Veneranda Porta e Stefano Fantini, amanti, omicidi (1780)

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Calle de la Madona 3274/3277 - Dorsoduro. Luogo dove si ergeva la casa di Veneranda Porta

Veneranda Porta e Stefano Fantini, amanti, omicidi (1780) 1

Verso il mezzogiorno del 14 giugno 1779 si ritrovava un busto d’uomo con le sue braccia nel pozzo situato di fronte alla porta laterale della chiesa dei Santi Gervasio e Protasio. Più tardi si ritrovavano due coscie colle gambe e piedi in un altro pozzo nella parrocchia di S. Margarita, in una piccola corte2 vicina alla Fondamenta di Cà Renier, o del Malcanton. Il giorno susseguente appariva galleggiante una testa nel canale di Santa Chiara verso il Purgo3, e tosto dopo si scoprivano alcuni interiori, galleggianti essi pure, nel Canale della Giudecca verso la Umiltà4. Commosso il governo a sì fiero avvenimento, apriva le indagini, e fatti unire insieme quei miserabili avanzi, i quali apparivano chiaramente divisi mediante tagli gli uni dagli altri, ed avuta la dichiarazione medica che essi erano parti di un solo maschile cadavere, li faceva esporre pel riconoscimento al Ponte della Paglia5.

Riuscito vano il tentativo, li faceva seppellire, meno la testa, che, dopo l’imbalsamazione, voleva nuovamente esposta alla vista del popolo sopra due panche fuori dell’Uffizio dell’Avogaria6. Siccome poi essa portava nei capelli un rolò7 formato col brano d’una vecchia lettera, la quale aveva per firma le iniziali V. F. G. C., inseriva nelle pubbliche gazzette il racconto del fatto col contenuto della lettera, e colle iniziali predette. Ordinava finalmente l’esposizione della Beata Vergine nella basilica di San Marco, nonché quella del SS. Sacramento in tutte le chiese della città acciocché venissero a scoprirsi gli autori dell’arcano e crudele misfatto. Volle il caso che una delle gazzette cadesse fra le mani d’un Giovanni Cestonaro, nativo di Vicenza, ma domiciliato in Este, agente dei NN. UU. Leonardo Nadal8, e Roberto Boldù9.

Egli corse a Venezia il 26 giugno 1779, e recatosi all’Avogaria, riconobbe rabbrividendo il proprio carattere, e, benché sfigurata, la testa del proprio fratello Francesco Cestonaro10, a cui aveva diretto la lettera firmata dalle iniziali V. F. G. C., corrispondenti alla sottoscrizione: Vostro Fratello Giovanni Cestonaro. Disse che Francesco, avendo sortito dalla natura una tempra irrequieta, erasi assentato dalla casa paterna per emigrare in esteri paesi, ove esercitò l’arte ora del parrucchiere, ora del famiglio o maestro di casa, e che, reduce da Cefalonia, sposò in Corfù Veneranda Porta da Sacile, donna vedova, sui trentanni, un pò zoppa e piuttosto brutta, madre di due figlie del primo letto, l’una delle quali teneva seco, l’altra aveva mandato a Sacile dai propri parenti.

Disse che Francesco procreò colla Veneranda un’altra figlia, allora affidata alla custodia di uno zio presso Este, e che da circa quattro anni domiciliava unitamente alla moglie ed alla figliastra in Venezia a San Barnaba in Calle della Madonna11. Interrogato se potesse supporre quali fossero gli autori del delitto, fece cadere il sospetto sopra la cognata, e sopra l’amante della medesima Stefano Fantini da Udine, staffiere del N. U. Angelo IV, detto Antonio, Dolfin12, attestando d’aver ricevuto parecchie lettere dal fratello in cui si lamentava di tresca siffatta. Dietro tali deposizioni nello stesso giorno 26 Veneranda fu condotta innanzi il tribunale. Essa sulle prime pareva disposta a deludere il vero, ma tutto ad un tratto incominciò a chiedere pietà13, dicendo che il marito dopo un alterco voleva ammazzare lei ed il Fantini, e che quest’ultimo, senza che ella c’entrasse, uccise con vari colpi di mazza la notte del 12 giugno il Cestonaro, e con un coltello lo tagliò a pezzi per gettarli il giorno seguente a più riprese nei luoghi, ove con raccapriccio dell’intera città erano stati scoperti14. Colto il giorno 27 novembre il Fantini in una casa vuota in Rio Marin, confessava anch’egli il delitto, ma attestava che la donna l’aveva sedotto, che era stata essa in quella notte fatale a gettarsi addosso al ferito turandogli la bocca con una gonna perché non gridasse, che, non ben sicura della di lui morte, voleva che gli fossero dati altri colpi15, che con un rasoio lo ferì nella gola, e che finalmente da lei era partita la sollecitazione di fare a pezzi la vittima16.

Senonché dalle successive deposizioni dei rei, da quelle della piccola fanciulla Vittoria, figliastra dell’ucciso, stata presente al misfatto, nonché da altri mezzi di prova appariva chiaramente che tanto Veneranda Porta, quanto Stefano Fantini erano andati d’accordo nel togliere di mezzo il misero Francesco Cestonaro, e che anche prima avevano tentato per ben tre volte d’avvelenarlo affine di poter contrarre insieme novelli sponsali. Ambedue perciò, esaurito il lungo processo, vennero condannati, mediante sentenza della Quarantia Criminale 10 gennaio 1780 M. V., al taglio del capo, ed il Fantini anche ad essere dopo morte squartato. La sentenza ebbe esecuzione il giorno 12 17. Alcuni raccontano che la Veneranda domandò ai giudici d’essere la prima a subire il supplizio, ma che questa grazia non le venne concessa.

ANNOTAZIONI

1Non vi fu delitto che facesse tanto rumore come il presente. Ben tosto si videro uscire per le stampe di Trevigi alcune ottave di V. M. col titolo: La Barbarie punita, ossia Vera descrizione dei misfatti che fecero in Venezia Veneranda Porta e Stefano Fantini ecc. Ai nostri giorni fu composto e rappresentato sulle scene anche qualche dramma tragico sull’argomento medesimo, e Pasquale Negri ne parlò diffusamente, ma romanzescamente al solito, tanto nel suo Soggiorno in Venezia di Edmondo Lundy, quanto nelle sue Leggende Veneziane. È questo poi l’unico processo, susseguito da capital condanna, che si conservi per intero, diviso in 8 fascicoli, componenti due volumi, nel nostro Archivio Generale.
2 Questa corte, un tempo chiamata di Cà Fondi, o di Cà Loredan, giace dopo l’attuale Calle Berlendis, ma coll’avvenute rifabbriche cangiossi la topografia del luogo, distruggendosi pure il pozzo.
3 Il Purgo era un tratto di terreno con gallerie, destinato a mondar coll’acqua le lane, ed i panni, situato anticamente in parrocchia di S. Simeone Profeta, ma fino dal 1661 stabilito in parrocchia della Croce verso Santa Chiara. Camera del Purgo chiamavasi il relativo magistrato, il quale, composto da lanaiuoli, giudicava le liti insorte in materia di lanificio, e vegliava perchè i proprietarii delle fabbriche avessero cognizioni e patrimonio sufficienti per poter dirigerle, e perchè i lavori riuscissero perfetti.
4 La Chiesa di S. Maria dell’Umiltà, ora distrutta, sorgeva sulle Zattere verso la Dogana. Secondo alcuni Registri dei Giustiziati, il luogo preciso ove si rinvennero gli interiori fu di faccia il quartiere degli ufficiali, o zaffi da barca, allora sulle Zattere situato.
5 Colà pure, come si raccoglie dai Necrologi Sanitarii, esponevansi per solito i corpi degli annegati non conosciuti.
6 Del Magistrato dell’Avogaria si è parlato più sopra. L’uffizio del medesimo era situato in Palazzo Ducale, ed aveva il suo ingresso presso la così detta Scala d’Oro.
7 Solevano nel secolo trascorso gli uomini di basso stato lasciar cadere, al pari delle donne, dai lati della fronte due ciocche di capelli, le quali, perchè prendessero il riccio, involgevansi di notte in due rotoli di carta, chiamati rolò.
8 Leonardo Nadal, figlio d’Antonio e di Cornelia Erizzo, nacque il 19 gennaio 1740. La di lui famiglia venne nel 790 da Torcello, ed esercitò il tribunato. Vanta un Sigifreddo vescovo di Reggio di Lombardia nell’860, e, dopo esser rimasta del Consiglio nel 1297, un Pietro eletto vescovo di Jesolo nel 1370. Vanta pure varii capitani e senatori distinti. Una linea di questa famiglia passò colle colonie in Candia.
9 Roberto Boldù ebbe i natali da Nicolò e da Cristina Malatesta il 27 marzo 1721. I Boldù trasmigrarono da Conegliano fra noi nell’800, e qui fabbricarono la chiesa di S. Samuele, e ristaurarono quella di S. Giacomo. Rimasero sempre del consiglio, dando alla patria lunga serie d’uomini benemeriti in varii rami, così nei remoti, come nei secoli vicini.
10 Nota l’errore di tutti i Registri dei Giustiziati, e di quanti trattarono l’argomento chiamandolo, anzichè Francesco Cestonaro, Francesco Centenari.
11 La Calle della Madonna, così detta per case che vi possedeva il monastero di S. Maria della Celestia, era sotto la parrocchia di S. Margarita, e stà non lungi dal Campiello dei Squellini, ragione per cui alcuni lasciarono scritto che la Porta abitava in questo campiello.
12 Nacque da Giovanni, ed abitava sulle Zattere in parrocchia di S. Basilio o Basegio. Della patrizia famiglia Dolfin a Pag. 104, Annot. 5 [Cap. XXVI, nota per l’edizione elettronica Manuzio].
13 Pietà! Misericordia! Raccomando le mie creature! Chiedo impunità! Parlerò tutto! Dirò la verità ecc.
14 Da ciò si vede quanto sia erronea la tradizione popolare riferita dal Negri, che Veneranda nulla confessasse prima che le venisse mostrata la testa del marito, e che frattanto beffasse i giudici coll’arguzia dei motti. La testa del marito le venne mostrata soltanto alla fine dell’ultimo costituto, ed allora ella proferì le parole: nol gha più della so somiglianza! e cadde in deliquio, senza aggiungere cosa alcuna alle confessioni antecedenti.
15 Per l’amor de Dio! per l’amor de Dio! deghene ancora! No sentì cossa ch’el ziga?
16 Ma bisogna farse coragio, e scomenzar perchè vien tardi, e distrigarse!
17 12 Gennaro 1780. Stefano di Andrea Fantini da Udine d’anni 30 fu decapitato e squartato, ed apesi li quarti nei soliti luoghi d’ordine dell’Eccelso Consiglio di quaranta al Criminal. Veneranda Porta rel.ta del q.m Fran.co Cestonari da Sacil d’anni 37 fu decapitata d’ord.e dell’Ecc.o Cons.o di 40 al Criminal | S.Marco | (Necrologi Sanitarii).

GIUSEPPE TASSINI. Alcune delle più clamorose condanne capitale.  (VENEZIA, Premiata tipografia di Gio. Cecchini 1866)

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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