La bella Marina Querini Benzoni da San Beneto, detta la “biondina in gondoleta”

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Palazzo Querini Benzon. Sestiere di San Marco

La bella Marina Querini Benzoni da San Beneto, detta la “biondina in gondoleta

Famiglia antichissima di Crema, anzi una vecchia tradizione racconta che furono i Benzon tra i principali fondatori della città, ma venuti nelle lagune nel 1312 e più tardi scritti al veneto patriziato per opera del doge Michele Steno non ebbero più quel lustro e quella celebrità che avevano conquistato nella terra d’origine.

Il loro palazzo sorgeva sul Canal Grande contrada di San Benedetto, volgarmente detta Beneto, e ci si andava per la Calle Benzon che ancora col suo nome la ricorda, palazzo che venne fino a noi, modificato in gran parte e celebre per il suo salotto letterario tra la fine del Settecento e i primi anni dell’Ottocento.

Nel 1426, dicono le cronache, un Giorgio Benzon venne assunto quale condottiere d’arme della Repubblica, ma non lasciò traccia nella storia, e passò quasi inosservato pure combattendosi in quel tempo una guerra aspra e terribile contro il duca di Milano Filippo Maria Visconti, “il quale ispirava all’imperio dell’Italia, disprezzava le rason divine et numane et occupava quel de altri con fraude et inganni“. Dalla seconda metà del secolo decimoquinto fino agli ultimi vent’anni del Settecento la famiglia Benzon appare raramente nelle vicende della Serenissima; un Zuane Battista governatore di galera, un Vettore vescovo di Conegliano, un Jacopo senatore, e qualche altro “appartenente alla Quarantia civile o criminale” vissero senza infamia e senza lode; buoni patrizi, amanti della patria, ma di carattere debole e di non troppo ingegno nelle pubbliche faccende.

Solo nel Settecento, negli ultimi anni, il nome dei Benzon, ebbe a Venezia una certa notorietà, non bella però, ma dati i tempi e la decadenza dei costumi, non del tutto antipatica, poiché la persona che portava quel nome peccò più che altro per il disprezzo delle convenienze, per l’esuberanza del carattere, per le impulsive passioni dell’anima.

Marina Querini figlia di Antonio, del ramo di San Leonardo, e di Matilde da Ponte, nacque nel 1757 a Corfù, dove il padre aveva un alto ufficio militare, e andò sposa appena ventenne al patrizio Pietro Benzon di San Benedetto. Nella allegra vita veneziana Marina si lasciò andare senza misura ai capricci amorosi.

Era, come la madre, d’aspetto dignitoso e di alta statura, e a quanto scrive Jacopo Foscarini nelle sue Memorie formava uno strano contrasto con la bassa persona dell'”eroico” marito, piuttosto brutto e alquanto melenso. La carnagione aveva bianchissima, i capelli morbidi, abbondanti, di seta e d’oro; una espressione passionata e intensa spirava dagli occhi e dalla bocca ridente; Marina Benzon era bella di una bellezza sensuale che colpiva di ammirazione e di desiderio.

Venezia, il Canal Grande, la gondola componevano come una cornice incantevole ai suoi dolci amori, e ancora oggi, nelle serene notti veneziane si ripete il canto voluttuoso che Marina inspirò al poeta Antonio Lamberti e posto in musica dal maestro Gian Simone Mayr:

La biondina in goldoleta
L’altra sera gò menà
Dal piaxer la povereta
La s’à in bota indormenzà

La canzonetta fece chiasso e crebbe la fama della bionda Benzon, che, unitamente ad alcune sue amiche al pari di lei spregiudicate in amore, veniva dal popolo colpita mordacemente, dal noto epigramma:

Chi che gera sula riva?
Lucieta la bela,
La sorda so sorela,
La Trona, la Benzona
e qualche altra busarona

le quali passeggiando al “liston” gettavano sguardi assassini, sorrisi, saluti. Con “Lucieta la bela“, si alludeva a Lucia, sposata clandestinamente a un patrizio Foscarini; “so sorela sorda” era la moglie di un conte Zanetti; la Tron la gaia Cecilia Zeno Tron, e la Benzona la bionda Marina.

La Marina era avida di amore e di moltiplicare il piacere, la sua indole vivace non soffriva ritegni, “cercando nel sentimento religioso il perdono alla calda sensualità del desiderio, mescolando la lasciva al rosario“. La cattiva rinomanza delle dame veneziane del Settecento derivò in gran parte dalla libertà di costumi e di linguaggio della Benzon, di Cecilia Tron e di altre cotali, che rifiutando maschere ipocrite non vollero imitare certe caute dame di altri paesi, che con lo stesso abbandono si davano agli stessi peccati, mantenendo sempre una ipocrita riservatezza.

Così in Venezia appariva austera di aspetto e di costumi Giustiniana Winne amante di Andrea Memmo, di Giacomo Casanova e altri, così Ernestina di Weissenvolf, maritata Durazzo, amante di parecchi patrizi, così Isabella Teotochi Albrizzi che fino a sessant’anni ebbe molti adoratori, dei quali fu amante per pochi giorni e amica per tutta la vita. (1)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 28 maggio 1933.

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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