Ponte dei Fuseri, sul Rio dei Fuseri

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Ponte dei Fuseri, sul Rio dei Fuseri - San Marco

Ponte dei Fuseri, sul Rio dei Fuseri. Calle dei Fuseri – Ramo dei Fuseri

Ponte in pietra; struttura in mattoni e pietre, spalette o bande in ferro a croci oblique e cerchi. Su un fianco del ponte, al centro dell’arco, tre stemmi in pietra di Provveditori di Comun. (1)

Il Ponte dei Fuseri, dice qualche cronista, prese il suo nome dai fabbricanti di fusi che evavano anticamente le loro botteghe nella calle attigua al ponte, altri invece vogliono che il nome provenisse da due botteghe di fonditori che tenevano i loro forni fusori in quella località. Fra le due tradizioni la vera forse è la prima, poichè si trova che due “fuseri“, o fabbricanti di fusi, piccolo strumento di legno che serve a filare, tali Gaspare e Martino di San Luca, erano anticamente iscirtti nei confratelli della Scuola grande di San Teodoro, e nei Necrologi del Magistrato della Sanità si trova memoria di un Bernardofuser sta al ponte de li fuseri” il quale moriva il 17 ottobre 153 essendo “sta amallato mesi quattro da fievre et da vertigini“.

Questo ponte, che come tutti i ponti veneziani anticamente era di legno, fu costruito di pietra alla fine del secolo decimoquarto, viene ricordato in una sentenza del giugno 1341 della Quarantia criminal contro un Davide Datalo ebreo, scoperto amante di una Giacometta, donna cristiana, abitante “ad Pontem Fusariorum“. Dove avvenne la colpa, vicino al Ponte dei Fuseri, tutti e due i colpevoli, prima di essere condotti in prigione, ricevettero sul dorso nudo venti”scuriade“, e così finiva la storia di Datalo e di Giacometta.

Ma circa un secolo dopo la Calle dei Fuseri fu testimone di due veri delitti: eravamo nel 1565 e in quei primi anni dellla seconda metà del Cinquecento Venezia era stata funestata da parecchi assassini; il Consiglio dei Dieci con la sua solita energia aveva messo un freno ai ribaldi con leggi severissime e con più severissime pene, ma ancora qua e là nell’oscuro labirinto delle calli seccedeva qualche impresa delittuosa, specialmente nelle notti senza luna.

Nella sera del giovedì santo, 2 aprile 1565, in Calle dei Fuseri, ai piedi del ponte amonimo, venne assalito e derubato un tale Antonio Fortuna, padrone di un barcone fluviale, chiamato “il figliol prodigo“, e poche ore dopo nello stesso punto toccava equal sorte a Piero Carmin di Stefanoosto al Salvadego“, che però leggermente derito, riusciva a scappare verso Piazza San Marco gridando al soccorso. Accorse una pattuglia dei Signori di Notte che dopo un accanito inseguimento arrestava i colpevoli, i tre fratelli Mauri di Cannaregio, che finiromo la vita sulla forca tra le due colonne della Piazzetta.

Accanto al nostro ponte sorgeva il palazzo Molin, il cui angolo verso il Rio dei Fuseri, s’innalzava perpendicolare sul piazzale del ponte, palazzo della nobile famiglia Molin, divisa in dieci rami, venuta da Tolemaide nelle lagune nel secolo ottavo e celebre per uomini eccellenti nelle armi, nella politica, nelle arti, il palazzo ha la sua facciata originale, gotica veneziana del secolo decimoquinto, sul Rio de San Luca, e la facciata moderna, costruita nei primi anni della seconda metà del Settecento, quando il palazzo vennedestinato ad albergo, già albergo “Vittoria“, prospetta sul Ponte del Fuseri, dove sta un breve epigrave a ricordo del soggiorno a Venezia di Wolfgang Goethe dal settembre al 14 ottobre 1786.

Wolfgang, nato a Francoforte sul Meno il 28 agosto 1749 è dalla Germania venerato come il suo massimo poeta, e quando volle visitare l’Italia, il paese della luce e dei fiori, una delle sue prime la fece a Venezia, scegliendo a dimora l’albergo al Ponte dei Fuseri, e la stanza d’angolo che guarda sul ponte. Rimproverato il poeta, da qualche suo contemporaneo, di cantar sempre d’amore, quando la sua patria oppressa lottava nelle congiure e nei campi contro lo straniero, egli rispondeva.

La mia missione è di pensare” ed egli pensò sempre anche a Venezia, solitario nelle sue passeggiate, sempre solo nelle sue visite alle Chiese, taciturno nella sua stanza d’albergo coi pochi visitatori, preferiva invece guardare dalla finestra le verdi acque del canale, i passanti per il ponte, le patrizie nelle nere gondole che sembravano al poeta altrettante bare.

A Venezia non conobbe che qualche rara famiglia patrizia:il suo carattere tranquillo, un po’ superbo, qualche volta scontroso, spesso taciturno, non era fatto per la cosità veneziana; egli voleva vedere e riflettere, coniscere la natura delle cose e degli uomini, il passato e il presente, studiare la vita nelle sue manifestazioni innumerevoli. Ebbe parecchi amori nella sua esistenza, nessuna passione; questo dipinge l’uomo, l’amore lo studiava in sé e nelle amanti, ma notomizzandolo, lo uccideva.

Alla caduta della Repubblica, quando il popolo vide sulle tre antenne di Piazza San Marco calare per sempre il glorioso gonfalone col simbolico leone alato, proruppe in un urlo terribile, a cui segguì formidabile un solo grido che si sparse per tutta la laguna, il grido dell’antica libertà: Viva San Marco! E raccolte con la forza le tre bandiere, i tumultuanti dirigendosi verso Rialto per la Merceria e per la Frezzeria, innalzarono sul ponte dei Baretteri e sul quello dei Fuseri due della bandiere benedette, e con la terza si diressero a San Bartolomeo dove vennero accolti da Bernardino Reniera colpi di cannone e di moschetteria“.

Così finiva la Serenissima per le esagerate paure di un Lodovico Manin, e dei suoi pusillanimi consiglieri, ma un Daniele Manin, anima grande di patriotta, di eletto ingegno, di energia superba, quel vessillo lo rialzò nel 1848 contro la tirannia dello straniero e nelle lotta titanica, unica nella storia del nostro Risorgimento, anche il Ponte dei Fuseri ebbe la sua parte. Nel famoso bonbardamento della città fatto dagli austriaci fu per ben dua volte colpito, e la seconda bomba feriva leggermente una povera vecchia che sedeva sul ponte.

Il Ponte dei Fuseri venne rifatto allargandolo verso la fine del 1872, e nella sua nuova fabbrica ebbe vita tranquilla solo interrotta dalla guerra mondiale, quando l’albergo Vittoria venne adibito ad ospedale militare per i feriti che venivano dal Piave. Allora l’albergo che sorgeva accanto al ponte divenne la casa del dolore dei nostri eroci combattenti, che sulle rive del sacro fiume difendevano l’onore della terra nostra, la grande Italia. (2)

(1) ConoscereVenezia

(2) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 21 agosto 1933

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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