Nicolò d’Aragona o Faragone, ruffiano, omicida (1729)

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1695
Ponte de la Verona già Ponte del Tintor - San Marco

Nicolò d’Aragona o Faragone, ruffiano, omicida (1729)1

Nicolò d’Aragona o Faragone, figlio d’un contadino delle vicinanze d’Ariano nella Puglia, aveva sortito dalla natura un ingegno destro e svegliato, per cui, sdegnando la bassa condizione di sua famiglia, si applicò agli studi, percorsi i quali, si acconciò prima qual praticante da un avvocato della sua patria, e poi qual pedagogo da D. Costanzo della Noce. Scoperto reo di furto in ambe le case, e subita una condanna, stimo opportuno di mutar aria, e venne a Venezia.

Qui sprovveduto di mezzi di sussistenza, fu costretto in sulle prime a chiedere l’elemosina, ma coll’andar del tempo si diede a vivere di scrocchi. Abitavano allora in quella città a San Fantino, e precisamente non lungi dal Ponte del Tintor2, due donne madre e figlia, dette le Romane, sebbene fossero native del regno di Napoli, Fortunata l’una e l’altra Leonora chiamate, le quali, esercitavano il mestiere meretricio, cercando pero di mantenersi in buona riputazione col fare qualche beneficenza, e col frequentare le sacre funzioni.

S’introdusse il Faragone nella lor casa, ed adocchiati gli ori onde erano adorne, e gli argenti della mensa, concepì il pensiero d’impadronirsi a qualunque costo di quegli effetti. Si fece adunque di famiglia, sostenendo presso le donne ora la parte dell’amante, ora quella del ruffiano. Avendo poi divisato il colpo, incominciò a sparger voce che le Romane stavano per partire, e che per un contratto fatto con esse egli era divenuto padrone di tutte le loro mobilie, e poteva anche disporre della casa ove abitavano.

Poi una sera va a trovarle, cena, e si pone a letto in mezzo delle medesime, ma quando le vede immerse nel sonno, impugna il ferro, e le scanna ambedue, rinserrando i cadaveri in un forziere, ed involando quanto possedevano in ori ed argenti, fino al piccolo agnusdei che la Fortunata con alcune scritte devote portava sotto le vesti.

Fatto questo, e venuto il mattino, corre dal farmacista di Santa Maria Zobenigo, a cui le sventurate avevano ordinato un medicamento, e ne rimanda l’ordine dicendo che erano partite. In seguito chiama Vicenzo Sottilo, barcaiolo del traghetto di San Maurizio, ritorna in barca alla casa dell’uccise, carica il forziere insieme ad alcuni materassi e coperte, va a casa propria a San Vitale, depone coperte e materassi, ed imbarca all’incontro una grossa pietra che copriva la pila del pozzo, e finalmente, al sopraggiungere della notte, si fa condurre in Canal della Giudecca.

Colà dando ad intendere al barcaiolo che il forziere era pieno di tabacco di contrabbando, e che conveniva affondarlo, vi attacca la pietra con una corda, e lo getta nell’onde. Il barcaiolo però, che aveva notato sulle coperte alcune macchie di sangue, insospettisce, e posto a terra il galantuomo, corre a denunziare il fatto.

Si fa una perquisizione in casa di Nicolò, e vi si trovano gli oggetti insanguinati, nonché due ricapiti delle donne, l’uno col nome di Fortunata Trucoli, e l’altro con quello di Eleonora Cruci. Egli e tosto messo in prigione, né si tarda ad aprire il processo. Quand’ecco appare galleggiante nel Canal della Giudecca verso Sant’Agnese il forziere con entro i cadaveri delle trucidate. Ecco come era andata la cosa. Allorquando il ribaldo getto nell’onde il forziere, la corda che vi teneva attaccata la pietra s’attraverso ad una gomena d’un naviglio cola ancorato, sicché, restando a cavalcioni forziere da una banda, e pietra dall’altra, venne ben presto a manifestarsi il delitto.

In vista di ciò fu il reo condannato il 24 settembre 1729 ad aver mozzo il capo, e poscia ad essere diviso in quarti da affiggersi nei soliti luoghi.

ANNOTAZIONI

1 E’ tratto questo racconto dal codice Cicogna 3392 che contiene il Placito di Zuane Magno Avogador di Comun contro Nicola d’Aragona. Il Cicogna stesso parlo brevemente del fatto medesimo nel Volume V. delle sue Iscrizioni Veneziane, e precisamente colà ove tratta di esso Zuane Magno. Vedi anche i Registri dei Giustiziati. Non così si possono consultare le Raspe, mancando il volume contenente le sentenze del 1729.
2 In tal guisa per una prossima tintoria si chiamava quel ponte che ora si chiama della Verona per una locanda all’insegna della Verona, che posteriormente vi fu stabilita d’accanto. Vedi le mie Curiosità Veneziane Vol. II, Pag. 288. (1)

(1) Giuseppe Tassini. Alcune delle più clamorose condanne capitale.  (Venezia, Premiata tipografia di Gio. Cecchini 1866)

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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