Gli spezieri da medicina

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1797
Insegna della Scuola dei Spezieri. Museo Correr Venezia

Gli spezieri da medicina

Le condizioni dell’arte farmaceutica nel 1200 erano simili a quelle della medicina; empirismo oscurato dalla superstizione. E siccome gli speziali con le loro droghe e con i molti empiastri potevano recar danno al povero genere umano, così l’arte era sottoposta alla vigilanza del magistrato dei Giustizieri che eleggevano i soprastanti chiamati “Esecutori” i quali avevano lo obbligo di essere sempre presenti alla mistura delle droghe.

Lo speziale, come prescriveva il suo capitolare, si obbligava a non vender farmaci come “balsamati” se di fatto non lo erano; e non far società con alcuno medico a danno dei compratori per spacciare elettuari, polveri e sciroppi; a mendicare lealmente gli infermi ed i feriti, non prolungando per frode la loro malattia; a non somministrare medicinali velenosi o che producessero aborto. E le pene erano severe, basti solo ricordare la legge criminale del doge Orio Malipiero nel 1181 che infliggeva la pena del fuoco, della forca o del taglio delle mani a quel farmacista che avesse venduto cibo o beveraggio per il quale il paziente “perdesse l’intelletto“.

Ogni speziale, registrato all’ufficio della Giustizia Vecchia doveva pagare quale tassa di “buona entrata” tre soldi di grossi, circa cinque lire nostrane; ed una legge del 1309 stabiliva che ogni farmacista dovesse leggere il proprio capitolare almeno da tre a quattro volte all’anno, ed un “Esaminatore“, nel giorno di sabato di ciascuna settimana doveva recarsi a turno in qualche farmacia a vedere se tutto procedeva in regola.

Il più antico farmacista che ci ricordano le cronache veneziane lo troviamo nel “Liber plegiorum“, il libro delle malleverie o pieggi, in cui è fatta menzione, il 25 agosto 1225, di un tale Opizone, speziale di San Zulian, il quale fa malleveria sulla verità di un furto di 52 lire patito da messer Bonfiglio da Molin.

Le farmacie della città erano parecchie e fra queste, le più conosciute, quella della Testa d’Oro a Rialto, del Cedro Imperiale a San Paternian, dei Due Mori in Calle dei Stagneri, della Vecchia a San Luca di cui era garzone nel 1721 quel Domenico Rossi da Palma che fu, il giorno 27 marzo, decapitato e squartato perché uccise tale Maria Alberti, meretrice in Calle del Carbon, per derubarla.

I farmacisti, alla venuta a Venezia di Enrico III di Francia nel 1574, prepararono una fusta “Turchescha” di dodici banchi, quarantotto remi, tutta coperta di panno d’oro, e la poppa era ornata di tappetti orientali finissimi, con un velario di seta e raso sostenuto da ninfe marine, verso prora c’era il simbolo dell’arte, cioè il pellicano che spogliava se stesso della sua carne per darla agli altri. Ma d’innanzi a quel simbolo così altamente disinteressato, anzi martire del bene altrui, la cronaca del Dandolo dice che il popolo “fece molto rider” e ci fu qualche putto, tra i più sguaiati, che prese a bersaglio il povero uccello innocente.

L’arte farmaceutica era considerata arte nobile e gli speziali avevano diritto di sposare anche nobildonne, ma i figli però non erano inscritti nel libro d’oro. (1)

Gli spezieri non ebbero mai un sede fissa per la loro scuola, andarono da una sala del monastero ai frari, a quella dell’attiguo albergo della Venda del sodalizio della Santissima Passione; alla scuola della Madonna delle centure, di fronte alla chiesa di San Stefano, a quella dei padri Agostiniani della stessa chiesa, per fermarsi finalmente nel 1789 alla Scuola dei Laneri in Salizada San Pantalon. In questi ambienti, tra una ricchezza di pitture di cuoi dorati, di lampadari, di torciere, di stoffe, di mobili, sotto l’occhio vigile della Magistratura preposta, che nel 1680 divenne quella dei Provveditori sopra la Sanità. (2)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 21 marzo 1924.

(2) Pedrazzini Carlo. La farmacia storica ed artistica italiana. (Edizioni Vittoria, Milano 1934)

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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