Chiesa e Convento di San Sebastiano vulgo San Bastian

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Chiesa di San Sebastiano vulgo San Bastian - Dorsoduro

Chiesa di San Sebastiano vulgo San Bastian. Convento di Padri della Congregazione di San Girolamo. Convento secolarizzato

Storia della chiesa e del convento

Il credito di singolare pietà, che acquistò sino dai suoi principi la Congregazione dei poveri eremiti, fondata sotto la protezione dei Dottor massimo San Girolamo e dal Beato Pietro Gambacurta da Pisa, indusse nell’anno 1393 un religioso del Terzo Ordine Serafico nominato fra Angelo di Corsica ad abbracciare l’istituto. Abitava egli con altri frati dello stesso Terzo Ordine nel territorio di Rimini in un romitaggio a lui donato da Carlo Roberto Malatesta, signore di quella città; ma tosto che diede il nome alla nuova religione se ne partì per portarsi con alcuni compagni a Venezia, desideroso di fondarvi un religioso domicilio per la congregazione da lui abbracciata. Furono i buoni religiosi accolti con tanto applauso dai cittadini di questa metropoli, finché poterono nello stesso anno del loro ingresso comprare con le elemosine dei fedeli una casa assai capace nella parrocchia di San Raffaele, ed il dominio stesso porse sollievo alla loro povertà con utili privilegi.

Ciò ottenuto dalla pubblica e privata pietà, fu poi destinato primo rettore della nuova casa Arcangelo da Gubbio, in di cui luogo sottentrò Benedetto di Sicilia quarto fra i discepoli del Beato Pietro, che per ordine di lui venuto a Venezia per presedere alla stabilita fondazione, si affaticò per cinquanta e più anni al di lei compimento. Perché però il possesso della casa acquistata avesse perpetuamente a continuare nella Congregazione dei poveri eremiti, il sopra lodato fra Angelo di Corsica la offrì in dono alla Basilica Lateranense di Roma nell’anno 1396, e poco dopo nello stesso anno l’ottenne dal capitolo di quei canonici ad oggetto di poter in essa fabbricare una chiesa sotto il titolo di Santa Maria Piena di Grazia e di Misericordia, anzi perché un’opera sì religiosa andasse con celerità progredendo, concedette il capitolo stesso in vigore dei pontifici indulti spirituali indulgenze a chiunque con pie elemosine ne promovesse la fabbrica; e stabiliti per fondatori di essa fra Giovanni di Ravenna, ed il pio sacerdote Leonardo Pisani nobile veneto, impartì loro facoltà di benedire, e collocare la prima pietra nei fondamenti della chiesa.

Dopo ciò il buon religioso Angelo di Corsica con solenne cessione rinunziò in mano del Beato Pietro non solo la casa di Venezia, ma anche quattro altri romitaggi da lui acquistati nei territori di Rimini, Urbino, Pesaro, e Ferrara, trasferendoli dal Terzo Ordine di San Francesco alla Congregazione dei poveri Eremiti di San Girolamo; donazione, che fu poi confermata e convalidata nell’anno 1432 dall’autorità del pontefice Eugenio IV. Anche con altri Apostolici privilegi favorì questo pontefice il nascente monastero. Poiché nell’anno 1438, concesse a Bartolo di Cesena povero eremita, ed ai di lui compagni il poter fabbricare una cappella, o un oratorio nel fondo da essi acquistato dentro i confini della Parrocchia di San Raffaele Arcangelo.

Passati poi pochi anni, desiderando i religiosi eremiti dilatare in un fondo acquistato dal collegio capitolare di San Raffaele il ristretto loro oratorio, vi si oppose il piovano, e l’affare di tal litigio fu  dal sopra lodato pontefice Eugenio, a cui ricorsi erano i poveri eremiti, rimesso al giudizio del santo vescovo di Castello Lorenzo Giustiniani. Veduto dunque personalmente il luogo, ed esaminate le ragioni di ambe le parti, decise nell’anno 1444 il santo prelato, che desistere si dovesse dalla fabbrica del nuovo oratorio già cominciata; ma perché gli eremiti avessero un comodo luogo ai loro spirituali esercizi, dilatare potessero l’oratorio superiore, che possedevano, a cui poscia il piissimo arcivescovo di Candia Fantino Dandolo assegnò un’annua rendita di ducati trentadue d’oro per l’uffiziatura di una messa quotidiana da celebrarsi in esso oratorio.

Scorso poi qualche tratto di tempo, ottennero con loro suppliche i poveri eremiti nel giorno 26 di agosto dell’anno 1455 da papa Callisto III potersi fabbricare una chiesa a piana terra, ove potessero (essendo già per la maggior parte sacerdoti) celebrare la messa, ed i divini uffizi con quell’ampia facoltà, che loro concedeva la sede apostolica. Si cominciò tosto il nuovo sacro edificio sotto l’invocazione del Martire San Sebastiano, e quantunque ideato fosse in assai magnifica forma, pure si vide ridotto alla sua perfezione nell’anno 1468, benché poi mancante e bisognoso estremamente dei sacri arredi, al provvedimento dei quali il pontefice Paolo II, nel giorno 12 di ottobre dell’anno suddetto eccitò la pietà dei fedeli con la concessione di spirituali indulgenze. Con quali aiuti compissero i poveri religiosi così prestamente una chiesa di tanto dispendio, si rileva chiaramente da un decreto, con cui il Consiglio di Dieci nel giorno 18 di gennaio dell’anno 1470 a stile Veneto ad istanza dei poveri religiosi frati di San Sebastiano, quali d’elemosine ricavate s’avevano fatta fabbricare in contrada di San Raffaele una chiesa sotto il titolo di San Sebastiano, permise loro, che potessero instituire una scola sotto il nome dello stesso glorioso Martire, perché a di lui intercessione preservata fosse la città dalla pestilenza, e gli poveri frati suddetti avere potessero il loro vito. E ben dimostrò il santo martire quanto fosse il valor del suo patrocinio contro il morbo epidemico, allorché nell’anno 1630 inserendo la peste nella città di Venezia, una quantità di popolo, che accorse supplichevole a questa chiesa restò liberato, o preservato dall’universale disgrazia, del che ne fu in grata riconoscenza del beneficio in un marmo affisso alla chiesa incisa la memoria.

Ridotta dunque ad assoluto compimento la chiesa, né potendo il patriarca Maffeo Gerardi troppo avanzato negli anni incontrare la faticosa funzione di consacrarla, ottennero i religiosi nell’anno 1483 dal pontefice Sisto IV di potere chiamare ad eseguirla qualunque cattolico prelato, quantunque poi di tale facoltà per allora non si servissero, essendo poi stata consacrata solennemente nel giorno 19 di aprile dell’anno 1562 da Giovanni Francesco dei Rossi vescovo Aurense.

Essendo poi in questo frattempo insorte alcune differenze col capitolo della parrocchiale, restarono queste nell’anno 1486 interamente sopite collo stabilito censo di sei libbre di cera bianca da offrirsi alla suddetta chiesa parrocchiale annualmente dai religiosi di San Sebastiano nella festa del santo Arcangelo titolare, quale annuale contribuzione restò poi tolta nell’anno 1495 con l’assegnazione di certa rendita, così stabilito avendo Bartolomeo Paruta arcivescovo di Filadelfia, e Leonardo da Vicenza abate di San Giorgio Maggiore, giudici delegati in tale controversia dalla sede apostolica.

Per ritornar al godimento di quei privilegi, che avevano ottenuto fino dalla loro origine i poveri eremiti dal capitolo della Basilica Lateranense, e dai quali erano decaduti a cagione della mutazione del titolo imposto alla nuova chiesa, supplicarono per mezzo del procuratore generale della congregazione i religiosi del veneto monastero al capitolo suddetto, che le prerogative già concesse all’antico Oratorio di Santa Maria Piena di Grazia e di Misericordia, restassero rinnovate a favore, e a decoro della nuova chiesa fondata sotto il titolo di San Sebastiano, il che con nuovo diploma di quei canonici fu accordato nel giorno 22 di maggio dell’anno 1493.

Fu consacrato poi l’altare di San Sebastiano, e benedetto il monastero nell’anno 1527 da Michele Jorba spagnuolo della stessa Congregazione del Beato Pietro da Pisa, e Vescovo Arcussense, suffraganeo allora del cardinal Giuliano Soderini vescovo di Vicenza. Gli altri altari ebbero lo stesso decoro dell’ecclesiastica consacrazione nel giorno 15 di novembre dell’anno 1531 da Giulio d’Uncino vescovo di Caorle.

Di molte e preziose reliquie fu arricchita questa chiesa, fra le quali le più venerabili sono; una spina della Corona del Signore, ed un frammento notabile della di lui salutifera Croce.

Un osso del titolare San Sebastiano, lasciato a questa chiesa da Marin Sanudo il celebre cronologo delle cose venete nel suo testamento con questi sensi: lascio alla Chiesa di San Sebastiano una degnissima Reliquia, che è un osso di San Sebastiano posseduto già dalla Dogaressa moglie del Doge Cristofaro  Moro, la quale era della Famiglia Sanudo, e per esso la nostra casa fu sempre preservata dalla peste, e non glielo avendo dato in vita, voglio che li sia data, così avendo fatto voto nella mia malattia.

Un osso di San Procoro diacono dei sette primi e martire. Un osso di Santa Caterina vergine e martire, e molte altre porzioni d’ossa di diversi santi.

Professarono vita eremitica in questo monastero il Beato Paolo Quirini, ed il venerabile Giovanni Batista Cornaro, nobili veneti. Di questi il primo chiamato al secolo Nicolò appena entrato nella Congregazione dei poveri Eremiti vi si distinse colo splendore di tutte le virtù, né in tutto il corso di sua vita si rallentò giammai da quel fervore di divozione, e di osservanza, che intraprese fin dai principi della sua vita religiosa. Morì poi circa l’anno del Signore 1469 con tal fama di straordinaria pietà, che non solo dagli scrittori dell’ordine suo, ma dagli autori anche estranei viene decorato col titolo di beato, e le di lui immagini si vedono nei monasteri di Padova, Ferrara, e Foligno circondato di raggi.

L’altro nominato prima Francesco avendo ottenuto nella sua tenera età d’anni quattordici d’essere ammesso nella Congregazione, si propose fin da quel tempo l’esercizio di tutte le virtù religiose, che coltivò con fervoroso studio, massimamente la umiltà; onde per l’amore, che egli aveva alla vita oscura, convenne usare i maggiori sforzi per innalzarlo al sacerdozio, né fu possibile l’indurlo a ricevere nella religione cariche di superiorità. Volò al cielo nell’anno 1580 e ricercò d’essere sepolto fuori del chiostro, non essendo convenevole, diceva egli che la casa del Padrone si contaminasse col cadavere di un inutile servo.

Rese ornamento a questo chiostro, di cui uscì, anche Giovanni Francesco Coccalini veneziano, il quale dopo aver sostenute le cariche principali di sua religione fu eletto Vescovo di Traù, e morì nell’anno 1661. (1)

Visita della chiesa (1839)

La facciata di questa chiesa, tratta di marmo d’Istria, divina in doppio ordine, si tiene di Jacopo Sansovino. Forma quasi atrio alla chiesa il coro dove cantano i monaci. Costituito quel coro da tre corridoi, muovono i due laterali sino al termine della crociera. Prima d’incontrarci in chiesa è mestieri vedere la leggiadra paletta dell’altarino a destra, con San Nicolò in atto di benedire, dipinta dal Tiziano nell’età di ottantasei anni. Quanta soavità in quel colorito! Quanta profondità nel maneggio di quelle ombre! Un altro bell’altarino corrisponde a questo alla parte sinistra, ed ivi vi ha un oratorio, già parte dell’antica chiesa, sull’altare del quale scorgersi un mosaico di Arminio Zuccato, raffigurante la caduta di San Paolo.

Entrando in chiesa, Federico Bencovich rappresentò nella tavola del primo altare a destra il beato Pietro da Pisa fondatore, come più sopra si è detto, dell’ordine religioso che ufficiava questa chiesa. Il mirabile quadretto di Nostra Donna, collocato sull’altare stesso, è di Paolo Veronese. Nel susseguente secondo altare la statua di Nostra Donna venne eseguita da Tommaso Lombardo, e nel terzo altare Paolo Veronese dipinse la tavola con Cristo in Croce: cosa la più stupenda che nella semplicità l’uomo possa mai immaginare.

Il deposito che segue di marmo d’Istria, eretto all’arcivescovo di Cipro Livio Podacataro, è opera semplice, ma insieme maestosa di Jacopo Sansovino. Consiste in un grandioso basamento, sul quale posano tre grandi colonne reggenti un mobile sopra-ornato con frontespizio. Nel mezzo dell’arco, fra l’intercolunnio, vi ha l’urna del vescovo colla statua giacente.

Jacopo Palma fece la tavola della cappella laterale alla maggiore con Nostra Donna ed i Santi Girolamo e Carlo Borromeo, mentre Andrea Vicentino ne fece i quadri laterali. Ma egli è nella maggiore cappella dove ci son date da vedere tre opere eccellenti di Paolo Veronese. Nella tavola del altare maggiore da lui dipinta nel 1558 quand’era già fatto maestro, è raffigurata Nostra Donna ed i Santi Sebastiano, Giambattista, Pietro apostolo, Francesco d’Assisi (ritratto del p. Bernardo Tolioni) e due sante martiri. Nei due quadri laterali poi si vedono; in quello a destra, i Santi Marco e Marcellino tratti fuori del palazzo pretorio, seguiti dalla madre ed incontrati dal padre assieme alle mogli ed ai figlioli loro. Felice immaginazione, vago colorito, correttissimo disegno e un non so quale incanto sono in questo inarrivabile quadro. Meno felice, ma bello nondimeno è l’altro quadro alla sinistra esprimente San Sebastiano legato ad una macchina per essere poi tormentato. La naturalezza in tutte le figure di questa tela, non che altro, è certo portentosa.

Nell’altra cappella laterale alla maggiore, Matteo Ingoli dipinse sei fatta della vita di Maria Vergine e, scesi da questa cappella, scorgersi il busto di Paolo Veronese, ed a piana terra la sua sepoltura. Fu poi nell’ano 1558 che, sopra modello dato dallo stesso Paolo Veronese, si lavorò l’organo tolto da lui nell’anno appresso a dipingere. Nell’esterno dei portelli espresse la Purificazione di Nostra Donna e nell’interno il Paralitico alla probatica piscina. Niente manca a quei rari dipinti, vuoi grandezza e nobiltà di carattere, vuoi facilità d’esecuzione, vuoi bellezza nelle fisionomie e vaghezza nel colorito. Nel poggiolo lo stesso Paolo eseguì la nascita del Signore ed altre piccole cose.

Sotto l’organo sta la porta che guida alla sagrestia dove Paolo, nel 1555 e nell’età di venticinque anni, fece il soffitto, avente nel mezzo l’Incoronazione di Nostra Donna ed in quattro altri comparti laterali gli evangelisti. E sebbene nel carattere delle teste di questo soffitto si vede il genio Paolesco, pare a chi osservi minutamente apparirà essere stata diversa la intenzione del suo stile in quella prima età.  Si crede di Bonifacio la maggior parte dei quadri onde le pareti della sagrestia medesima sono rivestite: ma il tempo li ha si malconci che poco vogliono essere osservati.

Dalla sagrestia passar è d’uopo all’esame del coro superiore dove a fresco si trovano altre delle prime opere di Paolo. Due storie vogliono però singolarmente richiamare l’attenzione nostra, quella cioè di San Sebastiano che soffre il martirio a colpi di bastone, o quella dello stesso santo dinanzi al tiranno. Questa seconda fu da Paolo dipinta ad olio poiché la prima gli fu guastata dall’aria boreale. Girando tutto intorno il corridoio si vedranno, tra colonnati, tramezzati da nicchie, e apostoli e profeti ed agnelli e sibille a chiaro-scuro e nei quattro angoli si vedranno in fine quattro statue rappresentanti l’annunziazione e la sibilla Cumana ed Eritrea, opere di Girolamo Campagna.

Tornando alla chiesa, per osservare i quadri rimanenti, nella prima cappella si scorge la tavola col Cristo che porta la croce attribuita a vari autori. Nella seconda cappella Paolo Veronese dipinse il battesimo del Redentore e nell’ultima Andrea Schiavone fece Cristo in Emmaus.

Osserviamo finalmente, per quanto il concede lo scarso lume, tutto spiegato il leggiadro e ricco stile di Paolo nel soffitto di questa chiesa. Nel primo dei maggiori comparti vedi la regina Ester condotta dall’eunuco innanzi Assuero, nell’altro la incoronazione di lei e nel terzo il trionfo di Mardocheo, preceduto da Amano. Negli angoli e negli altri vani minori vi sono figure a chiaro-scuro, puttini e festoni di frutta e fiori coloriti. (2)

Eventi più recenti

Il convento di San Sebastiano venne soppresso nel 1810, ed in massima parte demolito. Quindi fu rifabbricato per introdurvi nel 1857 la sezione femminile dell’istituto Manin, sotto la direzione delle figlie di San Giuseppe. (3)

(1) FLAMINIO CORNER. Notizie storiche delle chiese e monasteri di Venezia, e di Torcello tratte dalle chiese veneziane e torcellane (Padova, Stamperia del Seminario, 1763).

(2) ERMOLAO PAOLETTI. Il fiore di Venezia ossia i quadri, i monumenti, le vedute ed i costumi. (Tommaso Fontana editore. Venezia 1839).

(3) GIUSEPPE TASSINI. Edifici di Venezia. Distrutti o vòlti ad uso diverso da quello a cui furono in origine destinati. (Reale Tipografia Giovanni Cecchini. Venezia 1885).

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

2 Commenti

  1. Hello, I am citing your article in a publication. I would like to acknowledge the author of this contribution.
    Can you please e-mail me at: fvliere (at) calvin.edu. Thanks, Frans van Liere, Calvin University, USA.

    • As indicated at the end of the article the texts used were taken from the following publications:

      STORIA DELLA CHIESA E DEL CONVENTO. Flaminio Corner. Notizie storiche delle chiese e monasteri di Venezia, e di Torcello tratte dalle chiese veneziane e torcellane (Padova, Stamperia del Seminario, 1763).

      VISITA DELLA CHIESA (1839). Ermolao Paoletti. Il fiore di Venezia ossia i quadri, i monumenti, le vedute ed i costumi. (Tommaso Fontana editore. Venezia 1839).

      EVENTI PIU’ RECENTI. Giuseppe Tassini. Edifici di Venezia. Distrutti o vòlti ad uso diverso da quello a cui furono in origine destinati. (Reale Tipografia Giovanni Cecchini. Venezia 1885).

      All these texts are available online in PDF format.

      With regard

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