Parrocchia dei Santi Giovanni e Paolo

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Chiesa dei Santi Giovanni e Paolo

Parrocchia dei Santi Giovanni e Paolo

Nome della Località

Vasta palude in questo sito giaceva, fra le cui acque è fama sorgesse piccola chiesa intitolata a San Daniele, nella quale stava forse quella goffa scultura, rappresentante il santo fra i leoni, che si osserva innestata sull’angolo dell’odierno prospetto del tempio, a destra di chi entra per la porta maggiore.

Fondazione

Riferiscono alcuni, che San Domenico esercitasse la sua sacra eloquenza anche a Venezia; certo è però che sin dal principio del secolo XIII, i seguaci di lui avevano qui stanza nella contrada di San Martino, trovandosi in alcune bolle pontificie nominato il priore di quella chiesa, appartenente all’Ordine dei predicatori. Intento il governo allo stabile decoroso collocamento di sì cospicua famiglia, il Doge Jacopo Tiepolo donò alla stessa, nell’anno 1254, lo spazio paludoso di cui si è detto, affinché, disseccandolo, porgesse l’area per la erezione di un cenobio e di un tempio. È verosimile che allora si escavasse a quest’uopo il canale che scorre dinnanzi la chiesa, poiché, seguendo le osservazioni dell’erudito Temanza, sembra poterlo annoverare fra quegli alvei artificialmente praticati in quei tempi, ad oggetto di regolare il corso delle acque vaganti per la città.

Le indulgenze concesse da Papa Innocenzo IV, la generosità della Repubblica, le elemosine dei devoti, somministrarono larghi mezzi corrispondenti alla mole del progettato edificio; talché nel 1293 il convento poté albergare tutti i padri dell’ordine in esso raccolti per celebrare il capitolo che vi si tenne, sotto la presidenza del generale Nicolò Boccassino, salito poi alla Sede Apostolica col nome di Benedetto XI.

Chiesa

Non può stabilirsi con sicurezza l’architetto di questo maestoso tempio: però la sua euritmia, poco diversa da quella dell’altro intitolato a Santa Maria Gloriosa detta dei Frari, che a suo luogo vedremo, costrutto dal 1232 al 1250 per opera del rinomatissimo Niccolò da Pisa restauratore delle arti del disegno sopra giusti principi, lascia ragionevolmente supporre che il Pisano medesimo, trovandosi allora nella città nostra, tracciasse anche il piano del sacro edificio che i padri Domenicani stavano per innalzare, e lo abbia indi condotto, assistito forse da qualcuno di quei claustrali, ché molti valenti uomini l’ordine anno verava, fra i quali Fra Ristoro, Fra Sisto, ed altri esperti architetti. Lo stile infatti del tempio è proprio di quella età, partecipa della maniera tedesca uscita dall’altra chiamata gotica, ma con largo concepimento, segnando l’epoca in cui lo studio degli artisti tendeva a riprodurre le belle forme greco-romane, dappoi ristabilite magistralmente in onore da quei celebri che per le maestose opere loro innalzarono ad alta perpetua fama i secoli XV e XVI.

Sino dall’anno 1246, si era data mano alla muratura di questo tempio; senonché, procedendo i lavori con la lentezza inseparabile dalla vastità del progetto, sappiamo che nel 1390 non era per anco compiuto, di maniera che la consacrazione fu ritardata sino al 12 novembre del 1430, nel qual giorno Antonio Corraro, vescovo di Ceneda, celebrò il sacro rito. La sua forma è rettangolare, si allarga verso il presbiterio a guisa di croce latina, si divide in tre navate, la larghezza della nave di mezzo eccede alcun poco il doppio di quella di ognuna delle laterali, la totale lunghezza dell’edificio ascende a piedi veneti 290, la larghezza, al centro, è p. 80, alla crociera 125, l’altezza 108. E’ decorato di 16 altari di marmi finissimi, e quasi tutti adorni di preziose sculture e pitture.

Cappella della Beata Vergine del Rosario

Un braccio della Crociera comunica con l’adiacente Cappella della Beata Vergine del Rosario: questa, per la sua ampiezza e bellezza, può stabilirsi anche da sè sola una chiesa, ricchissima per le opere dello scarpello e del pennello che ne rivestono i fianchi ed il cielo. Sorge nella medesima magnifico marmoreo altare quadriforme, decorato da belle statue. La sacristia parimenti è fregiata di ricco altare, e ridonda di pitture di molto merito. Schierati sulle interne pareti del tempio figurano 41 mausolei, tutti di marmo: segnano questi la storia delle arti di alcuni secoli, ed occupano molte pagine della storia della Repubblica, per i nomi e per le gesta famose di tanti Eroi in onore dei quali furono inaugurati.

Monumenti Mocenigo, Loredano, Vendramin

Sarebbe straniero alla topografia di Venezia, che mi proposi di presentare, ed uscirebbe troppo dai limiti del mio libro, il porgere la descrizione di questo rinomatissimo tempio; sul quale mi sono diffuso in altra mia opera, data alle stampe nel 1855, sotto il titolo: Tempio dei SS. Giovanni e Paolo, corredata di tavole, con i disegni e con le iscrizioni dei suaccennati monumenti. Nondimeno, deviando per un istante dal piano del mio discorso, mi sia permesso rivolgere l’attenzione degli amatori verso quei due che eminentemente figurano nell’interno della chiesa a destra e a sinistra della porta maggiore, innalzati ai Dogi Pietro, e Giovanni Mocenigo, lavori preziosi dei Pietro e Tullio Lombardo, e così pure verso quegli altri due collocati nella maggior cappella, l’uno (a destra) eretto al doge Leonardo Loredano, per opera di Girolamo Grapiglia, l’altro (a sinistra), al doge Andrea Vendramino, lavoro insigne e finissimo di Alessandro Leopardo.

Monumento Colleoni

Né posso a meno di entrare in un breve episodio riguardo a quello del Colleoni, che sorge sul Campo o Piazza al tempio adiacente. Bartolammeo Colleoni, di Bergamo, capitano d’alto valore, aveva militato per oltre 20 anni agli stipendi della Repubblica nel grado di generalissimo in terra, essendo sistema di quel governo di affidare bensì ai patrizi le flotte, ma non gli eserciti sul continente: cauta disciplina politica, diretta ad impedire la elevazione di un dittatore di tutte le forze dello Stato padrone. Nel giorno 4 novembre 1475, il Colleoni moriva nel suo castello di Malpaga, lasciando alla Repubblica pingue legato, a condizione che un monumento equestre gli fosse eretto.

Si occupò il Governo della esecuzione del testamento né modi corrispondenti al proprio decoro, e alle benemerenze dell’estinto suo capitano, chiamando all’uopo i più rinomati artisti che allora si distinguevano. Alessandro Leopardo innalzò un piedestallo di scelti marmi, fiancheggiato da sei colonne corintie, e decorato d’ornamenti finissimi in bronzo è in marmo, onde formasse base al colosso equestre. Il cavallo con l’eroe sull’arcione, che vi sta sovrapposto, è un gran getto di bronzo, originariamente dorato; ma l’oro nel processo del tempo si è quasi interamente squagliato: rimane il bronzo, che forse risveglia meglio l’idea d’un antico. L’opera in marmo è uno dei migliori studi del summenzionato Leopardo, il cavallo fu modellato da Andrea da Verocchio, toscano, il quale sembra imitasse il famoso teschio d’antico bronzo nel reale museo di Firenze tuttora conservato.

Da morte rapito, non poté il Verocchio fondere il getto. E seguì Leopardo anche questa difficile operazione, e forse dovette riparar qualche danno che si crede dal modello sofferto in una prima fusione dal Verocchio con sinistro effetto intrapresa; comunque si sia, il colosso riuscì perfetto, e sotto il ventre del cavallo, nella cinghia che assicura la sella, si legge l’iscrizione: Alexander Leopardus V F opus. Quella F diede luogo a interpretazioni diverse: vogliono alcuni che significhi fecit, perché Leopardo lavorasse altresì nel modello; altri la spiegano fudit, perché infatti egli ebbe il merito della fusione.

Molti eruditi agitarono la questione, senza poterla fondata mente risolvere; né qui sarebbe a proposito l’occuparsene: il monumento è ammirabile, sia per l’invenzione che per la esecuzione, e viene dagli intelligenti giudicato il più bello nel suo genere che dopo l’antichità si sia innalzato. Desta meraviglia quel Cavallo di tanto peso, sostenuto da tre sole gambe tenendo la quarta molto rialzata in atto di passeggiare, e che alla bellezza delle forme congiunge lo spirito della vita: vi si ravvisa il gran capitano che marcia come fosse alla cima delle sue squadre. Innalzato nel 1495, l’inclemenza dell’atmosfera, percuotendolo per più di tre secoli, aveva danneggiato i marmi e i bronzi del piedestallo, al che la sovrana generosità pose riparo, facendo eseguire nel 1851 diligente restauro, per cui riebbe l’originaria sua venustà.

Parrocchia

Soppresse nel 1810 le società religiose, questa chiesa, sino allora dai PP. Domenicani ufficiata, fu indi eretta in parrocchiale: si compose il suo circondario staccando la chiesa medesima e il suo vicinato dalla Parrocchia di Santa Maria Formosa, cui apparteneva, e aggiungendovi alcune frazioni delle soppresse Parrocchie di Santa Marina, di Santa Giustina, e di Santa Maria Nuova. Per tale aggregazione, i parrocchiali diritti di questa chiesa si estendono non solo entro il Sestiere di Castello ove è collocata, ma ancora nel conterminante Sestiere di Cannaregio, al quale appartiene quella zona di abitazioni che sorgono fra i due canali chiamati, l’uno Rio de Santi Giovanni e Paolo e l’altro della Panada.

Chiese entro la periferia di questa Parrocchia attualmente ufficiate.

Scuola di San Vincenzo, Oratorio. Apparteneva ad una Confraternita eretta sotto gli auspici di questo Santo; e, sebbene soppressa la Pia unione, si conserva la sua ufficiatura per i devoti del vicinato.

San Lazzaro dei Mendicanti , Oratorio dell’Ospitale Civile. Fra le Isole che spuntano dalla nostra Laguna, si annovera quella, lungi dalla Città circa un miglio, divenuta famosa per la Congregazione de Monaci Mechitaristi Armeni, che da oltre un secolo vi è stabilita, ove molti interessanti oggetti stanno raccolti, e segnatamente figura una cospicua Tipografia, da cui sortono eleganti edizioni di opere classiche, soprattutto in lingue Orientali, che rendono molto attivo il nostro commercio librario colle regioni oltre mare.

In questa Isoletta appunto si fondava nel secolo XII un ospizio per i lebbrosi, con annesso Oratorio a San Lazzaro dedicato, da cui prese l’isola il nome.Col girare del tempo, cessato il bisogno di quell’ospitale, vi si ricoverarono i poveri mendicanti; ma per la distanza dalla città essendo malagevole il prestar loro assistenza, venne deliberato di trasferirli in altro locale; al qual uopo nuovo Ospizio si eresse in uno spazio vicino al convento dei Padri Domenicani. Collocati i poveri mendicanti in questo nuovo edificio, gli diedero il loro nome; come la nuova chiesa nel suo centro innalzata assunse quello di San Lazzaro. L’ospizio, e la chiesa si costruirono al principio del secolo XVII con modello che ne aveva dato Vincenzo Scamozzi, che in ciò pure fece prova di valente architetto.

Invalidi miserabili, scabbiosi, e poveri orfani d’ambo i sessi, vi si raccoglievano: le fanciulle con particolare maestria nei musicali esercizi s’istituivano. Dopo i politici rivolgimenti accaduti al principio del nostro secolo, fu provveduto in altra maniera per codesti individui, e l’ospizio, come il propinquo Convento de Padri Predicatori, con l’adiacente Scuola di San Marco, in ospitale pe militari si convertirono.

Prese poi dalla munificenza dell’attuale governo altre disposizioni pel militare servigio, il vasto caseggiato di quegli stabilimenti, compresa anche l’adiacente Scuola della Pace, fu consegnato nell’anno 1819 all’amministrazione della pubblica beneficenza di Venezia, che ne formò un solo corpo, in cui stabilì l’Ospitale civile per i poveri infermi. Parleremo a suo luogo di quest’ampio stabilimento; e quanto alla chiesa, rimasta chiusa per il corso di alcuni anni, venne poscia restituita al culto divino, e, costantemente ufficiata, serve di oratorio al Pio Istituto entro il quale è costrutta.

Monumento Mocenigo

Anche qui non posso trattenermi di uscire dal piano del mio discorso, per additare il cospicuo mausoleo in questa chiesa innalzato alla memoria di Luigi Leonardo Mocenigo, valorosissimo capitano generale delle venete flotte, morto nel 1654 nella città di Candia, ove coraggiosamente ne sosteneva la difesa contro gli assalti delle formidabili forze ottomane. Questo Monumento può dirsi quasi unico nel suo genere per l’ampia mole, per la ricchezza dei marmi, e per l’abbondanza delle sculture; e sebbene faccia palese la decadenza delle arti del secolo XVII, nondimeno dispiega grandioso concepimento. Occupa il mausoleo tutta l’altezza e tutta la larghezza del tempio, la cui dimensione è alquanto spaziosa, sicché forma una trasparente parete, decorata da ambe le facce, che separa la Chiesa dal suo vestibolo. L’ammirazione che inspira questa maestosa mole, corrisponde a quanta è dovuta alla celebrità delle azioni che lo scultore vi ha incise, come alla magnitudine dell’eroe che le ha sostenute, il quale lo domina colla sua effigie.

Santa Maria dei Derelitti (volgarmente Chiesa del l’Ospitaletto), Oratorio della Casa di Ricovero. La grave carestia del 1527 mosse la pietà del governo, di alcuni cittadini, e particolarmente di San Girolamo Miani, ad erigere un Ospizio per i poveri e per gli infermi, sopra di un fondo a tergo della cappella maggiore del Tempio de Santi Giovanni e Paolo, il quale serviva a militari esercizi, perciò chiamato il Bersaglio. Altri benefattori, e segnatamente il suddetto santo, versarono generose elemosine per ampliare quello stabilimento, sicché, conservando l’originario titolo di Ospitaletto, divenne un sontuoso edificio, destinato ad accogliere alcuni malati ed orfani d’ambo i sessi, ed ove pure le fanciulle, giusta il costume negli altri ospizi introdotto, venivano magistralmente istituite nella musica strumentale e vocale.

L’oratorio adiacente fu ricostruito in maggiore estensione alla fine del secolo XVII, e la sua pesante facciata, eretta con disegno di B. Longhena, è un tipo del grado eccessivo cui giunse la corruzione del gusto architettonico di quella età. Eppure Longhena era uomo di molto merito, era stato preceduto di pochi anni da celebri maestri, aveva sott’occhio i loro studi e i loro edifici: ma così avviene all’uomo, che, non contento del bello e del buono, cercando il meglio cade nel pessimo.

Nel 1808, si tolsero da questo pubblico luogo i malati, che si trasferirono all’ospitale, e fu destinato all’accoglimento dei poveri in validi e degli orfanelli. Finalmente nel 1812 gli orfani maschi si portarono ai Gesuati; le femmine alle Terese. Sgombrato così l’edificio da codesti individui, fu convertito in Casa di Ricovero per soli vecchi e invalidi poveri d’ambo i sessi: stabilimento che mirabilmente fiorisce pei generosi legati anche in questi ultimi anni ottenuti da benefici testatori, che fecero salire il suo patrimonio a circa due milioni di fiorini di capitale, la cui rendita viene con regolare amministrazione impiegata nel provvedimento di circa 800 poveri giornalmente presenti.

San Giovanni Laterano, Oratorio dell’I. R. Ginnasio, e della I. R. Scuola Maggiore normale. Apparteneva questa chiesa al soppresso Convento di Monache Agostiniane, conosciuto sotto il titolo di San Giovanni Laterano; nel quale edificio si trovano ora collocati l’I. R. Ginnasio, e la Scuola Maggiore normale.

Santa Maria del Pianto, Oratorio dell’Istituto Canal. Lungo le Fondamente Nuove, sorgeva un Convento di Religiose dell’ordine dei Serviti, dette le Cappuccine, che fu soppresso. Annessa al cenobio era la Chiesa intitolata a Santa Maria del Pianto, la quale, testé restaurata, divenne Oratorio del conterminante Orfanotrofio femminile, istituito e diretto dallo zelo caritatevole del piissimo Nob: Daniele Canal.

Chiese secolarizzate.

Scuola di San Marco. In questo ampio e ricco locale si raccoglieva la Confraternita intitolata Scuola di San Marco, una delle Sei chiamate Scuole Grandi di Venezia, per la cospicuità delle loro rendite, che venivano impiegate in religiosi esercizi, e in opere di beneficenza a sollievo dei bisognosi. Soppressa al principio di questo secolo la pia unione, fu destinato ad altri usi quell’edificio, il quale poi, congiunto a quelli coi quali confina, divenne un quarto dell’Ospitale civile di cui parleremo. Fu innalzato nel 1485 per opera di Martino Lombardo, della cui valentia offre luminosa testimonianza. Però si crede fosse l’architetto assistito da Fra Francesco Colonna soprannominato Polifilo, religioso del vicino Convento dei Padri Predicatori.

La facciata che sorge sul campo, è tutta di fini marmi, connessi, intarsiati, e scolpiti con tanta eleganza ed accuratezza per cui quegli ornamenti servono di modello agli studiosi delle arti sorelle. Danneggiato dalle ingiurie delle stagioni, dispose il governo che questo insigne monumento si restaurasse, e le riparazioni ormai quasi compiute lo ristabilirono nella primitiva sua splendidezza. Le interne Sale sono pure decorate abbondantemente di fine sculture: delicatissimi intagli rivestono tutta la superficie dei cieli delle medesime.

Cappella della Pace. Fra la suddetta Scuola di San Marco, e il vicino chiostro dei Padri Domenicani, esisteva una cappella intitolata alla Madonna della Pace, cui dava accesso il vestibolo nel quale si entra per una porta che si trova in linea con quella della accennata Scuola. Il vestibolo sussiste, ma la cappella fu demolita, e l’area di questa forma parte dei cortili dell’ospitale. All’occasione di quei movimenti fu tolto da quel vestibolo fra gli altri oggetti anche il sarcofago, che altro non era che un semplice cassone di marmo, in cui giaceva il cadavere del Doge Marino Falier decapitato nel 1355: le ceneri dell’estinto si deposero in un vicino cimitero, destinato una volta a raccogliere le ossa dei giustiziati, e il cassone, dal sito rimosso, fu trasportato nella vicina canonica del pievano, ove serve di vasca per l’acqua.

Sembra opportuna questa piccola digressione per norma di quelli i quali, col libro di Lord Byron alla mano, vanno in traccia del tumulo del Falier, che il dotto inglese asserisce di aver veduto addossato alla facciata del Tempio dei Santi Giovanni e Paolo, ove non vi è, né fu giammai collocato, come feci conoscere nella mia opera sul tempio medesimo pubblicata.

Scuola di Sant’Orsola e Scuola del Rosario Erano due Oratori situati lungo la via chiamata Salizada dei Santi Giovanni e Paolo, i quali, secolarizzati, ad altri usi si convertirono.

Stabilimenti, e località meritevoli di particolare menzione.

Ospedale Civile Vasto Edificio, composto dei tre che abbiamo accennati di sopra, cioè: Convento dei Padri Domenicani, Ospizio e Chiesa dei Mendicanti e Scuola di San Marco, con l’adiacente Scuola della Pace. Vi sono raccolti e trattati tutti gli infermi poveri, che vi si recano, i quali montano, in via media, ad oltre 750 giornalmente presenti, accoglie pure le maniache in numero di circa 280 presenti ogni giorno.

Scuola di Ostetricia e Maternità Nel medesimo è collocata anche la Scuola di Ostetricia, dalla sovrana munificenza eretta pochi anni or sono in questa città, a carico del R. Erario. Questa scuola, sotto la direzione dell’I.R. Consigliere Proto Medico del Governo, viene sostenuta da un R. Professore, il quale, seguendo il metodo prescritto per le R. Università, si presta con ottimo effetto alla istituzione delle levatrici. È annessa alla medesima la maternità, ossia casa per le partorienti, tanto secrete, quanto palesi, le quali ultime servono al pratico insegnamento delle alunne.

Casa di Ricovero Di questa si è fatto cenno disopra, parlando della Chiesa di Santa Maria dei Derelitti, né occorre aggiungere ulteriori notizie.

Ponte del Cavallo Sorge rimpetto alla maggior Porta del Tempio dei Santi Giovanni e Paolo; si crede così chiamato perché, montando sopra esso ponte, si affaccia alla vista il monumento equestre del Colleoni: altri pensano che in una vicina Corte si sia eseguito il getto del colosso di bronzo, e che da essa corte, detta del Cavallo, la Calle e il Ponte adiacente abbiano preso il nome.

Calle della Testa È una lunga via in linea quasi retta, che parte dal Calle delle Erbe, e mette presso le Fondamente nuove. Verso la metà di questa via, si vede innestata, nel muro esterno di una casa, una smisurata testa umana, goffo lavoro dei secoli trapassati, la quale probabilmente diede il nome a tutto il sentiero.

Barbaria delle Tavole (volg. delle Tole) È un’ampia strada, che prende principio dalla summenzionata Casa di Ricovero, dirigendosi verso Santa Giustina. È opinione che in quel sito sorgesse una volta un bosco, e perciò si chiamasse località barbara, o Barbaria. Eretti poi nel vicinato grandiosi magazzini di legname da fabbrica, vi si aggiunse il titolo delle Tavole, preso dai materiali che ivi pure si smerciano: ed ecco nascere il nome, Barbaria delle Tavole, o delle Tole.

Vogliono alcuni, procedesse il nome della contrada dalla circostanza, che il legname ivi raccolto, si inviava in grandissima quantità ai paesi lungo la costa d’Africa, chiamata Barbaria, con cui Venezia faceva ampio commercio. Sulla destra di codesta via si apre piccolo Calle detto Calle Bragadin, ove abitava il celebre Marc’Antonio Bragadin prode difensore di Famagosta nel regno di Cipro, e che tradito da Mustafà, al quale nel 1571 aveva ceduto con onorevole capitolazione la Piazza giunta agli estremi, fu scorticato vivo. La pelle di quell’eroe inviata a Costantinopoli qual trofeo di vittoria, restituita più tardi ai figli di lui, riposa in urna collocata nel mausoleo che gli venne innalzato nel 1596 nel Tempio dei Santi Giovanni e Paolo. (1)

(1) ANTONIO QUADRI. Descrizione topografica di Venezia e delle adiacenti lagune. Tipografia Giovanni Cecchini (Venezia, 1844)

Parrocchia dei Santi Giovanni e Paolo dall’Iconografia delle trenta Parrocchie – Pubblicata da Giovanni Battista Paganuzzi. Venezia 1821

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