Giovanni Soranzo. Doge LI. Anni 1312-1328

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Giovanni Soranzo. Doge LI. Anni 1312-1328

Il dì 13 luglio 1342 veniva esaltato al trono ducale Giovanni Soranzo, uomo di gran senno, valoroso e degno di quel posto sublime.

Suo primo pensiero fu dar termine alla guerra di Zara; e perciò, eletto a capitano della flotta Vito da Canale, e col titolo di conservatore Fiofio Morosini, si ordinava una leva generale, per la quale tutti gli uomini capaci alle armi si estrassero a sorte e tosto si inviarono al campo. L’impresa però non riusciva in bene, perché Zara si difendeva robustamente, e tanto che, sopraggiunto l’inverno, si dovette sospender l’assedio. Si profferiva frattanto alla Signoria un Dalmasio de Banoli, o de Limoli, noto ai Veneziani, perché lo avevano avuto avversario nella guerra di Ferrara, ed ora veniva a servirli; ed accettato, fu spedito alla novella stagione sotto Zara, con nuovo rinforzo di navi sotto il comando di Baldovino Dolfino. Gli aiuti però somministrati ai Zaratini da Maladino bano di Croazia, impedirono ai nostri di cogliere il frutto del loro valore. Le proposte di accomodamento offerte frattanto dagli assediati, tornando vuote di effetto, Maladino, che voleva pur ritornare nei suoi Stati, particolarmente si volse al Dalmasio, già disgustato con la Repubblica, perché questa non volle affidargli tutto il danaro occorrente per soddisfare l’esercito; e convenne seco lui segretamente di tradire la Repubblica, entrando coi suoi in Zara e difenderla egli stesso dagli assalti dei Veneziani. Scopertasi però la trama, i provveditori furono in tempo di salvare il campo, che Dalmasio, Maladino ed i Zaratini avevano disegnato distruggere; sicché, in tanto stremo, i provveditori stessi accettarono la capitolazione loro offerta, il che fu il dì 23 settembre 1343. Con la quale si convenivano, fra le altre cose: che i Zaratini tornerebbero nella grazia e alla fedeltà del doge: avrebbero salve le persone e le robe: eleggessero a loro governatore o Baldovino Delfino capitano, o Vitale Michiel, o Fantino Dandolo provveditori: mandassero sei ambasciatori a Venezia a domandare al doge perdono: nominassero il loro futuro conte tra le famiglie patrizie veneziane, da mutarsi ogni due anni e da esser confermato dal doge: sarebbero del resto governati secondo i propri statuti e consuetudini: si adoprerebbero i Zaratini a far sì che il bano Maladino rinunziasse al titolo di conte di Zara: manderebbero ogni anno alle calende di marzo a Venezia centocinquanta iperperi, o l’equivalente in pelli di coniglio: facendo Venezia esercito fino a Ragusa, Zara fornirebbe per suo contingente cinquecento uomini, ec.

A raccogliere qui poi gli altri avvenimenti della sempre inquieta Dalmazia, che ebbero luogo durante il reggimento di doge Soranzo, diremo, che alcuni anni dopo tornarono all’obbedienza della Repubblica anche Traù, Sebenico (1322), Spalato (1327), Nona, venute in addietro in potere dei conti Bebriensi, scacciati i quali, quelle città si ressero qualche tempo da sé, finché, molestate perpetuamente dai loro nemici, stimarono miglior partito porsi di nuovo sotto la protezione della Repubblica.

Intanto papa Clemente V, soddisfatto della sua domanda dei centomila fiorini d’oro, levava la scomunica scagliata contro i Veneziani per le cose di Ferrara, sicché, pervenutane la notizia il dì 26 marzo 1313, venivano spediti nuovi ambasciatori al Pontefice, la bolla del quale restituiva i Veneziani nel possesso di tutti i diritti, privilegi e libertà, immunità, feudi e quanto tenevano in Ferrara e nel suo territorio, come in antico.

Per ragioni di commercio e di navigazione era venuta, di questi tempi, in discordia la Repubblica col conte Guido Novello da Polenta, signor di Ravenna; onde frequenti erano dall’una e dall’altra parte le ambascerie, ma senza frutto; sicché Dante Alighieri, spedito da Guido, nel 1321, al Senato per rappaciarlo, non poté neanche ottenere pubblica udienza, per cui, addolorato quell’altissimo intelletto, moriva tosto tornato a Ravenna dalla sua legazione. Si composero le cose soltanto allorché passava il governo di Ravenna, nel 1328, nelle mani di Ostasio da Polenta, usurpatore di quel dominio.

Genova tuttavia, memore delle antiche gare e degli odi, non lasciava d’infestare i mari; sicché fu spedito Giustinian Giustiniani con quattordici galee a correr le acque d’Oriente, e Paolo Morosini, con quattro altre alla custodia di Negroponte. Frattanto, Ottone Doria, incontrati otto legni mercantili a Lajazzo, li predò; sicché a ricattarli, esborsarono i proprietari ottomila ducati. A tal nuova, corse tosto il Giustiniani, con quaranta galee, predò varie navi di Genova, ed assalì il principale loro stabilimento di Galata; per cui i Genovesi furono obbligati a restituire la somma percepita e pagare le spese di quella spedizione.

Candia, poco appresso, era venuta a nuova ribellione, a motivo di un balzello imposto dal duca Biagio Zeno. La Repubblica pertanto spediva colla flotta il Giustiniani prefato, ed egli ben presto, aiutato dalle milizie terrestri, otteneva vittoria, caduto in campo il capo della sommossa, Varda Calergi; sicché tornava quell’ isola tranquilla.

Dicono il Sanudo ed il Dandolo, che nel 1328, Jacopo Quirini, Jacopo Barozzi e Marino Barozzi (non Barizio) si fecero capi di nuova congiura, la quale scopertasi, vennero costoro impesi sulla pubblica piazza. Tale congiura però è da riguardarsi siccome il seguito di quella macchinata da Bajamonte Tiepolo e dai Quirini.

Doge Soranzo procurò poi sempre il ben essere del suo popolo, estendendo le relazioni commerciali più degli altri suoi predecessori; sicché ne venne una tale abbondanza in Venezia da meritare che gli storici tutti ne facessero particolare memoria.

E’ di vero, conchiudeva egli trattato, nel 1314, con Federico re di Sicilia; ne fermava un altro, nel 1317, con Matteo Visconti signor di Milano; altro ne stabiliva con Bologna, nel 1321; con Como e con Recanati, nel 1328. Poi otteneva giuramento di fedeltà dal conte di Gorizia (1313); da Carlo re d’Ungheria aveva facilitazioni al commercio in quelle parti (1316); colla Fiandra e colla Inghilterra era pure vivissimo il traffico. Ed in Levante anche conchiuse il Soranzo nuovi trattati, e raffermò gli antichi con Andronico imperatore (1324); e così pure con Monsait sultano di Tunisi (1320); e con Trebisonda (1318), e colla Persia.

Tutti questi vitali vantaggi procurarono alla città un grande aumento alla sua industria, e una fonte stragrande di ricchezze, massime per la venuta in Venezia di molti Lucchesi, parecchi dei quali erano distinti lavoratori di seriche stoffe, che fuggivano dalla patria desolata dalle fazioni e dalla tirannide di Uguccione e di Castruccio. Fu introdotto anche allora (1318) a Venezia il lavoro degli specchi, per opera di tre industri cittadini, Nicolò Cauco, o Cocco, Muzio da Murano e Francesco fabbricatore di coperte.

Da ciò fu argomentata grandemente la popolazione, calcolando gli statisti contare allora Venezia da duecentomila abitanti. Ragion per cui, anche per questo, sorsero per opera pubblica e privata molti edifici, tra li quali le case nuove sulla piazza per i Procuratori di San Marco: si diede principio alla fabbrica del lato australe della pubblica curia, che, in più tarda stagione, venne rialzata colla sala del Maggior Consiglio, siccome dicemmo al Capo X della storia del Palazzo Ducale: si allargò l’arsenale, occupando il lago di ragione dei monaci di San Daniele: si consolidò la punta della dogana, si costruirono i magazzini, ivi presso, per il sale: si murarono alcuni ponti, si selciarono varie strade, si costruirono nuovi mulini, ed altri lavori ancora vennero compiuti di abbellimento e decoro della città. Si fondò la chiesa ed il cenobio di Santa Marta (1315), si rifabbricò quella di Santa Agnese (1321), ed alquanti palazzi si elevarono di stile archiacuto, che tuttavia attestano la magnificenza e la ricchezza di quei tempi.

Varie leggi ancora vennero emanate per la sicurezza, la salute e morale pubblica. Si aggiunsero ai Signori di Notte sci capi, uno per sestiere; si aumentarono di due i Procuratori di San Marco, cosicché divennero sei (1311); e molti cittadini benemeriti al tempo della congiura Tiepolo, furono ascritti al Maggior Consiglio.

Non andò immune per altro la città da alcune sciagure, tra le quali si annoverano la grande inondazione accaduta nel 1314, e l’incendio, del 1318, che distrusse il fondaco dei Tedeschi, con notabile danno di quei mercatanti.

Di un caso curioso fanno nota particolare gli storici, ed è il parto di una leonessa, mandata in dono al doge dal re Federico di Sicilia, la quale in una gabbia, ove si custodiva nel cortile di Palazzo, nel 1316, diede alla luce tre leoncini, uno dei quali fu dal doge regalato a Can Grande della Scala.

Dopo di aver governato sapientemente la Repubblica per lo corso di sedici anni e mezzo, veniva a morte il doge Soranzo, nella età d’anni 88, il di ultimo dicembre 1328; ed era con molta pompa sepolto nella cappella del Battistero in San Marco, nell’urna marmorea, che tuttavia si osserva segnata del suo stemma senza inscrizione.

Il breve che gira alla sinistra del ritratto del nostro doge dice, con alcuna differenza in confronto del Sanudo, del Sansovino e del Palazzi, i quali in luogo di subiugavi, riportano sub iuga mitto.

TRVGVRIVM, SPALATRVM, ET SIBIMCVM SVBIVGAVI. (1)

(1) Il Palazzo Ducale di Venezia Volume IV. Francesco Zanotto. Venezia MDCCCLXI

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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