Parrocchia di Sant’Eufemia

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Chiesa di Sant'Eufemia - Isola della Giudecca

Parrocchia di Sant’Eufemia

Posizione Abbraccia questa Parrocchia tutta la contrada chiamata Giudecca, la quale non è un’isola sola, ma un gruppo di otto isolette da vari ponti fra loro congiunte. Appartiene alla stessa parrocchia anche la vicina isola di San Giorgio Maggiore, che non ha ponte di comunicazione con codesto gruppo, ma ne viene separata da un breve tronco della Laguna, largo circa 50 metri nella più stretta sua gola. Il preaccennato gruppo insulare giace al Sud della Città di cui forma parte. La sua superficie si distende dall’Est all’Ovest sopra una linea dolcemente curva, lunga metri 1.900, la quale con l’aggiunta della suddetta isola di San Giorgio, diviene di circa metri 2.300. La massima larghezza di tale superficie ascende a metri 350, la minima a metri 200 circa. La circonferenza complessiva è di oltre 5.000 metri.
Tutto il corpo delle isole summentovate è bagnato dalla Laguna all’Est, all’Ovest, ed al Sud, la sponda che guarda il Nord, e sta rimpetto a Venezia, contermina col Canale digià chiamato Vigano, o de Marani, ora detto della Giudecca, lungo circa 2.000 metri, largo, in via media metri 30, il quale non è attraversato da veruno ponte. Questo spazioso canale si forma presso la dogana di cui ho parlato; la punta di quel magnifico Edificio lo divide dal Canal Grande, e percorsa tutta la linea settentrionale della Giudecca, va a perdersi esso pure in Laguna ove sbocca verso il promontorio di Santa Maria nella Parrocchia dell’Angelo Raffaello. Intorno alla derivazione del nome Giudecca ho versato nel Discorso Preliminare. L’ampiezza della Parrocchia di Sant’Eufemia richiede la separazione in due Tavole della relativa topografia, disegnate però in maniera onde poterle congiungere e formarne una sola. Ciò rende altresì necessario di offrirne in due fascicoli la Descrizione, nella quale studierò la possibile brevità, senza peraltro sacrificare a questa gli oggetti sui quali fa duopo intrattenere il lettore, nella fiducia, che vorrà usare indulgenza se un’opera che tanti svariati argomenti contempla, riesce necessariamente alcun poco più voluminosa di quanto mi era proposto.

Chiesa

Sansovino la reputa innalzata nell’anno 952 dalla famiglia Dente; ma poi descrivendo la vita di Orso Partecipazio doge nell’864, accenna fondatrici di questo tempio le famiglie Barbulani, Jesoli, Selvi, Calopricci ed altre, confinate allora dal Governo in Spinalunga ossia Giudecca. Questo articolo storico del Sansovino è contrario a quanto ha detto al principio, quindi non si saprebbe qual parte del suo discorso potesse meritar fede, se l’autorevole Cronaca Sivos non sgombrasse la dubbietà, assicurando della fondazione di questa Chiesa nell’865, epoca la quale combina appunto col Ducato di Orso Partecipazio regnante in quel tempo. Una lapide innestata presso la porta della Chiesa addita la sua consacrazione nel 3 settembre 1371 per mano di Luca vescovo cardicense, e di Bortolammeo Agiense, questa peraltro non può stabilirsi la prima, notorio essendo che più volte fu restaurata e riedificata, indi ridotta nell’attuale sua forma intorno alla metà dello scorso ultimo secolo, circostanza per cui più consacrazioni devono essersi succedute. Quantunque originariamente dedicata alle Sante Vergini Eufemia, Dorotea, Tecla ed Erasma, tutte martiri in Aquileja, ritenne soltanto il nome della prima di quelle Sante. Il sito ove questa chiesa fu eretta formava, nell’865, la estremità occidentale della Giudecca, la quale da questo lato fu prolungata più tardi come lo dimostra l’antica Mappa di cui ho parlato ove figura molto più corta di quanto presentemente lo sia. Sappiamo infatti che verso l’anno 1328 il Governo fece distruggere quel grande interrimento chiamato Punta dei Lovi che da Fusina si stendeva in laguna sino quasi a Santa Marta, e col materiale ivi escavato, ingrandita fu la Giudecca.

Parrocchia

Antichissima è la istituzione di questa Parrocchia, rimontando forse al tempo in cui fu eretta la Chiesa. Soppresse dal Governo Italiano le Comunità regolari, i PP. Cappuccini che ufficiavano il Tempio del Redentore innalzato in questa Isola come vedremo a suo luogo, ed occupavano l’annessovi chiostro, essendone usciti, si traslocò in esso tempio (an. 1810) la sede della Parrocchia di Sant’Eufemia. Cangiata poi la condizione politica di Venezia, e ristabiliti i Cappuccini, ricuperarono essi, nel 1822, il possesso del chiostro e della Chiesa del Redentore, per la qual cosa la sede parrocchiale fu di nuovo portata nella primitiva Chiesa di Sant’Eufemia, ove tuttavia trovasi stabilita. La spirituale giurisdizione di questa cura parrocchiale oltre di estendersi, come ho detto, su tutto il gruppo della Giudecca, e sull’isola di San Giorgio, abbraccia anche tre isolette sparse nella vicina laguna chiamate; La Grazia, San Clemente e Santo Spirito; le quali occupate una volta da claustrali, sono convertite presentemente in ortaglie, né contano altri abitanti che i pochi coltivatori delle medesime. Però in quella di San Clemente sussistono l’antica Chiesa, e un quarto dello annessovi eremitaggio, ove erano i cenobiti, ora ospizio di qualche sacerdote per trasgressioni di ecclesiastica disciplina ivi talvolta recluso.

Chiese nel circondario di questa parrocchia attualmente ufficiale

Santissimo Redentore . Padri Cappuccini. A merito della generosa pietà di Fiorenza Cornaro moglie di Pietro Trevisan, sorella di Giorgio Cornaro e di Cattarina regina di Cipro, alcuni Cappuccini si stabilirono con umile chiostro in una delle isole della Giudecca. Si proponevano quei religiosi di ampliare il cenobio, allorché colpita Venezia nel 1575 dalla pestilenza che le rapi nel corso di alcuni mesi N. 49.721 abitanti, ciò diede occasione al Governo di migliorare il soggiorno di quei claustrali. La Repubblica invocando la divina pietà onde calmare il flagello del morbo, fece voto di erigere sontuoso Tempio da dedicarsi al Santissimo Redentore. Propizia la clemenza del Cielo ad accogliere le fervorose preci dei Veneziani, decretò il Senato nel 18 settembre 1576 di soddisfare il religioso suo impegno, al qual uopo diede poi mano all’opera, ponendo nel giorno 3 maggio 1577 la prima pietra del sacro edificio, benedetta dal veneto Patriarca Giovanni Trevisano con intervento del doge Luigi Mocenigo, e facendo indi procedere la costruzione di tanta Basilica con ogni possibile alacrità, onde potè essere consecrata nel 28 settembre 1592 dal Patriarca Lorenzo Priuli. Vi si aggiunse anche un chiostro, e dell’una e dell’altro affidando il Governo ai PP. Cappuccini, digià raccolti, come ho detto, in quella contrada. Questo è il rinomatissimo Tempio del Redentore, nel quale si ammira la generosità della devota Repubblica, come il genio subline di A. Palladio che lo architettò. Le proporzioni, l’euritmia esterna ed interna costituiscono questo celebre monumento il capo-lavoro di simil genere di quell’insigne maestro. Scelte pitture ne decoran gli altari, e la sacristia; primeggiano in questa due preziosissime produzioni del pennello di Giovanni Bellino. Senonchè devesi lamentare, che un secolo dopo morto il Palladio abbiasi sostituito al semplice primitivo Altar Maggiore quella massa deforme che vi si osserva, opera del gusto barocco di quella età, eseguita dal bolognese Giuseppe Mazza.

Chiesa delle Zitelle. intitolata Presentazione di Maria Vergine al Tempio – Oratorio sacramentale. Benedetto Palmio della Compagnia di Gesù, esortò i Veneziani, nel 1558, a raccogliere in un Ospizio le fanciulle di avvenente aspetto appartenenti a famiglie cadute in povera condizione, onde sottrarle alle insidie de seduttori. Stabilito nei primordi un ricovero in piccola casa presso San Marziale, fu poi eretto nel 1561 a quest’uopo ampio edificio alla Giudecca con adiacente Oratorio, consecrato nel giorno 8 maggio 1588 da Francesco Barbaro arcivescovo di Tiro e Patriarca eletto di Aquileia. Questo Tempietto è opera molto elegante, che si reputa modellata dal Palladio: la sua ufficiatura si presta per i devoti esercizi delle figlie dalla pubblica carità in quel conservatorio ricoverate, ora ascese a 60 circa, e giova pure al concorso degli abitanti del vicinato.

Santa Croce. Oratorio sacramentale della casa di correzione. Abbiamo memorie che sino dal 1330 esistesse un monastero di Benedettine in Santa Croce della Giudecca. Con il processo del tempo fu ivi sostituita all’antica, novella Chiesa, di cui si pose la prima pietra nel 25 aprile 1508, e che fu poi consecrata da Antonio Contarini, Patriarca di Venezia, nel 25 aprile 1515. Soppresse in questi ultimi tempi le monache, il chiostro fu trasformato in Casa di Correzione, conservando la Chiesa a solo uso dei delinquenti in quello stabilimento reclusi.

Sant’Angelo. Oratorio privato. Nell’anno 1518 alcuni Carmelitani della sacra Congregazione di Mantova, vennero a stabilirsi in una isoletta di queste lagune, ora chiamata Sant’Angelo della polvere. Destinata poi dal Governo nel 1555 quella remota località per la fabbricazione delle polveri ad uso di artiglieria, si trasferirono quei religiosi in altro diroccato convento alla Giudecca, ove trovarono piccola chiesa chiamata Sant’Angelo, la quale poi ricostruita, ebbe consecrazione nel 20 novembre 1620 da Raffaello Inviziato vescovo di Zante. Nel 1767 soppresso il Cenobio, la chiesa fu però consecrata al culto divino, e divenne alla fine oratorio privato della famiglia Cogo.

San Giorgio. Oratorio Sacramentale. N. B. Viene attualmente ufficiato da alcuni Monaci benedettini del Monastero di Praglia, provincia di Padova. Per conseguire adequata cognizione di questo maestoso monumento e della isola su cui si estolle, d’uopo è rivolger lo studio al vasto emporio di estesissima erudizione dall’illustre nostro Cav. Cicogna raccolto, il quale dedicò a questa insigne Basilica oltre la metà del IV volume in foglio della gigantesca sua Opera sulle Veneziane iscrizioni. Senonchè dovendo io condurre il mio lavoro in coerenza al fin qui adottato sistema, nè potendo quindi uscire dai contorni del tracciato disegno, mi limiterò a brevi cenni. Il maestoso Tempio di San Giorgio Maggiore benchè costruito in un’isola disgiunta dal gruppo della Giudecca, è però compreso, come si disse, nel circondario della Parrocchia su cui versa il discorso. L’isola che da esso trae nome venne così chiamata per distinguerla dall’altra ove pure sorgeva chiesa dedicata a San Giorgio, posta verso il mezzo della Laguna sulla linea da Santa Marta al continente di Fusina, la quale però si chiama San Giorgio in Alga, a causa della copiosa quantità di alga che, portata dalle correnti si accumula intorno alla stessa. Anticamente l’isola di San Giorgio Maggiore era una vigna, un bosco, per cui dicevasi isola de Cipressi, molti di questi alberi verdeggiando nella medesima. Fu anche chiamata Memmia attesa la donazione di cui farò cenno. La cospicua famiglia Participazio, detta poi Badoaro, che diede nel IX secolo cinque dogi a Venezia, fece edificare sino dal 790 nella suddetta isola una chiesa sotto la invocazione di San Giorgio. Nell’anno 982 il doge Tribuno Memmo donò l’isola stessa a Giovanni Morosini reduce allora dalla Francia, ove aveva accompagnato al Monastero di San Michele di Cusano in Guascogna il Santo Doge Pietro I Orseolo suo suocero, ed ove abbracciata avevano entrambi la regola di San Benedetto. Il Morosini divenuto possessore dell’isola, rifabbricò la chiesa, e fondò ivi ampio chiostro di Monaci benedettini cassinensi, dei quali fu il primo abate. Fioriva già quel religioso stabilimento, quando a renderlo più venerabile si deposero nel suo tempio le sacre spoglie del Proto martire Santo Stefano, da Costantinopoli qui trasportate nel 1110 per cura del monaco Pietro colà inviato dall’abate Tribuno Memmo per affari della religiosa comunità, che teneva una casa filiale in quella Metropoli. Con molto festosa ceremonia fu accolto in Venezia quel sacro corpo, e intenta la Repubblica a perpetuare la ricordanza di sì prezioso acquisto, fu decretato, che il doge col suo corteggio visitasse ogni anno codesto tempio ai primi vesperi, indi alla Messa del giorno dedicato al gloriosissimo Protomartire. Per quell’avvenimento, la chiesa assunse il duplice titolo di San Giorgio e San Stefano, come consta da documenti di antica data, sotto i quali titoli appunto seguì la sua consecrazione nel giugno 1429 per mano di Tommaso Tommasini vescovo di Città nuova nell’Istria. Anche la iscrizione affissa alla facciata del Tempio lo mostra dedicato ai summentovati due Santi. Nell’anno 1433 Cosimo dei Medici, espulso da Firenze, si era rifuggito a Venezia, ove per dar pruova del suo amore allo studio, e promuovere il maggior lustro del Monastero dei Benedettini, nel quale aveva trovato cortese e sicuro asilo, fece erigere nel medesimo grandiosa fabbrica per fondarvi la Biblioteca, che arricchì di molti preziosi libri. Concorse nella liberalità di dei Medici anche Giovanni Lanfredino detto Orsini, e il celebre artista Michelazzo Michelozzi qui venuto con Cosimo, condusse la erezione e le decorazioni dell’Edificio, nel quale figuravano gli Stemmi di quella casa divenuta poi Granducale. Benchè per le riforme date dal 1654 al 1664 al Monastero, fosse demolita la biblioteca Medicea per sostituirne altra nuova, pure alcuni di quegli stemmi si conservarono sino a questi ultimi tempi. La chiesa digià eretta, come abbiamo veduto, dai Participazi o Badoari sino dal 790, ricostruita nel 982 dal primo abate Giovanni Morosini, poi diroccata per il terremoto, indi rialzata dal la famiglia Ziani nel 1220 e finalmente riedificata nel 1419 a cura dell’abate Giovanni Michiel, cominciava sentire il peso dei secoli; d’altronde riusciva angusta per capire il gran numero dei devoti che vi concorrevano a venerare le sante reliquie in essa raccolte; per la qual cosa nel 1566 fu data mano ad innalzare dalle fondamenta il nuovo maestoso Tempio che forma tuttora oggetto di ammirazione, del quale fu gettata la prima pietra dal Patriarca Giovanni Trevisano con intervento del Doge Girolamo Priuli e del Senato nel giorno 13 di marzo 1566, su di che si deve avvertire, che per errore la iscrizione sulla facciata porta l’anno 1556. Palladio lo architettò, ma nel corso dei 50 anni impiegati in tanta opera, il celebre maestro che ne avea dato il modello, passò a miglior vita. Scamozzi ed altri, preposti alla continuazione dell’Edificio, volendo forse migliorare il progetto di chi ne sapeva più di loro, v’introdussero alcune riforme che alcun poco ne scemarono il merito: finalmente a compimento condotto, ebbe consacrazione nella IV Domenica di gennaio 1610 dal Patriarca di Venezia Francesco Vendramin regnando il doge Leonardo Donà. Questo magistral monumento è ammirabile per l’ampiezza e maestà dell’interna distribuzione, come per quella dell’esterno prospetto. Ricchi marmi, cospicue decorazioni, statue, bronzi, sculture e pitture di celebri artisti magnificamente lo adornano. L’Altar maggiore è un insigne concepimento dell’Aliense eseguito dal sommo ingegno dello scultore Campagna: il gruppo, tutto in bronzo, che sorge sulla sacra mensa, è il simbolo più sublime di nostra religione che umana mente possa ideare: i quattro Evangelisti sostengono cogli omeri l’ampio globo del mondo sopra il quale figura l’Eterno Padre che lo benedice. I due Angeli laterali, lavorati dal Boselli furono aggiunti più tardi. Vastissimo è il coro posteriore fregiato di doppio ordine di sedili diligentemente intagliati nel 1598 da Alberto de Brule (forse de Bruges) fiammingo, che in alto e basso rilievo vi ha rappresentate le azioni di San Benedetto. Il nome dello scultore trovasi nel cartello di un puttino presso il sedile prossimo alla porta finta del medesimo coro. Intorno all’epoca dell’erezione del nuovo Tempio fu in parte rifabbricato ed ampliato anche il Monastero. Il primo chiostro venne ridotto a maestoso quadrato, ricinto da 140 colonne joniche, collocate nei lati a due a due, e a quattro a quattro negli angoli: questo solo basterebbe a far pruova dell’alto genio del suo architetto Palladio, di cui sono opere anche altri quarti dell’edificio, e segnatamente il magnifico Refettorio, lungo piedi 93, largo p. 30, alto p. 48 e illuminato da otto finestre. Paolo Veronese lo avea decorato di una gran tela rappresentante le Nozze di Cama, la quale occupava tutta l’ampiezza della facciata che stà dirimpetto all’ingresso principale. Tanto lavoro eseguito da Paolo dal giugno 1562 al settembre 1563 costò ai monaci ducati 324. Pei politici avvenimenti trasportato a Parigi, forma ivi distinto ornamento della Galleria del Louvre. Corrispondente a tanta magnificenza è la Scala di questo cenobio, con la quale dide saggio di valore Baldassare Longhena che fioriva nel secolo XVII. Affisse alle pareti respicienti essa Scala, pompeggiano due Iscrizioni l’una rammenta l’onorevole visita che vi fece nel 22 maggio 1775 S. M. l’Imperatore Giuseppe II con gli augusti fratelli Leopoldo, Ferdinando e Massimiliano, qui venuti per godere della Festività dell’Ascensione, l’altra ricorda quella del Sommo Pontefice Pio VI nel giorno 18 maggio 1782, quando S.S., reduce da Vienna, si trattenne alcuni giorni in Venezia, prendendo stanza nel convento dei Domenicani a Santi Giovanni e Paolo. Tutta l’isola coi suoi fabbricati fu destinata nel 1808 agli usi del Portofranco a quel tempo eretto, per i cui movimenti venne appunto escavato e ricinto di robuste muraglie e cancelli l’adiacente bacino. Si ampio stabilimento fu convertito in Depositorio per le merci nazionali (Entrepôt), dopochè nel 1829 la franchigia del Porto si estese a tutta la Città nostra, con un raggio nella circostante Laguna, il quale abbraccia i due porti di Lido e di Malamocco. Aggiunge maggior vaghezza a questa isola l’elegante Campanile che vi torreggia, innalzato nel 1791 dall’architetto Benenedetto Buratti della Congregazione Somasca, in sostituzione ad altro digià costrutto nel 1461 da Giovanni da Como, che era crollato nel 1774. Salito alla celeste gloria nel 29 agosto 1799, in Valenza di Francia, Papa Pio VI, il fragore delle armi turbando il riposo di Italia, dubbiosi versavano i Cardinali di Santa Chiesa sulla scelta del luogo, ove tranquillamente raccolti, elegger potessero il successore a tanto chiaro Pontefice. Venezia offerse placido asilo al Sacro Collegio, il quale nel giorno primo dicembre 1799 eretto il Conclave in questo cenobio; abitato allora da Monaci cassinensi, dopo circa tre mesi e mezzo di esperimenti, innalzò alla Santa Sede nel 12 marzo 1800 il Cardinale Gregorio Barnaba Chiaramonti vescovo d’Imola, che assunto il nome di Pio VII, fu proclamato nel giorno 14 del mese stesso. Il ritratto del Padre Santissimo fu riposto nel tempio adiacente con adattata iscrizione, ed altra iscrizione che lo riguarda si trova affissa nel coro notturno del Monastero ove seguì la sua esaltazione. Si trattenne alcun tempo il Pontefice presso di noi visitando Chiese e conventi della Città e dei vicini paesi, indi nel 6 giugno 1800, salpò da Venezia sulla fregata austriaca Bellona, dal veneto patrizio Silvestro Dandolo capitanata, che lo condusse a Pesaro, ove approdò nel 17 detto, e presa ivi la via di terra verso Roma, fece solenne ingresso, nel 3 luglio successivo, al Vaticano; ove dopo il variar delle belliche sorti, il borbonio Re di Napoli Ferdinando, colla possa delle sue armi, e con generosa pietà, gli aveva approntata splendida residenza.

Chiese secolarizzate

Santi Biagio e Cataldo. La Beata Giuliana dei Conti di Collalto, nata nel 1186, preso l’abito di San Benedetto nel Chiostro di Santa Margarita di Salvarola presso Este, giunta nel 1222 a Venezia, ebbe dal Governo un ospizio, digià eretto ad uso de pellegrini, situato in una isoletta della laguna, la quale più tardi fu posta in connessione con la Giudecca, quando questa venne prolungata come abbiamo veduto. La pia Donna fondò ivi un Monastero di Benedettine con Chiesa annessa, che poi logorata dal tempo, venne ricostruita al principio del secolo XVIII, Colpito anche questo cenobio nei primi anni del nostro secolo, dalla generale soppressione, il Chiostro e la Chiesa si convertirono ad usi profani.

Santa Maria alle Convertite. Nei primordii del XVI secolo si eresse questo religioso stabilimento a ricovero di femmine scostumate, pentite dei loro falli, che ivi rinchiuse abbracciavano la regola di Sant’Agostino, la chiesa primitiva si rinnovò poco appresso, e fu consacrata dal Patriarca di Venezia Giovanni Trevisan nel giorno 8 giugno 1579. Ora di questa non rimangono che le mura di cinta, il chiostro è ridotto a ospitale militare. La contrada chiamasi tuttavia le Convertite.

Santi Cosma e Damiano. Marina Celsi abbadessa in San Matteo di Murano dell’Ordine di San Benedetto, poscia in quello di Sant’Eufemia in Mazorbo, fondò nel 1492 un monastero dell’ordine stesso alla Giudecca, con Chiesa ai suddetti Santi intitolata; la cui consecrazione si fece nel 30 maggio 1583 da Giulio Superchio vescovo di Caorle. Presentemente tutto l’Edificio serve ad uso di magazzini

San Giacomo. Ricuperata da Marsilio da Carrara, con l’aiuto delle venete armi, la Signoria di Padova, dispose con testamento del 1338 pingue legato per la erezione in Venezia di Chiesa e Chiostro ad uso di una famiglia di PP. Serviti. La Chiesa condotta a termine intorno al 1343 fu consacrata nel 26 ottobre 1371 da Luca vescovo Cardicense con intervento di tre altri vescovi. Da principio ebbe il titolo di Santa Maria novella, cui poscia venne sostituito l’altro di San Jacopo Apostolo. Soppresso il cenobio, tutti que fabbricati si demolirono.

San Giovanni Battista. Colle largizioni di Bonacorso Benedetti, lucchese, stabilito per il suo commercio in Venezia, fu edificato alla estremità orientale della Giudecca monastero e chiesa dedicata a San Giovanni Battista, e vi si aggiunse un’Ospitale intitolato a San Francesco. Occuparono il chiostro i Monaci Camaldolesi sino alla soppressione decretata dalla Repubblica veneta l’anno 1767, l’Ospitale avea già cessato molto prima per deficienza delle sue rendite. A fronte però della soppressione, alcuni di que religiosi continuarono a sostenere la ufficiatura del tempio decorato di scelte pitture, come altresì conservarono intatto quel Chiostro con le sue amene adiacenze. Secolarizzato al principio di questo secolo il sacro edificio, si demolirono quasi del tutto quel fabbricati, convertendo il fondo in cantiere per le costruzioni navali.

Località meritevoli di particolare menzione.

Molte nobili e agiate famiglie abitavano una volta la Giudecca, altre stabilmente, ed altre nella estiva stagione; perciò quelle contrade contavano la popolazione di circa 8.000 individui. Non è quindi a maravigliare che vi si trovino ancora le vestigia dei Palazzi de quali prendo a far cenno.

Palazzi. Barbaro, Nani, Mocenigo, Da Mosto, Visconti, Foscolo. Partendo dal sito ove sorgeva l’anzinominata chiesa di San Giovanni Battista, si trovano i ruderi di un palazzo della famiglia Vendramin, a pochi passi dal quale altro della famiglia Barbaro, ove appunto Ermolao Barbaro istituì nel 1484 un’Accademia di filosofia. Passato l’edificio alla famiglia Nani, si pose la stessa ad abitarlo, ed in esso appunto il celebre storiografo Nani, raccolse l’Accademia de Filareti (amici della verità) che coltivava la filosofia naturale. Una lapide affissa a quelle, ora sdruscite pareti, serba memoria della celebre istituzione. Seguono poscia i rimasugli dei palazzi Mocenigo, e Da Mosto, dopo i quali sorge l’Oratorio delle Zitelle. Proseguendo lungo la sponda del canale, e trapassato il tempio del Redentore, si alza il palazzo Visconti, insignito una volta dello stemma di quella casa principesca, e che poi divenne proprietà della patrizia famiglia Foscolo, da cui fu trasmesso ad altri.

Ponte Lungo. Così chiamato, perchè più ampio degli altri che si trovano alla Giudecca, fu eretto l’anno 1340.

Accademia dei Nobili. Sulla linea del ponte suddetto sorge (N. 682 civico) il palazzo eretto nel 1619 per l’Accademia de Nobili, nella quale a spese del Governo si mantenevano e s’istituivano nelle lettere e nelle scienze politiche, sotto la direzione de PP. Somaschi 46 figli patrizi, sino all’età di 20 anni.

Palazzi. Maffetti, Gritti, Vendramin, Pisani, Cornaro. Il primo (N. 900) è ora proprietà del rispettabile negoziante Antonio Ivancich, il secondo (N. 905) viene abitato dalla famiglia Pinaffo, il terzo (N. 908) era delizioso soggiorno campestre del doge Andrea Vendramin. Eretti tutti e tre ne secoli XIV e XV, colla semplicità di quei tempi, si trovano attualmente ridotti ad usi commerciali. Fra gli edifici convertiti a magazzini eravi il palazzo Pisani nel quale si diede nel 1784 uno splendido trattenimento a Gustavo Adolfo re di Svezia. Sussisteva pure sino al 1800, il palazzo Cornaro, che allora appunto venne momentaneamente onorato dalla presenza di Papa Pio VII.

Michelangelo Buonarotti. Questo segnalatissimo artista, prevedendo il ritorno dei Medici, abbandonata l’irrequieta Firenze, giunse nel 1529 a Venezia, ove, dice Benedetto Varchi, a per fuggire le visite e le cerimonie, delle quali egli era inimicissimo, e per vivere solitario, secondo l’usanza sua, e rimoto dalle conversazioni, si ritirò pianamente alla Giudecca, dove la Signoria non si potendo celare la venuta di tal uomo in tanta Città, mandò due primi Gentiluomini suoi a visitarlo in nome di Lei, e ad offerirgli amorevolmente tutte quelle cose le quali a Lui proprio, o ad alcuno di sua compagnia abbisognassero, atto che dimostrò la grandezza » così della virtù di Michelagnolo, come dell’amore di quel magnifici e clarissimi Signori alla virtù. »

Feste veneziane

Festa del Santissimo Redentore. L’ampio antico commercio dei Veneziani colle orientali regioni, diffondeva frequentemente la Peste nelle nostre contrade, ove esercitò le sue stragi persin quattro volte in un solo secolo. Sommamente desolatrice fu quella sviluppatasi nel 1575 regnante il doge Luigi. Mocenigo, cessata la quale calamità, fu eretto il Tempio votivo dedicato al Santissimo Redentore, come abbiamo superiormente veduto. Non si limitò la religiosa Repubblica all’innalzamento di quel magnifico santuario, ma per conservare rimembranza perenne della grazia ottenuta, e della generale riconoscenza, deliberò; che il doge e il senato lo visitassero ogni anno nella terza Domenica del mese di Luglio; nel qual mese appunto cessato era nell’anno 1577 il morbo pestilenziale. L’esempio del Governo solito avere somma influenza sulla moralità delle popolazioni, invitava numeroso concorso di tutte le classi degli abitanti a quell’anniversario; anzi, onde assistere ai divini uffici nelle prime ore del giorno, che in quella stagione albeggia molto per tempo, solevano i devoti schierarsi, durante la notte precedente, d’intorno al Tempio, per esser pronti ad entrarvi allo spuntar dell’aurora, così giovandosi della notturna frescura ed evitando i più cocenti raggi del sole. Il corpo principale della Città non avendo alcun ponte di comunicazione con la Giudecca, fu provveduto, che nella vigilia di quella Festa si erigesse ogni anno, su quell’ampio canale un ponte di barche, per rimanervi circa 24 ore, il quale partendo dalla sponda delle Zattere presso la Chiesa dello Spirito Santo, mettesse a quella del Tempio, onde agevolarne l’accesso alla moltitudine. L’umana condizione però affibbiando spesso agli spirituali anche i materiali bisogni, le persone che si affollavano in quella notte alla Giudecca, stanche dal lungo cammino, e obbligate spesso di attendere pria di entrar nella Chiesa, solevano andare in traccia di sedili e di refezione, le quali ricerche hanno introdotto il costume che nella notte medesima alcuni ristoratori si trasferissero ad approntare rinfreschi e vivande nelle case del vicinato e negli adiacenti giardini, a comodo dei concorrenti. Numerose compagnie di persone nobili e agiate si raccoglievano ad imbandir laute mense in bene addobbate e illuminate barchette con le quali scorrevano quel canale nell’atto stesso che si cibavano. Così la ricorrenza del giorno del Redentore divenne solenne festività che in varie maniere poneva in movimento l’intera popolazione, presentando e in terra e in acqua meraviglioso anfibio spettacolo di devozione e letizia. Benchè i tempi siano cangiati, e molto abbian scemato la gozzoviglia ed il lusso de secoli andati, nondimeno la sacra anniversaria funzione, il ponte interinale di barche, il concorso dei devoti, le ornate navicelle E ed altresì qualche modico ristoro di cibi, si conservano tuttavia all’antica usanza.

Festa di San Stefano in San Giorgio Maggiore. Ho detto, che trasferita da Costantinopoli a Venezia, nel 1110, la sacra salma del Protomartire Santo Stefano, fu la stessa deposta nel Tempio di San Giorgio Maggiore ove tuttora è custodita. Secondando il Governo la generale esultanza del veneziani, fu decretato, che il doge, col suo corteggio, visitasse codesto Tempio nelle ore vespertine della festa di Natale per venerare quelle sacre reliquie, e vi ritornasse nella susseguente mattina per assistere al solenne divino ufficio nel giorno appunto dedicato a quel Santo. Anche questa festività celebravasi con l’accostumata pompa della Repubblica, e con grande concorso di popolo; anzi, quando nel secolo successivo (anno 1249) venne adottato, che la nomina del doge dovesse ad ogni vacanza, esser fatta da 41 Elettori, fu stabilito che il doge oltre i suoi consiglieri, fosse in tale ecclesiastica ceremonia accompagnato altresì dai 41 che innalzato lo avevano alla ducal dignità. In quel giorno medesimo esso doge banchettava pubblicamente nel suo palazzo la Signoria, e i 41 suoi elettori, in unione ad altri personaggi soliti intervenire a quelle splendide mense. La ricorrenza di codesta Festa diffondeva somma letizia nella Città, poichè da quel momento cominciavano gli spettacoli carnevaleschi, e le mascherate rinomatissime dei Veneziani, i quali trovavano in questo costume un mezzo piacevole onde mescolarsi con tutte le classi degli abitanti; poichè all’ombra della maschera potevano i patrizi, i magistrati più gravi, e lo stesso doge intervenire a qualunque società, ridotto, e spettacolo, senza veruna etichetta: il doge e l’infimo bottegaio, mascherati, erano eguali; dal che procedeva appunto il sommo rispetto costantemente professato in Venezia verso le maschere, le quali erano riputate intangibili, e dalla pubblica Autorità severamente si tutelavano. Il bel sesso che tanto influisce sui costumi e sulle opinioni, profittava con entusiasmo di codesta sicurezza e libertà della maschera, potendo le persone oneste vedere senza esser vedute, e le figlie trovando in ciò l’occasione opportuna di concedere prudente sfogo agli affetti del cuore, per cui non pochi matrimonii s’intavolavano nel carnovale. Che se qualcuna abusava forse di tale facilità, questo era uno di quegl’inconvenienti che sono inseparabili da qualsiasi istituzione sociale. Tanta era la brama de veneziani per questa maniera di libero conversare, che anche alla ricorrenza della Festa dell’Ascensione veniva per 15 giorni permessa la maschera, della quale licenza degnò profittare Sua Maestà l’Imperatore Giuseppe II quando nel 25 maggio 1775 intervenne agli spettacoli di quella chiarissima solennità unica nel suo genere perchè non sarebbe stato possibile celebrarla fuorchè in Venezia. A compiere la letizia del giorno di San Stefano seguiva in quella sera l’apertura di tutti i teatri, i quali negli ultimi tempi erano sette, nè mancavano mai di copioso concorso, lo che somministra pure un’idea dell’agiatezza degli abitanti. (1)

(1) ANTONIO QUADRI. Descrizione topografica di Venezia e delle adiacenti lagune. Tipografia Giovanni Cecchini (Venezia, 1844)

Parrocchia di Sant’Eufemia dall’Iconografia delle trenta Parrocchie – Pubblicata da Giovanni Battista Paganuzzi. Venezia 1821

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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