altare maggiore la Comunione degli Apostoli in tre comparti è del Cav. Bambini, e così la Trasfigurazione, e l’Ascensione di Cristo in due simili pezzi. Sono ancora nelle facce del tabernacolo vari quadri del suddetto autore. Dalla parte destra di detto altare vi è la Manna nel deserto di Pietro Ricchi e dall’altra parte Santa Fosca di mano di Nicolò Renieri, ambedue allungati per alto, quasi la metà, da altro autore. Il quadro con la Moltiplicazione del pane, e del pesce è delle migliori cose di Domenico Tintoretto. Il Lazzaro resuscitato è opera bella dell’Aliense lodata da Paolo Veronese. Sopra gli archi della Cappella maggiore, e delle contigue vi sono due gran quadri, uno con San Gregorio papa, ed altri Santi inginocchi dinanzi a Maria Vergine; e l’altro con Venezia, e molti Santi ancora, che miravano la Santissima Trinità, opere insigni del Cav. Bambini. Nella scuoletta dove si cantano le Litanie vi è la tavola con l’apparizione di Cristo alla Maddalena opera di Bonifacio. (2)

Eventi più recenti

Nel 1808, epoca della prima concentrazione delle parrocchie, la bella chiesa venne spogliata di ogni sua opera d’arte, ed adibita ad officina della zecca per la raffineria dell’oro.

Dopo il restauro degli anni 1959-60 fu adibita a laboratorio di restauro della Soprintendenza per i beni artistici e storici di Venezia. Oggi risulta da tempo in disuso. (3)

(1) FLAMINIO CORNER. Notizie storiche delle chiese e monasteri di Venezia, e di Torcello tratte dalle chiese veneziane e torcellane (Padova, Stamperia del Seminario, 1763).

(2) ANTONIO MARIA ZANETTI. Descrizione di tutte le pubbliche pitture della città di Venezia ossia Rinnovazione delle Ricche Miniere di Marco Boschini (Pietro Bassaglia al segno di Salamandra – Venezia 1733)

(3) https://it.wikipedia.org/wiki/Chiesa_di_San_Gregorio_(Venezia)

 

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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