Giovanni Dandolo. Doge XLVIII. Anni 1280-1289

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Giovanni Dandolo. Doge XLVIII. Anni 1280-1289

Il dì 31 marzo 1280 veniva eletto colle forme statuite Giovanni Dandolo a doge. Erano contrassegnati i primordi del suo reggimento da due gravi sciagure. La prima da un orribile terremoto, che sparse lo spavento per tutta la città, sicché la gente fuggiva nei luoghi vacui, allora parecchi: la seconda, da una inondazione stragrande accaduta nel dicembre, dalla quale rimasero molti sommersi o morti dal freddo.
Tali disgrazie erano compensate con la pace conchiusa con gli Anconetani, e segnata il dì 3 marzo 1284. Non però si veniva a concordia col patriarca d’Aquileia e con il conte di Gorizia; ma anzi, per istigazione del primo, Trieste erasi tolta dall’obbedienza, mancando ai patti statuiti con doge Enrico Dandolo; e per soprassello, mandava a correre il Golfo barche piratiche. A reprimere i Triestini fedifraghi partiva Marino Morosini con la flotta, a stringere d’assedio quella loro città: senonche, aiutati dalle genti del patriarca e del conte anzidetti, si ritirava il Morosini; e giunto in patria, pagava colla prigionia la propria inettitudine.

La levata dell’assedio fece ai Triestini alzare la testa; sicché, usciti colle loro barche, si spinsero a Caorle, trassero cattivo il podestà Marino Selvo, incendiarono il palazzo pretorio, e, proseguendo, giunsero sino ai lidi di Malamocco, depredandoli. A provvedere alla grave bisogna, si bandiva decreto, che tutti i cittadini fossero pronti alle armi: e quindi, allestita nuova flotta, si recava questa a Trieste, e dopo lunga pugna la domava.

La caduta di quella città trasse seco le altre piazze dell’Istria all’obbedienza; per cui, stanco il patriarca della lotta ingloriosa, e abbandonato dalle milizie imperiali, calò finalmente agli accordi, fermati col trattato di pace 8 marzo 1285. Siccome poi il trattato stesso non definiva le pretensioni del patriarca sopra Capodistria, Parenzo, Emonia, Pirano. Rubino, Umago, San Lorenzo e Montona; per cui avendosi convenuto di scegliere arbitri, che le componessero, questi non furono da tanto da porre accordo fra le due parti. Per la qual cosa fu ripresa la guerra con nuova lena; ed a sopperire le spese di essa decretava la Repubblica, il di 20 gennaio 1289, un prestito del due per cento. Finalmente, per la mediazione anche del comune di Padova, si venne, nel 1291, ad un concordato, col quale era posta a termine ogni pendenza, meno quella che riguardava all’Istria, che era rimessa alla decisione, per compromesso, nel papa Nicolò IV; ma la questione andò alla lunga fino al 12 settembre 1304, in cui il patriarca Ottobono dei Razzi cedeva interinalmente l’Istria alla Repubblica, ai tempi del doge susseguente Pietro Gradenigo, verso il pagamento di quattrocento cinquanta marchi d’argento annui; patto che fu rinnovato nel 1300 e 1307.

Durante la guerra discorsa, la Repubblica stabiliva, il dì 3 luglio 1281, trattato con Carlo d’Angiò di Sicilia e con Filippo di Francia, pel riacquisto di Costantinopoli, e si obbligava, fra le altre cose, di somministrare almeno quaranta galee. Ma il trattato non ebbe effetto. Ne fu cagione lo stesso Carlo d’Angiò, il quale, dominando in Sicilia tirannicamente, sorse contro di lui ed i suoi la famosa rivolta, sostenuta poi per venti anni, da Giovanni da Procida, da Ruggiero Loria, da re Pietro d’Aragona; sicché la Repubblica si allontanò da Carlo, ed acconsentì piuttosto, nel 1285, ad una nuova tregua con Andronico I Paleologo, proibendo perfino al patriarca di Grado ed al vescovo di Castello di predicare la crociata in favore di Carlo, e contro il detto re Pietro d’Aragona, onde furono i Veneziani colpiti d’interdetto dal cardinale Bernardo de Languisel, vescovo di Porto, legato apostolico di papa Martino IV. Morto però Martino stesso, e succedutogli Onorio IV, la Repubblica, gli inviava ambasciatori a gratularlo nella sua esaltazione, e in pari tempo a pregarlo di rimuovere l’interdetto: al che egli acconsentiva, a condizione che non prenderebbero i Veneziani alcun partito contrario agli interessi della santa Sede e degli eredi della casa d’Angiò.

Quantunque fortunoso per le guerre accennate, e per sciagure patite dalla città, pure il governo di doge Dandolo fu gravido di molti ed utili provvedimenti interni. E in quanto alle sciagure, oltre le due narrate a principio, un altro terremoto accadde il dì 17 gennaio 1283-4, per il quale, secondo il Scivos e il de Monacis, rovinarono quasi tutti i camini, e danneggiata grandemente rimase la torre di Mestre: intervennero altre quattro inondazioni, tra cui quella del 20 dicembre 1283, giusta la cronaca Zancarola, e secondo le altre cronache del Dolfino e di San Salvatore, l’anno appresso, dalla quale, a detta loro, la città si salvò per miracolo; e la peste, in fine, nel 1284, mieté assai vittime.

In ciò riguarda gli ordinamenti, notiamo innanzi tratto, che col decreto 31 ottobre 1284, si decretò, per la prima volta, che venisse coniato il famoso ducato d’oro, appellato poscia zecchino, conservatosi poi sempre siccome moneta principalissima tra le veneziane; distinta per la sua purezza, duttilità e colore, e per l’identità d’intrinseco e di conio, onde fu in ogni tempo e dappertutto ricercata. Il suo valore originario era di soldi quaranta, cioè lire due a grossi, o lire tre dei piccoli: il diritto mostra il doge inginocchiato alla sinistra di San Marco, che gli porge il vessillo della Repubblica, con l’iscrizione a destra S. M. VENETI; a sinistra: IO. DANDYL., e al di sopra DUX. Il rovescio offre l’immagine del Salvatore in atto di benedire, fra due semicerchi, colla leggenda: SIT. T. XPE. DAT. O. TV. REGIS ISTE DUCAT., che va spiegata, sit tibi Christe datus, quem tu regis iste ducatus.

A procurar poi la retta amministrazione della giustizia e la sollecita spedizione delle cose ad essa attinenti vennero eletti cinque nobili fra i più saggi, affinché facessero la revisione generale delle leggi; e s’instituirono nuove magistrature. La prima, creata col decreto 26 giugno 1280, fu quella dei Cattaveri, ossia trova averi, così appellata, perché spettava ad essa d’investigare tuttociò che aveva relazione ai pubblici averi. Era composta di tre nobili, che duravano in carica otto mesi soltanto. La seconda, instituita nel 1287, è quella dei tre ufficiali alla dogana da terra, detti alle tre Tavole d’introito, sopra le quali si scrivevano tutte le merci per la esazione dei dazi. La prima tavola conteneva le drapperie grosse, la seconda, le altre di ogni spezie; la terza, il ferro. Nell’anno poi 1400, questi ufficiali presero il titolo di Visdomini, e furono accresciuti a cinque, indi a sei. Finalmente col decreto 4 agosto 1289, ad istanza di papa Nicolò IV, fu ammesso il santo ufficio, a condizione però che il doge solo avesse facoltà di dare aiuto agli inquisitori per esercitare il loro ufficio; che fatto fosse un deposito dei danari del Comune, con un amministratore per sostenerne le spese, e ricevere le utilità tutte derivanti dalle confische; con tutte quelle avvertenze e prescrizioni divisale nel decreto, che vennero poi in seguito regolate a norma dei tempi.

Ne guerre, né sciagure impedirono anche che si pensasse al decoro della città, la quale dì in dì si andava abbellendo di nuovi palazzi; e la Repubblica, a non esser da meno dei particolari, ordinava la erezione di una loggia ai piedi del campanile di San Marco, per ridotto dei nobili, e lo ampliamento della piazzetta, siccome più largamente dicemmo al Cap. VIII della storia del Palazzo Ducale.

Dopo di aver governato saggiamente la Repubblica per il corso di nove anni, sette mesi e due giorni, doge Dandolo passava a vita miglioro il dì 2 novembre 1289, e veniva tumulato nel primo chiostro dei Santi Giovanni e Paolo. Il breve tenuto nella destra mano del ritratto di lui, dice:

INSVLA PIRANVM SVBDVNTVR. CVDO DVCATVM. (1)

(1) Il Palazzo Ducale di Venezia Volume IV. Francesco Zanotto. Venezia MDCCCLXI

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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