Ponte de la Scoazzera, tra il Rio di Santa Ternita e il Rio dei Scudi

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Ponte de la Scoazzera, tra il Rio di Santa Ternita e il Rio dei Scudi - Castello

Ponte de la Scoazzera, tra il Rio di Santa Ternita e il Rio dei Scudi. Campo a fianco de la Chiesa – Calle Donà

Ponte in pietra; struttura in mattoni e pietre, bande in ferro a croci oblique. (1)

Negli antichi tempi le spazzature e le immondizie delle strade e delle case, volgarmente chiamate “scoazze” venivano raccolte in appositi recinti costruiti nei vari campi della città, in attesa che i “burchieri” con le loro barche le trasportassero nei luoghi adatti a ciò stabiliti nella laguna.

Erano queste “caselle delle scoazze over scoazzere” piccoli quadrati di terreno, chiusi in muratura ai tre lati e aperte sul davanti, in generale non avevano tetto, solo qualcuna nei campi più frequentati, era coperta da una tela impeciata che impediva, specialmente nei mesi estivi, la rapida corruzione di quei rifiuti.

La più antica memoria di tali depositi, recata in un documento ufficiale dell’Avogaria, risale al 1556, quando si ordinò il trasporto della scoazzera di San Simeone Apostolo, detto piccolo, “in distanza passi trenta dal sito primiero” per non dar noia con gli odori spiecavoli ai patrizi Foscari che avevano il loro vecchio palazzo sulla fondamenta di San Simeone, quasi dirimpetto a quella di Santa Lucia, oggi fondamenta degli Scalzi.

Ma le “scoazzere” erano molto più antiche, poiché da qualche vecchia cronaca sappiamo che ebbero origine verso la prima metà del secolo decimoquinto per impedire che le spazzature venissero abbandonate sulle strade o gettate nei canali, ed erano sotto la vigilanza del Magistrato delle Acque, e sotto gli ordini diretti dei “Nettatori di sestiere” che dovevano curare la pulizia dei capi, delle calli, delle fondamente.

Il ponte della “scoazzera” che mette dalla calle Donà al campo di Santa Ternita nella attuale parocchia di San Martino, ebbe appunto il suo nome da una di tale scoazzere che sorgeva accanto al ponte “Nella parte che va al rio di fianco alla chiesa di la Trinità, chiamata di santa Ternita, verso il muro dell’Arsenale“, località questa poco nota, posta all’estremo limite della città, ma caratteristica per il senso pittoresco del sito e per il carattere veramente veneziano tuttora esistente.

Dal ripiano del nostro ponte si scorge prospiciente sul rio il palazzo Donà, eretto originariamente dai Celsi e appartenuto per qualche tempo ai patrizi Dalle Boccole, abitato nel 1506 dal poeta satirico Francesco Berni, ospite allora di Venezia. I Dalle Boccole abitavano il palazzo Celsi nel 1388 e la moglie del patrizio Giovanni, tale Laura Loredan, era l’amante di Alvise (o Luigi), figlio del doge Antonio Venier.

Venuti i due amanti a seria questione, sembra per ragioni di gelosia provocate dalla sorella del Giovanni, il giovane patrizio Alvise per vile vendetta appese al ponte della “scoazzera“, due grandi mazzi di corna, “duos magnos mazios charicatos cornubus“, con scritte obbrobriose contro la moglie, la sorella, e la suocera del Dalle Boccole. Condannato il patrizio Alvise alla multa di cento ducati e a due mesi di prigione, ammalò gravemente; ma il doge, in cui più di ogni altro sentimento parlava la dignità del nome e il rispetto alla giustizia, non volle implorare la grazia per il figlio, il quale aggravandosi improvvisamente il male, dovette morire in prigione. Esempio splendido di giustizia, ma severità eccessivamente rigida; crudele forse in un cuore paterno!.

La “scoazzera” che dava il nome al ponte ebbe nel Seicento una fama triste poiché si diceva tra il popolo che durante la notte si udiva in quel ricettacolo di immondizie rumori strani, lamenti di dolore, grida di soccorso, e gli abitanti della parrocchia facevano un lungo giro per non passare il ponte, dove qualcuno affermava di aver veduto un lungo fantasma avvolto in un bianco lenzuolo.

Il 16 febbraio 1654 era stato rinvenuto nel canale vicino alla riva il corpo di sier Antonio Bragadin della contrada di San Lorenzo, e subito dopo essendosi sparsa la voce di quei rumori, di quei lamenti, di quelle grida tutti dicevano che era l’anima del giovane patrizio morto in peccato e tante ne dissero che appena cominciava a far buio il nostro ponte rimaneva deserto.

Ma così non la pensavano i Signori di notte che vollero veder chiaro in quelle chiacchiere strambe e più strambe paure e cominciarono con gran sgretezza a tener d’occhio il ponte, la “scoazzera“, e le case vicine, e scopersero dopo qualche giorno di assidua vigilanza una casa sospetta proprio adiacente al nostro ponte. Il sospetto degenerò in certezza ed una notte i fanti del Consiglio dei Dieci irruppero nella casa, la visitarono da cima a fondo e trovarono punzoni, stampe, metalli, crogiuoli per la fabbricazione di monete false, nonché buon numero di ducati tutti falsi ma imitati con molta perizia tanto da ingannare l’occhio non tanto esperto di paracchi bottegai. Venne subito arrestato il padrone della casa, tale Andrea da Comacchio, e altri suoi compagni, e fatto loro subito il processo furono tutti condannati a qualche anno di prigione e a bando perpetuo con grossa taglia; il solo Andrea, come capodella losca cobriccola, ebbe in aggiunta il taglio della mano destra da eseguirsi sul ponte della “scoazzera“, vicino alla casa dove venivano fabbricate le monete false.

E così il 27 febbraio il ponte fu testimone della esecuzione della sentenza, e da quel giorno la “scoazzera” ritornò tranquilla, e nessuno rumore rompeva il silenzio della contrada, ma il popolo per qualche tempo non si arrischiava a passare per quel ponte durante la notte.

Quando cadde la Repubblica nel 1797 la “scoazzera” era già sparita da parecchi anni, ma al ponte rimase sempre il suo vecchio nome anche, quando venne rifatto nel 1875, epoca quella in cui voleva chiamare il ponte “ponte Celsi“, in memoria del palazzo costruito da questa famiglia patrizia nel rio poco lontano dal ponte. (2)

(1) ConoscereVenezia

(2) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 28 agosto 1933.

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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